lunedì 31 agosto 2009

Zuhandenheit vs. Usability, Martin Heidegger vs. Jakob Nielsen

Il mouse condivide con il telefono cellulare la natura di ‘strumento legato alla mano’. Così in tedesco il Mobiltelefon è comunemente detto Handy. E in finlandese Matkapuhelin , ‘telefono da viaggio’ è kännykkä (e poi känny), ‘prolungamento della mano’ Ma potremmo anche dire che non un singolo device, ma il computer è nel suo insieme 'prolungamento del corpo e della mente'. Forse non è fuori luogo un rimando all'idea di bacchetta che nelle fiabe risolve ogni garbuglio. Forse meglio che bacchetta magica, Magic Wand - dove wand ricorda originario senso di pieghevolezza, flessibilità. Non a caso l'etimologia, tra gli altri lo sostiene Heidegger, ci propone una probabile connessione tra magico e macchina. Il greco magike tekhne è l'arte della magia, dal persiano magush. Magush, come il greco makhana, risalirebbe alla radice indeuropea magh- 'essere capace', 'avere la forza', 'potere'. Dunque idea di potenza, ma anche di saggezza. Traduciamo mago con Wizard. Wizard deriva, come wise, 'saggio', dalla radice indeuropea weid-. Da cui il sanscrito veda: ‘io so’, ‘scienza’, ‘conoscenza’. Sempre dell'origine della conoscenza, della sua costruzione, parliamo.

Heidegger: la natura è physis. Physis porta in sé il senso profondo di 'entrare in un essere luminoso'. Di questo originario significato resta traccia in phainómenon, 'ciò che appare'. Al contempo, physis ci parla del processo creativo che genera l'opera d'arte. E, ancora, physis ci parla di poiesis: 'fare', 'portare alla luce'. Il fiore che sboccia dal germoglio e che si apre nel suo proprio essere (en eautō) è al tempo stesso realizzazione di physis e di poiesis. Passo ulteriore, physis ci parla di téchnē: la téchnē è in origine comprensione delle forme in cui si manifesta la natura, e quindi di come ogni forma, ogni costruzione di manufatti è manifestazione di conoscenza, è un conoscere finalizzato. Il termine che Heidegger usa per indicare l'autentica tecnologia è Entbergen. Il prefisso ent- connota cambiamento da una situazione precedente, negazione di una situazione esistente, passaggio di stato, allontanamento, privazione - come dire 'via da', fuori di'. Bergen sta per 'salvare', 'mettere al sicuro', ma anche: 'estrarre, recuperare'. Così, il verbo Entbergen e il sostantiv Entbergung rimandano a un duplice senso: 'rendere manifesto', 'rivelare' -è il disvelamento che i greci chiamavano alheteia e i romani veritas-, e al contempo 'custodire', 'proteggere' - arrivando fino al 'nascondere'.

Ciò che distingue e definisce ogni 'personal computer', e ciò che con più vicinanza distingue e definisce il mouse e il telefono cellulare -apparentati dal manifestarsi come prolungamenti della mano- è, nel linguaggio di Heidegger la Zuhandenheit. Per rendere l'ampiezza del senso del concetto, cito le traduzioni proposte in diverse lingue: essere-allamano, utilizzabilità, ser a la mano, ser ante los ojos, readyness-to-hand, handyness, utilisabilité.

Das Hämmern selbst entdeckt die spezifische 'Handlichkeit' del Hämmers. Die Seinsart von Zeug, in der es sich von ihm selbst her offenbart, nennen wir die Zuhandenheit. (…) Der nur 'theoretisch' hinsehende Blick auf Dinge entbehrt des Verstehens von Zuhandenheit. (Martin Heidegger, Sein und Zeit, (L'essere e il tempo), 1927, Terzo Capitolo, A, § 15)

E' il martellare stesso a svelare la specifica 'maneggiabilità' del martello. Il modo di essere usato, nel quale esso si palesa da se stesso, lo chiamiamo la sua Zuhandenheit. (…) Allo sguardo che guarda solo 'teoreticamente' alle cose fa difetto la comprensione della Zuhandenheit.

L'utilità -Dienlichkeit (con riferimento al 'servizio'), Beiträglichkeit (con riferimento al 'contributo'), Verwendbarkeit (con riferimento all''uso'), Handlichkeit (con riferimento alla 'maneggiabilità')- appaiono a partire dall'uso, e si riassumono nella Zuhandenheit. Seguendo Heidegger, possiamo dire che le cose, pragmaticamente, si definiscono nell'uso. La cosa è Zeug, espressione che sta genericamente per 'materia', 'roba', ma anche per 'arnese', 'utensile', 'strumento', 'equipaggiamento'. Non conta la cosa in sé, conta la cosa esperita nella quotidianità, in una situazione. Oppure meglio, la generica cosa inizia ad apparirci strumento finalizzato nel momento in cui lo usiamo.

Alla luce della Zuhandenheit, ci appare evidente la miseria della web usability di Jakob Nielsen. Nielsen esordisce con una condivisibile affermazione: “chi ha in mano il mouse decide tutto”. Con un click, con un semplice gesto della mano, posso scegliere di allontanarmi da questo sito, da questo luogo di conoscenza. In risposta a questa libertà, Nielsen chiama usability il tentativo di reprimerla. Ci viene spiegato che, affinché chi si muove liberamente nel Web non se ne fugga altrove, i siti debbono essere chiari e coerenti, devono permettere una navigazione semplice ed efficace, devono mantenere quello che promettono e non mettere mai in situazioni da cui non si sappia come uscire. Ma non è così che si avvicina il libero navigatore, l'autonomo costruttore d i conoscenza, non così si stimola a soffermarsi in questo luogo: perché quello che è per me ora chiaro e coerente, semplice ed efficace, non lo è per te. Io voglio vendere, tu vuoi comprare. Io voglio perdermi per poi ritrovarmi dopo un viaggio che mi ha imposto di scoprire qualcosa di nuovo su me stesso. Tu magari vuoi camminare in linea retta, limitandoti ad andare da qui a lì. Tutti atteggiamenti rispettabili – ma che, nella loro differenza, rendono vana l'illusione che possano esistere strumenti che a tutti, ed in ogni situazione, appaiano facilmente usabili, sempre adeguati. L'utensile universale, il coltellino svizzero multiuso, è uno strumento povero. L'usabilty, sostiene Nielsen, “rivela come il mondo funziona”. Rovescio l'assunto di Nielsen affermando che rifiuto l'usabilità di Nielsen, perché l'usabilità di Nielsen 'impone il modo di muoversi nel mondo'.

Per questa via si finisce per imporre un modo di usare definito a priori. Si assume come punto di partenza una visione metafisica dello strumento: il suo scopo è dato a priori, si deve solo imparare ad usare. Si assume che a persona al lavoro sia poco abile, e debba essere istruita, ovvero addestrata ad usare lo strumento come vuole, come ha già pensato il progettista, il programmatore, il gateekeeper. Il progettista pretende d i sapere meglio dell'utente, della persona al lavoro, in che condizioni lavorerà, e quindi prevede quali strumenti dovrà usare e come dovrà usarli. Ma la pretesa dell'esperto, dello specialista, di sapere meglio dell'altro, e meglio della persona al lavoro, è hybris, è arroganza del potere. Nasconde la volontà di controllo. Heidegger ci aiuta a vedere l'inefficacia di questo atteggiamento, la sua vanità dal punto di vista della persona al lavoro. Solo io qui ed ora essendo in situazione posso sapere cosa mi serve. Perciò i migliori degli strumenti possibili non sono gli strumenti pensati da un esperto di ergonomia, da un designer o architetto, in base ad una astratta idea di uso, sono Zeug, strumenti che prendono senso mentre li si usa. Il computer è un buon computer se posso imparare ad usarlo per tentativi ed errori. Se posso via via più finemente 'personalizzarlo'. Il computer, inteso come macchina per pensare, è una buona macchina se è plastica, adattabile alle mie esigenze e alla situazione. E' una buona macchina se è adeguata ad accoppiarsi strutturalmente con me, persona diversa da ogni altra. Per usare le parole di Humberto Maturana: la migliore scarpa, per me, non è la scarpa più nuova, magari 'tecnologicamente avanzata', è la scarpa vecchia. Il piede e la scarpa si adattano nel corso del tempo, più è stretta e frequente l'interazione, più si adattano reciprocamente. Ma c'è la scarpa progettata per adattarsi. E c'è la scarpa progettata per non piegarsi al mio modo di essere. La macchina è la migliore delle macchine possibili se valorizza la mia diversità, non se mi impone un uso razionale, economico, 'corretto'.

lunedì 3 agosto 2009

Per una fenomenologia di Microsoft Office

Office
Guardiamo dentro la suite di utensili che Microsoft di ci ha abituati a chiamare Office.
Suite: 'a group of related things intended to be used together, a set'. Utensili di base che stanno sulla scrivania, tavolo, o desktop, a portata di mano della persona al lavora. La denominazione è pertinente: in latino officium : 'lavoro, dovere,' carica', da opificium: opus facere, 'fare l'opera'.
Opus risale all'indeuropeo opos (in sanscrito apas); dalla stessa radice il verbo germanico da cui il tedesco üben, 'esercitare'. L'opus è al centro di un'area semantica vasta e diversificata, ma sempre legata all'idea centrale del lavoro umano e del suo frutto. C'è una idea di dovere morale, di compito legato a un mandato, a un incarico, a un'incombenza. C'è l'idea del favore e del servigio, i 'buoni uffici'. C'è l'idea del luogo dove si svolge il lavoro. C'è l'idea dell'organizzazione, dell'articolazione burocratica, della funzione aziendale: 'l'ufficio vendite'. C'è anche l'idea di preghiera, funzione religiosa: 'l'ufficio divino', 'l'ufficio funebre'.
C'è, con la parola scritta in maiuscolo, l'idea del controllo e della censura, del Gatekeeping: il Sant'Uffizio, che è la Congregazione per l'Inquisizione istituita da papa Paolo III nel 1542, dal 1965 Congregazione per la Dottrina e per la Fede. L'Office di Microsoft non è, nelle intenzioni, l'Ufficio inteso come controllo. E' il 'posto di lavoro attrezzato' per il lavoro d'ufficio, per il lavoro che si svolge nel luogo comunemente chiamato ufficio. In inglese già attorno al 1250, office sta per 'a post, an employment to which certain duties are attached'.
Osserviamo ora, uno per uno, gli strumenti che Office ci mette a disposizione. La questione non è certo irrilevante: lavoriamo con questi strumenti, di fatto godiamo della libertà che questi strumenti ci garantiscono. Il tornio è uno strumento che è diventato semplice 'a furia di usarlo', l'usabilità non è frutto di un progetto, ma è frutto dell'uso. Con Office, invece ci troviamo ad usare strumenti progettati da un artefice, l'usabilità dello strumento è conseguenza dell'astratta idea di lavoro che era nella mente del progettista

Word
Guardo ora a come funziona Word: non è il migliore dei word processor possibili. E comunque, non è troppo lontano dallo strumento liberante che ci aveva mostrato Engelbart in quel giorno del dicembre 1968. Nel lavorare in sintonia con la mia mente, lasciando traccia di quello che sto pensando, Word mi offre enormi opportunità.
Questo modo di scrivere che ci è diventato ormai usuale, così diverso dal vergare segni su carta. “Word processing beginning with blank piece of paper”, dice Engelbart, ed è chiaro che non ci sta parlando del lavoro del copista, della segretaria: ci sta parlando di come, attraverso la scrittura, alimentiamo il pensiero e costruiamo conoscenza.
E qui, ora, ci mostra come questa scrittura che appare fluida sullo schermo sia diversa da quella che conoscevamo. Prima, con la parola scritta su carta, dovevamo sottostare al vincolo di ciò che è già scritto: si può su carta inserire una correzione interlineare, si può cancellare. Ma la possibilità cozza con limiti tecnici. Si arriva a rendere illeggibile il testo già scritto. Si è costretti a ri-scrivere. Il testo che appare sullo schermo, invece, è fluido, sempre modificabile, sempre in fieri non c'è vincolo tecnico al cut and paste. Solo così -per approssimazioni successive, per tentativi ed errori- la scrittura può seguire liberamente il processo di costruzione di senso che ho in mente. La scrittura, così, libeta dai vincoli imposti dalla limitazione degli strumenti -penna, foglio- si riavvicina al senso generalizzato e profondo della creazione dell'opera: lavoro con strumenti su materia grezza, creo la forma. Così con gli utensili di Engelbart la massa, il pensiero che ho in mente, prende forma sotto le nostre dita poste sulla tastiera, attraverso il palmo della mano che avvolge il mouse.
Non posso non emozionarmi vedendo Engelbart che mostra per la prima volta come si fa: scrive word, word, word, le parole che parlano di parole si spostano nello schermo, scompaiono e riappaiono in luoghi e in organizzazioni diverse.
E la macchina conserva in memoria per noi: conserva una versione del testo, e intanto permette di cambiarla. Il file non è il testo che ho in mente, il testo inteso nelle sue potenzialità e nella sua possibile vita. E' una versione conservata, archiviata.
Il testo che ho in mente può manifestarsi in scrittura sequenziale, ma anche sotto altre diverse forme non-lineari: lista di parole, rete di concetti.

Excel
Guardo a come funziona Excel. Non mi importa la specifica differenza rispetto ad altri spreadsheet: ciò che è importante osservare è la novità insita nello spreadsheet, o foglio elettronico. La novità è paragonabile alla novità del word processor. Forse per certi aspetti più significativa. Se il word processor è lo strumento per scrivere con le parole, lo spreadsheet è lo strumento per scrivere con i numeri. Non a caso lo strumento è pensato negli stessi anni Sessanta, parallelamente al word processor.
Questa tabella, di dimensione potenzialmente infinite, è inizialmente usato per insegnare finanza in ambito universitario. Ma mi pare chiara la discendenza dello spreadsheet dai cellular automata di Von Neumann. L'esperimento, che doveva mostrare il manifestarsi della vita, era descritto facendo riferimento a una "regular grid of cells". Ogni cell , in base alle proprie caratteristiche, sempre in via di evoluzione, influenza l'ambiente circostante e il complessivo sistema. Ogni cell può essere intesa come 'centro'. Cell, in inglese, sta sia per cellula, 'unità elementare della materia vivente', e anche per cella del foglio elettronico.
L'automa cellulare va nella direzione dell'Intelligenza Artificiale: vuole mostrare come nascono e si evolvono i monti virtuali. Ora, lo spreadsheet accetta l'idea di partenza, ma propone un percorso che non esclude l'uomo. Non intelligenza artificiale, ma intelligenza manifestata dall'accoppiamento strutturale di uomo e macchina. La mente umana è in grado di pensare sempre nuovi algoritmi, lo spreadsheet accresce esponenzialmente la capacità di verificare gli effetti dell'algoritmo sul sistema. Ciò che essenzialmente questo strumento permette di fare, è il lavorare verificando gli effetti di diverse scelte. 'Se faccio così, il sistema si evolverà e si adatterà in questo modo'.
Si dice che lo spreadsheet permette di lavorare 'per simulazione'. Ma questo modo di vedere mi pare riduttivo e fuorviante. Se per simulazione si intende il ricorso a un modello matematico, ad una rappresentazione, che corrisponde ad una lettura del mondo, lo spreadsheet non ha niente a che fare con la simulazione. Lo spreadsheet, invece, non rappresenta il mondo attraverso un modello dato a priori. Lo spreadsheet accoglie dati elementari, e permette istante dopo istante di far emergere un modello di lettura. Più che di simulazione, parlerei quindi di sperimentazione, o meglio del 'fare esperienza'. Latino experiri, ex perior, 'io provo', provo, istante dopo istante, per tentativi ed errori a 'portar fuori', 'portare alla luce', conoscenza.
Non una macchina chee mi indica una via, ma una macchina che mi aiuta a scegliere la via.
Perciò lo spreadsheet come il word processor ed il motore di ricerca, appare esemplare utensile messo a nostra disposizione dal Personal Computing.

Power Point
Ma la scatola di Office non contiene solo Word e Excel. Contiene altri due utensili che ci appaiono, al contrario del word processor e dello spreadsheet, strumenti pericolosi e fuorvianti.
Power Point, così come i consimili presentation program, non serve a costruire conoscenza. Anzi, nega l'idea di costruzione.
La presentazione pre-parata tramite Power Point è negazione dell'esserci. Mentre scrivo con il word processor (come in questo istante) sono qui ed ora, sono in sintonia con i tempi e i modi della mia mente. Invece, mentre preparo una presentazione in Power Point non sono qui ed ora: sto immaginando una situazione futura, che mi propongo di imporre a un pubblico. Ma non sono neanche lì, nel momento in cui converserò con altre persone. Ora, preparando la presentazione, sto preparandomi a non essere effettivamente lì nel momento in cui saremo insieme. Sto creando le condizioni per non esserci.
Heidegger parlava di Dasein. Sein è 'essere'; da sta per spazio, luogo che contempla sia l'immediatezza del 'qui' che la distanza descritta dall'italiano 'lì'. Per indicare questa ambiguità di senso, in italiano è invalsa la traduzione esserci. Il ci non sta a indicare una mera localizzazione spaziale, ma qualcosa di più ambiguo e complesso: ci parla di come l'Essere è presente; 'come si sta' nel momento, 'cosa si prova'.
Ecco: Power Point è strumento che permette di eludere l''essere presente, 'l'esserci'. Con Power Point preparo l’annullamento dell’esserci. Non ci sono ora mentre sto lavorando alla presentazione, non ci sono quando erogo la presentazione.
Se usa Power Point, lasciandosene guidare, la persona che parla guardando in faccia i presenti, non osserva sul volto e nei gesti le loro reazioni. Con l'uso di Power Point scompare il narratore che costruisce la narrazione in funzione dell’uditorio.
C’è, in sostituzione, un programma che detta il ritmo e contiene ciò che deve essere detto. La persona che usa Power Point è in realtà al servizio di Power Point: riduce il suo ruolo a servitore della macchina: schiaccia il tasto, mostra chart dopo chart un testo chiuso e messo in sequenza.
Né può esserci ascoltatore partecipe. I presenti sono ridotti a fruitori – più passivi sono meglio è.
La conoscenza, che nasce nell’atto, è esclusa dalla scena. Al suo posto, una rappresentazione. Che dovendo andare bene per tutti, non va bene per nessuno.
Dunque, mentre Word e Excel mi aiutano ad esserci, mi stimolano ad esserci, contribuiscono al mio esserci, Power Point mi permette di non esserci. Anzi, mi impone di non esserci, e giustifica il mio non esserci.
Se il lavoro è costruzione di conoscenza, se la conoscenza efficace emerge nel qui ed ora, e se il Personal Computer lavora con me a costruire conoscenza, Power Point è un attrezzo inutile. Anzi, dannoso.

Access
Infine, Access. Già l’idea dell’accesso è poco felice. Il tema dell’accesso si pone in un contesto dominato dal Gatekeeper: qualcuno controlla chi può accedere alla conoscenza e chi no; qualcuno controlla se posso accedere alla conoscenza, o no. Il tema non dovrebbe aver motivo di esser posto dove si tratti di una macchina personale, accoppiata strutturalmente alla mia mente: nessuna barriera di accesso si pone tra me e me.
Il fatto è che Access appartiene a una precisa classe di strumenti software: è un Data Base Management System (DBMS), è uno strumento per costruire Data Base. Il Data Base è una idea che porta in sé un doppio vincolo. Primo vincolo: la conoscenza è possibile solo se è dato, prima di tutto, un modello che la descrive. Secondo conseguente vincolo: la conoscenza si costruisce in un mondo che sta fuori dal dominio delle persone. (Siamo sempre nei pressi dell’a priori kantiano).
Ciò che trasforma materia grezza in conoscenza è -se prendiamo per buono questo punto di vista-, il modello. L’informazione che viaggia lungo il canale, che è in origine mero rumore, dato grezzo, si manifesta come conoscenza se, e solo se, passa al vaglio dei criteri di giudizio previsti dal modello.
Il Data Base, dunque, è strumento per costruire 'sistemi informativi' estraniati, alienati. Di tutti e di nessuno.
Non a caso il Data Base si afferma negli anni Sessanta del secolo scorso. Ma no è, come il word processor e lo spreadsheet, un utensile al servizio dell'uomo che sta lavorando. Il Data Base, all'opposto, è un fondamentale elemento dello stesso progetto cui appartengono il Mainframe -macchina totalizzante intesa come modello organizzativo di ciò che si deve sapere e si deve fare- e l'Intelligenza Artificiale -intesa come alternativa alla mente umana-.
Il Data Base, come aveva insegnato già Linneo, si fonda su una descrizione del mondo assunta come buona una volta per tutte. Di conseguenza classifica gli enti. Impone quindi alle persone di assoggettarsi a questo criterio di classificazione. Possiamo anche chiamare il contenuto di questi sistemi informativi conoscenza, ma non è la conoscenza legata al soggetto.
Se intendiamo il Persona Computer come macchina al servizio della persona, trovare dentro la scatola di Office un utensile pensato per imporre questo modo di lavorare, è un paradosso. Ma è anche la conferma di un assunto: per ogni Gapekeeper, il miglior modo per garantire un controllo è aver instillato nelle menti il tarlo dell'autocontrollo. La miglior censura è l'autocensura.
Le distorsioni provocate da Access nel personale processo di costruzione di conoscenza, sono dunque altrettanto gravi delle distorsioni provocate da Power Point. Ciò che consola, è che quasi nessuna persona al lavoro sceglie spontaneamente di usare Access.

Dunque, nettamente, da una lato Word e Excel, dall'altro Power Point e Access. Dentro al scatola di Office, due diverse, opposte, maniere di intendere il computing.