mercoledì 19 settembre 2012

Il quipu come codice e come macchina


Immaginiamo un viaggiatore di ritorno dopo dopo una lunga assenza. Lontano dalle nostre terre tra l’ultimo scorcio del secolo scorso e l’inizio di questo, osserverà ritornando, certamente sorpreso, la macchina multiuso di cui può disporre ora ogni essere umano. Macchina che permettono di scambiare messaggi istantanei, e di conversare, anche condividendo le reciproche immagini, senza che influisca la distanza; e che offrono al contempo gli strumenti per fare di calcolo; e per scrivere liberi dai vincoli imposti dal foglio di carta; e di pubblicare, fuori dal controllo di editori e censori; e di accedere a innumerevoli fonti: archivi, documenti, libri, qualsiasi biblioteca del globo; macchine con le quali, ancora di si possono scattare fotografie, registrare filmati; registrare voci e comporre musica, disegnare; e conservare e organizzare e condividere questi oggetti multimediali, così come si possono conservare e organizzare e condividere i testi scritti; mischiando anche parole scritte e voci e suoni e immagini fisse e in movimento; fin al punto che il modo di intendere lo scrivere e il leggere, il disegnare e il fotografare e il comporre musica -intesi come singole arti- perdono di senso. E l’uomo appare, tramite queste macchine, più capace e intelligente.
Simile stupore dovevano trovare gli spagnoli che in terra d’America, attorno al 1530, giunti a contatto con la gran cultura dell’Impero Inca, ebbero modo di osservare come lì si ‘scriveva’, e si ‘leggeva’, e si organizzavano e si conservavano le conoscenze.

Para suplir la falta de letras, tenían estos bárbaros una curiosidad. (…) Las cosas más notables, que consisten en número y cuerpo, notábanlas, y agora las notan, en unos cordeles, a que llaman quipo, que es lo mismo que decir racional o contador. (...) Es cosa de admiración ver las menudencias que conservan en questos cordelejos, de los cuales hay maestros como entre nosotros del escribir.
Y así cada uno a sus descendientes iba comunicando sus anales por esta orden dicha, para conservar sus historias y hazañas y antigüedades y los números de las gentes, pueblos y provincias, días, meses y años, batallas, muertes, destrucciones, fortalezas y cinches.
Pedro Sarmiento de Gamboa, Segunda parte de la historia general llamada indica, Cuzco, 1572 (scritto tra il 1570 e il 1572).

Per supplire alla mancanza di lettere, avevano questi barbari una curiosità. (…) Le cose più notevoli, che consistono in numero e corpo, le annotavano, e ora le annotano, in delle cordicelle, che chiamano quipo, che è lo stesso che dire razionale o contabile. (…) E’ cosa che desta meraviglia vedere le minuzie che conservano in questi cordami, dei quali ci sono maestri come tra noi dello scrivere.
E così ognuno ai suoi discendenti comunicava i suoi annali per mezzo di questo detto ordine, per conservare le loro storie e le gesta e le antichità e il numero delle genti, dei popoli e delle province, dei giorni, e dei mesi e degli anni, e le battaglie, le morti, le distruzioni, le fortezze e i capitani.
Pedro Sarmiento de Gamboa, Historia índica, sta in Garcilaso de la Vega, Obras Completas, Apéndice con Historia indica de Pedro Sarmiento de Gamboa, Atlas, Madrid, 1965. Tomo IV, pp. 211-212 (Biblioteca de Autores Españoles, 135).

Nel cogliere il senso profondo di ciò che chiamiamo ‘leggere’ e ‘scrivere’, ci è di grande aiuto l’osservazione di altri modi di costruire conoscenza, modi assolutamente differenti.
Tramite i quipos questi indios conservano la conoscenza “vera y ordenadamente”, “veramente e ordinatamente”, diceva Sarmiento de Gamboa. Martín de Murúa, altro Cronista delle Indie,
precisa: “tutto messo con molto ordine e ben disposto”. C’è dunque un criterio, c’è una logica precisa. C’è un modo -per noi incomprensibile, ma efficace- per conservare e per recuperare. Per mantenere nel tempo e per avere a disposizione in questo istante.
I cronisti osservano, testimoniano. Mostra la sorpresa di fronte alla differenza. Anche se forse non la sa percepire nelle sue dimensioni. Non poteva sapere che i quipos erano in uso almeno da 2.500 anni prima di Cristo. L’invenzione della scrittura con caratteri cuneiformi, incisi con uno stilo su un supporto di argilla, è di poco precedente.
Accettare che alfabeti, scrittura, libri non siano che una delle forme attraverso le quali può essere conservata la conoscenza è mettere in discussione i fondamenti della nostra cultura.
Ciò che noi facciamo con carta e penna, gli indios di cultura quechua fanno attraverso i quipos. Ma gli indios fanno attraverso i quipos anche -ed è questo secondo passaggio che appare più importante- ciò che facciamo, nel dominio dell’informatica, scrivendo su un supporto di memoria – un disco, un supporto allo stato solido.
Di fronte a questa constatazione, siamo obbligati ad allargare lo sguardo. La nostra consuetudine con un certo modo di scrivere ci fa velo. In realtà, conosciamo altre codifiche.
I quipus ci portano su un terreno inusitato, ben oltre la visione del mondo che può essere espressa attraverso la metafora del libro.
Ci spingono a riflettere su come il codice che presiede al funzionamento del computer, al di là dell’apparenza, non sia poi così diverso dal codice che presiede alla scrittura con carta e penna.
Ci spingono anche a chiederci se forse, condizionati dalla tradizione, dalla consuetudine, non leggiamo in termini riduttivi la novità implicita nel computer e nel suo codice.
Tramite questi ‘cordami’ sono conservate, con minuziosa precisione “sus historias y hazañas y antigüedades y los números de las gentes, pueblos y provincias, días, meses y años, batallas, muertes, destrucciones, fortalezas y cinches”; “le storie e le gesta e le antichità e il numero delle genti, dei popoli e delle province, dei giorni, e dei mesi e degli anni, e le battaglie, le morti, le distruzioni, le fortezze e i capitani”.
Ciò che più desta meraviglia è che attraverso i quipos fossero conservati non solo dati 'discreti', numerici', ma anche narrazioni.
Tutto lo scibile può essere conosciuto, tutta la conoscenza può essere conservata, ogni storia può essere narrata attraverso corde e nodi.  

I quipos ci spingono a ricordare come noi, bisognosi di fondamenti, riconduciamo la novità a ciò che è spiegabile avendo in mente il libro. Impediamo così forse al computing di sprigionare la novità di cui è portatore. C'è di più: http://diecichilidiperle.blogspot.it/2012/11/analogia-tra-quipus-e-informatica.html.