giovedì 21 novembre 2013

Alan Turing, la logica binaria e la perfezione non-umana

Una precisa scelta filosofica sta alla base del computing: la logica binaria. Già Leibniz, tre secoli prima, aveva cercato via d’uscita dalla complessità e all’incertezza dei rapporti sociali nel calcolo logico. L’intenzione torna ad affermarsi all’inizio del Ventesimo Secolo per tramite di Frege, Russell, Hilbert.
Accade così che che uomini sensibili, lucidissimi, posti dalla loro stessa intelligenza nella necessità di trovare risposte, si affidino alla matematica, cercando, tramite la matematica una via per eliminare dal ragionamento ogni zona grigia.
Tra i problemi proposti ai matematici da Hilbert all’inizio del secolo gioca un ruolo centrale l’Entscheidungsproblem, il Problema di Decisione: vi si chiede di dimostrare che esiste un un procedimento che sappia riconoscere, distinguendoli dagli altri, gli enunciati che possono essere dimostrati veri.
La matematica, si spera, offrirà così la via formale per affrontare in modo risolutivo e definitivo i temi già posti dalla logica classica e medievale. Il principio di identità: A è A; il significato dei termini deve mantenersi costante. Il principio di non contraddizione: A non può essere non A. Il principio del terzo escluso: dato un sistema a due valori, Vero e Falso, un enunciato è vero o è falso: una terza possibilità è esclusa.
Alan Turing, ventiquattrenne fellow al King's College, Cambridge, pubblica nel 1936 On Computable Numbers, with an Application to the Entscheidungsproblem, l’articolo che segna la nascita del computing.
Nel solco della matematica di Hilbert, Turing va oltre i teoremi di incompletezza dimostrati da Gödel. Si può individuare un algoritmo generale, e quindi una procedura meccanica, in grado di stabilire, per ogni formula di un linguaggio formale, se si tratta oppure no di un teorema, ovvero se è deducibile o no dagli assiomi. Si individua, insomma, un ambito -l’ambito dei numeri computabili- per i quali è possibile il calcolo logico. Si dicono computabili i numeri reali che possono essere calcolati con precisione da un programma. Definito il programma, il lavoro può essere svolto da un uomo così come da una macchina: la ‘macchina di Turing’, l’archetipo logico di ogni computer. Il Paradiso indefessamente cercato da Hilbert -un Paradiso logico nel quale, tramite linguaggi matematici, si potesse distinguere con certezza il vero dal falso- è limitato ad un terreno ridotto. Ma, almeno, in questo sia pur ridotto terreno si può con chiarezza distinguere A da non A. Questo terreno è il computing: data una qualsiasi funzione computabile, esiste una macchina di Turing in grado di eseguirla.

Il test di Turing
Turing aveva immaginato nel 1936 la sua macchina, il prototipo di ogni computer. McCulloch e Pitts avevano quindi formulato nel 1943 l’ipotesi che la Mente, e quindi ogni mente, funzionasse come quella macchina. Ora quindi, nel 1950, Turing, in Computer Machinery and Intelligence, può chiedersi: “possono le macchine pensare?”, e si risponde che sì, le macchine possono pensare.
Turing però -erede della scuola di Leibniz, Frege, Russell, Hilbert- considera che il pensiero consista nel calcolo logico, proposizionale, booleano, rappresentato in sintesi dall’opposizione binaria, erede dei classici principi di identità: A è A, e di non contraddizione: 'A non può essere non A'.
Il luogo centrale dell'articolo del 1950 -originaria esaltazione delle potenzialità del computer e fondamento della ricerca orientata all'Intelligenza Artificiale- è un test, universalmente noto come Test di Turing.
E' la rivisitazione di un gioco di società. Mette in scena due attori chiusi in una stanza. Un terzo, fuori dalla stanza, pone domande ai due attori. Nel prosieguo del test Turing sostituisce ad uno dei due attori una macchina. Ma soffermiamoci qui sul primo momento. L’osservatore ponendo domande deve capire se uno dei due soggetti è uomo o donna. Turing, abbiamo detto, usa gli strumenti della logica formale, per cui tertium non datur. Tutto l’impianto del pensiero razionale si fonda sull’escludere dal ragionamento, formalizzato in calcolo logico, l’esistenza di una terza possibilità.

Tertium datur
Se però ora allarghiamo lo sguardo, e contempliamo nel nostro ragionamento la storia di vita di Turing, possiamo prendere in considerazione un fatto noto: Turing era omosessuale.
Sappiamo anche che combatté con questa sua differenza. Cercò di negarla a se stesso. Cercò di rimuoverla. Quattro anni dopo aver scritto quell’articolo, nel 1954, Turing muore, probabilmente suicida, in ogni caso distrutto dall’aver dovuto rivelare al mondo la sua omosessualità, umiliato dall’essere stato per questo punito da un tribunale, e pubblicamente costretto a curarsi per questa 'malattia'.
Possiamo dunque sostenere che Turing, prova vivente del tertium datur, abbia inconsciamente cercato di prendere le distanza dal proprio modo di essere -che cozzava con giudizi sociali dominanti, che rendeva penosa la vita- con l’immaginare un mondo logico, matematicamente perfetto, dove vigesse senza eccezioni il principio del tertium non datur, dove ogni contraddizione, ogni imperfezione fosse negata per principio, fosse negata proprio dalle regole che presiedono al funzionamento del mondo. Le proprie contraddizioni personali spingono dunque ad immaginare una macchina priva, giustamente, di quelle contraddizioni.
Il senso di colpa dell’establishment britannico hanno in anni successivi portato ad una fin eccessiva mitizzazione del personaggio Alan Turing, basta vedere l'apologetica voce dedicatagli da Wikipedia. Molte parole sono state usate per fornire ad Alan Turing un risarcimento postumo per l’ingiusta discriminazione. Ma ci si è ben guardati dal tentare connessioni tra la sua personale vicenda e l’emergere del suo pensiero.
La gran cattedrale del computing vedrebbe messo in discussione il suo valore simbolico se ci soffermiamo sulle debolezze, sulle motivazioni profonde dei suoi costruttori. Autobiografia ed opera debbono restare due capitoli diversi e separati. Il canone scientifico non deve essere disturbato dalle vicende personali. Il bisogno di prendere le distanze dalle umane debolezze, che è anche nostro, spinge a mantener viva l’idea di un Calcolo logico, immune agli umani difetti; spinge a considerare più importante dello stesso Turing la macchina di Turing.

sabato 10 agosto 2013

Un modo di intendere l'informatica umanistica

L'informatica strutturata subordina l'accesso alla conoscenza a modelli, griglie, gerarchie - schemi, tutti, inevitabilmente dati a priori.
Il sistema funziona solo se colloco un dato all'interno del modello dei dati. Solo se assoggetto una informazione ad una transazione. Solo se inserisco un documento in una cartella.
Il sistema funziona solo se conservo una unica versione del dato, dell'informazione, del documento.
Si scarta così tutto ciò che è di difficile collocazione e di difficile trattamento - e si tratta di ciò che spesso, proprio per questa sua anomalia, è potenzialmente più ricco.
Per accedere a quel dato, a quell'informazione, a quel documento devo andare a cercarlo esattamente lì dove è stato correttamente collocato. La transazione funzionerà se, e solo se, si svolgerà esattamente come è stato previsto. Troverò il documento -che adesso cerco per un motivo diverso dal motivo per cui avevo scelto di conservarlo- solo se riuscirò a tornare mentalmente al momento in cui ho scelto la cartella in cui collocarlo.
Funzionano in questo modo i computer quando sono intesi come macchine eredi del progetto della matematica di Hilbert. Non a caso il computer è stato progettato dal suo più acuto allievo, von Neumann: un linguaggio logico, universale e privo di sbavature, capace di descrivere il mondo in modo univoco, discriminando il vero dal falso. Garantendo ragionamenti perfetti e verità indiscutibili. Ciò che non può essere detto tramite questo linguaggio -come sintetizzò Wittgenstein- deve essere taciuto.
Questa macchina  funziona come l'uomo non può e non vuole funzionare. Quindi, sostituisce l'uomo. Usando questa macchina l'uomo accetta di pensare in un modo che non è il suo.
Vannevar Bush, che conosceva bene questa macchina quando, negli anni '40 del secolo scorso, se ne stavano costruendo i primi prototipi funzionanti, eccepisce: 'ma l'uomo non ragiona così'.
Bush, a partire da questa constatazione, descrive una macchina diversa. Una macchina che negli anni '60, in virtù del lavoro di due seguaci di Bush, Licklider e Engelbart, verrà effettivamente costruita.
La macchina di Bush non sostituisce l'uomo, ma invece l'accompagna l'uomo nel suo muoversi tra dati, informazioni, documenti. Una macchina che accetta di conservare dati. informazioni, documenti, a prescindere dall'esistenza di modelli, griglie, gerarchia. Una macchina che non elimina tutto ciò che, rispetto ad una astratta idea di perfezione, appare rumore e ridondanza: una macchina che accetta cioè di conservare -e di considerare ricca fonte di conoscenza- dati, informazioni, documenti replicati, caratterizzati da varianti, incompleti, simili l'uno all'altro, in apparenza indistinguibili.
La macchina di Bush permette di accedere a dati, informazioni, documenti, dovunque siano conservati, e di connetterli tra di loro. E' una macchina che accompagna l'uomo nel pensare, nello sgarbugliare il garbuglio che ha in mente. Una macchina che accompagna l'uomo nel suo imperfetto, personale, irripetibile, di volta in volta differente percorso di costruzione di conoscenza.
La 'macchina di Hilbert e di von Neumann' funziona in base ad uno schema dato a priori: un programma. L'uomo può fare solo ciò che la macchina considera fattibile.
La 'macchina di Bush, Licklider e Engelbart' interagisce con l'uomo, accrescendone la creatività, l'immaginazione, l'inventiva.
Perciò si può dire che all'informatica strutturata si oppone l'informatica umanistica.

sabato 3 agosto 2013

Codice digitale come infinito attuale: una immagine


Fare un gesto, prendere la penna in mano, e iniziare a scrivere su un foglio bianco. O prendere il pennarello e mimare il gesto di scrivere qualcosa sulla lavagna bianca.
Tutto sta nel gesto dello scrivere. Si è aperta con la digitalizzazione -questo è il nuovo campo aperto dal computing- una fenditura, un enorme sconfinato mondo. Si è aperta una fenditura dentro il gesto, si è aperto una fenditura nello spazio tempo: una di quelle situazione racchiuse in un attimo che la science fiction coltiva. E’ un approfondimento abissale del gesto dello scrivere.
Se scrivo sul foglio, sul supporto piano, immediatamente l’utensile graffia o incide il supporto. Se invece vedo il gesto dello scrivere nel contesto della cultura digitale, vedo aprirsi un mondo di passaggi e di processi.
Posso sfiorare uno schermo di iPad o posso scrivere come ora sulla tastiera. Così facendo, come nel caso della tradizionale scrittura su supporto piano, graffio o incido un supporto, lascio traccia su un supporto: un disco, o un supporto allo stato solido. Ma scrivendo su carta vedo il supporto, vedo l'incisione, la tracciatura nel suo farsi. Nel caso della codifica digitale, invece, il supporto è remoto e sempre invisibile. E sopratutto mi è invisibile lo ‘sfondamento’ nello spazio tempo: il segno può incidersi immediatamente sul disco fisso del mio device, o viaggiare nella Rete e depositarsi sul disco del server di una remotissima server farm. Il testo che ho scritto, inciso, memorizzato, non è la preview che ora vedo sullo schermo. La preview infatti risiede solo sulla Ram, non sul disco. Il testo è ciò che ciò che 'si sta scrivendo' in quell'attimo sul disco. Il testo è ciò che quel disco lontano e invisibile restituirà poi in lettura a me o a chiunque altro.
La scrittura digitale un processo istantaneo di cui nulla vedo. E’ una espansione infinita del gesto dello scrivere.
Se scrivo con una penna, o se stampo tramite una macchina da stampa, produco immediatamente il codice. Vedo il codice: i segni tracciati sul supporto. Così come sono in grado di scriverlo, sono in grado di leggerlo.
Se scrivo tramite computer il codice si produce invece in un luogo remoto, attraverso una serie di passaggi -di nodo in nodo della Rete, di macchina in macchina, da disco a disco- passaggi che sfiorano l'infinito. Il codice si forma su quel disco, quel supporto invisibile e remoto, ma è un codice astruso. Solo una macchina è in grado di scrivere quel codice, solo una macchina è in grado di leggere quel codice, solo un a macchina è in grado di renderne a me o ad altri lettori una traccia intellegibile su uno schermo.
Il foglio bianco ricoperto di segni, vergati dalla penna o stampati da una macchina, appare certo e rassicurante. Perché non c'è niente di mezzo tra la mano dotata di penna e il foglio; tra i caratteri di piombo e il foglio; tra la lastra incisa e il foglio. La codifica digitale avviene invece in un luogo remoto, si manifesta in una profonda oscura fenditura dello spazio-tempo. Perciò inquieta.
La codifica digitale è la ‘scrittura’ di cui parla Derrida - sebbene Derrida fosse lontano dal comprendere che stava parlando di ciò che il computing ha reso possibile. La scrittura digitale colloca il testo nell’Ungrund di Böhme: un luogo che è infinito sfondamento, inconoscibile trascendente: l'antitesi appunto di quel ground, di quel solido terreno, collocato nell'ordinaria realtà, che è il supporto piano, il visibile foglio, la pagina del libro.
Un iperspazio, una abissale fenditura si apre dentro il gesto dello scrivere/leggere, dentro un continuum che conoscevamo come certo ed evidente ed indiscutibile. Quello che scrivo, oggi, con la codifica digitale non è più lì, sul foglio o sulla lavagna. Quello che scrivo 'va a a finire' immediatamente in un luogo remoto. Di laggiù, da quest'abissale fenditura tornerà il testo che potremo leggere.
Il testo cioè, nel dominio della codifica digitale, 'va a finire', per poi di là eventualmente tornare, in quello spazio-tempo sul quale si interrogavano i filosofi e i matematici, Aristotele o forse già Parmenide, e poi Plotino: l'infinito attuale. Un infinito presente nell'attimo. Quell'infinito che Cantor cercò di descrivere.
Non a caso il computing discende direttamente dai tentativi di descrivere formalmente che matematici e filosofi portarono avanti tra la fine del 1800 e i primi trent'anni del Ventesimo Secolo.

lunedì 29 luglio 2013

Tecnologie dell'informazione e produzione di letteratura 2013-2014


Questo è il programma del mio insegnamento nel secondo semestre dell'anno accademico 2013-2014, presso il Corso di Laurea Interfacoltà in Informatica Umanistica, Laurea Magistrale, Università di Pisa.

Titolo: Tecnologie dell'informazione e produzione di letteratura
Docente: Francesco Varanini

Argomento:
Intendiamo comunemente la letteratura come insieme insieme di opere scritte, composte di segni alfabetici, pervenute a noi tramite la stampa.
La codifica digitale -che consente di conservare nella stessa maniera, e di connettere infinite possibili reti, ‘oggetti di conoscenza’ suoni, immagini, segni alfabetici- e le modalità di pubblicazione rese possibili dal World Wide Web, ci impongono un ripensamento.
Segni già presenti ci permettono di immaginare la letteratura del futuro.
Così come può essere ripensata la letteratura, può essere ripensato il lavoro condotto attorno al testo da diversi attori: autore, individuale o collettivo; editore; interprete; lettore.
La parte generale del corso riguarderà il concetto di letteratura.
La parte monografica riguarderà l’opera di James Joyce Finnegans Wake.

Testi di studio

Un testo per ripensare le storia della cultura legata al libro
Ivan Illich, In the Vineyard of the Text : A Commentary to Hugh's Didascalicon, University of Chicago Press, 1993; trad. it. Nella vigna del testo, Cortina, 1994.

Due testi attraverso i quali immaginare il futuro
- Ted H., Nelson, Literary Machines, Swarthmore (Pa), 1981 (pubblicato in proprio). Trad. it. dell'ed. 1990: Literary Machines 90.1, Muzzio, Padova, 1992.
- J. C. R Licklider, Libraries of the future, The MIT Press Cambridge, MA 1965

Altri stimoli per immaginare la letteratura avvenire
- J. Yellowleses, The End of Books - Or Books without End?, The University of Michigan Press, Ann Arbor, 2000 http://www.press.umich.edu/pdf/0472111140.pdf
- Nathan Brown, “The Function of Digital Poetry at the Present time”, Electronic Literature. - New Horizons for the Literary, 2008, http://newhorizons.eliterature.org/essay.php@id=11.html
- N. Katherine Hayles (UCLA), Electronic Literature: What is it?, v1.0, January 2, 2007, The Electronic Literature Organization http://eliterature.org/pad/elp.html
- Steven Johnson , “Why No One Clicked on the Great Hypertext Story”, Wired Magazine, April 16, 2013 6:30 am http://www.wired.com/magazine/2013/04/hypertext/
- Paul Lafarge, “Why the book’s future never happened”, Salon, Tuesday,
- Richard Scott Bakker, “The Future of Literature in the Age of Information”, Three Pound Brain, (2011) http://rsbakker.wordpress.com/essay-archive/the-future-of-literature-in-the-age-of-information/

Testi di Francesco Varanini
- Lezione digitale di Tecnologie dell’Informazione e produzione di letteratura, accessibile (sotto forma di testo scritto, narrazione orale, presentazione sintetica) presso iTune University. https://itunes.apple.com/it/podcast/rielaborazione-del-discorso/id400492966?i=88483620

- Nebrija: L'impero della lingua o la lingua dell'impero,
- Permanentemente registrare, in vista di giorni migliori. Ovvero la conoscenza come divinazione e preghiera, http://www.scribd.com/doc/100496616/Francesco-Varanini-Permanentemente-registrare-in-vista-di-giorni-migliori-Ovvero-la-conoscenza-come-divinazione-e-preghiera
- Inoltre, i testi apparsi sul blog Dieci chili di perle, http://diecichilidiperle.blogspot.it/, in particolare i testi con le etichette: ‘come si scrive’, ‘cosa è il Web’, ‘cosa è la letteratura’, ‘editoria’, ‘romanzo come baule’.

Finnegans Wake
James Joyce, Finnegans Wake, Faber & Faber, London, 1939, New York: The Viking Press, 1939.

Versioni digitali
- eBook The University of Adelaide
- Finnegans Web - Trent University
The complete text of Finnegans Wake, along with a search engine

Avvicinamenti al testo
- Finnegans Web & Wiki
A wiki-based Study Guide to Finnegans Wake
- Glosses of Finnegans Wake
- Finnegans Wake Extensible Elucidation Treasury
- Concordance of Finnegans Wake, compiled by Eric Rosenbloom

Siti contenenti altre fonti Web a proposito di Finnegans Wake
- Wake Links- Web sites, useful and pleasurable, for readers of Finnegans Wake
- Links to Other Finnegans Wake and Joyce Sites
- Online Literary Criticism Collection. Sites about Finnegans Wake

Avvicinamenti ad una ‘lettura digitale’ di Finnegans Wake
- Matt Collette, “Digital tools help uncover memes in literature”, news [at] Norteastern, April 26, 2013 http://www.northeastern.edu/news/2013/04/finnegans-wake-memes/
- Robert Guffey, “The Twelfth Thunder: Beyond the Digital Environment of Finnegans Wake”, Paranoia. The Conspiracy Reader, January 25, 2013,

Un esempio di ri-lettura di Finnegans Wake
Dhau (Pietro Luca Congedo, apparato percussivo, elettrofonie; Luca Barbieri, registri vocali), James Joyce, Anna Livia Plurabella. Notturno, Frammenti elettrofonici di Finnegans Wake
Vedi anche: James Joyce, Anna Livia Plurabella - Modulatore di stati - RTSI - TVcult

Esercitazione
Prendendo ad esempio il lavoro svolto da Dhau, stendere un progetto -e dei limiti del possibile implementarlo- relativo ad un ‘uso’ di Finnegans Wake reso possibile dalla codifica digitale.

Knowledge Management 2013-2014


Questo è il programma del mi insegnamento nel primo semestre dell'anno accademico 2013-2014, presso il Corso di Laurea Interfacoltà in Informatica Umanistica, laurea Magistrale, Università di Pisa.

Titolo: Knowledge Management
Docente: Francesco Varanini

Argomento:
- Dati, informazioni, conoscenze: definizioni e concetti
- Lineamenti di storia dell’organizzazione del lavoro
- Lineamenti di una epistemologia del sapere prodotto da persone impegnate nel lavoro
- La definizione di conoscenza proposta di Humberto Maturana: “Non la rappresentazione di una realtà data a priori, non è un procedimento di calcolo basato sulle condizioni del mondo esterno. Quando un essere umano si comporta in modo adeguato e coerente con le circostanze specifiche, allora si dice che questa persona conosce”.
- Il modello di Nonaka: da conoscenza tacita a conoscenza esplicita
- Simbiosi uomo-macchina e aumento dell'intelligenza umana: Bush, Licklider, Engelbart
- Riflessione critica sull'’Information overload’ (‘infobesity’, ‘infoxication’)
- La conoscenza come asset intangibile
- Portali interni come luogo di costruzione condivisa di conoscenza

Testi d'esame:
- Alberto De Toni. Andrea Fornasier, Guida al Knowledge Manaagement, Il Sole 24 ore, 2012.

- Gregory Bateson, “Culture Contat and Schismogenesis”, Man, vol. 35, (Dec. 1935), pp. 178-183
Gli studenti sono invitati a chiedersi:
- come la schismogenesi influisce sulla condivisione delle conoscenze
- come evitare l'insorgere della schismogenesi

- Ikujiro Nonaka, The Knowledge-Creating Company, Harvard Business Review, November–December 1991. http://www.scribd.com/doc/68585798/Knowledge-Creating-Company-nonaka
- Ikujiro Nonaka and Ryoko Toyama, “The Knowledge-Creating Theory revisited: Knowledge Creation as a Synthesizing Process”, Knowledge Management Research & Practice, e (2003) 1, 2–10. http://www.ai.wu.ac.at/~kaiser/birgit/Nonaka-Papers/The-knowledge-creation-theory-revisited-2003.pdf
- Ikujiro Nonaka, Hirotaka Takeuchi, The Knowledge-Creating Company: How Japanese Companies Create the Dynamics of Innovation, Oxford: 1995; trad. it. The Knowledge-Creating Company. Creare le dinamiche dell’innovazione, Milano Guerini e Associati, 1997. (In alternativa ai due articoli sopra indicati, studiare qui il capitolo riguardante il modello, trad. it.: pp. 110 e segg.).

- J. C. R. Licklider, “Man-Computer Symbiosis”, in: IRE (Institute of Radio Engineers) Transactions on Human Factors in Electronics, volume HFE-1, pages 4–11, March 1960.
- J. C. R. Licklider, “Memorandum For Members and Affiliates of the Intergalactic Computer Network”, Originally distributed as a memorandum April 23, 1963. Published on KurzweilAI.net December 11, 2001. http://www.kurzweilai.net/memorandum-for-members-and-affiliates-of-the-intergalactic-computer-network.
- J. C. R. Licklider, “The Computer as a Communication Device", Science and Technology, April 1968. http://memex.org/licklider.pdf

- Francesco Varanini, “Percorso di avvicinamento al Knowledge Management”, http://www.slideshare.net/fvaranini/francesco-varanini-knowledge-management-7-febbraio-2013
- Francesco Varanini, Dieci chili di perle In particolare i posti con i tag: ‘Come emerge la conoscenza’, ‘Cosa è il Web’, ‘Macchine per pensare’.
- Francesco Varanini, “Presentazione”, in Alberto De Toni. Andrea Fornasier, Guida al Knowledge Management, Il Sole 24 ore, 2012. http://www.bloom.it/2012/07/conoscenza-come-proprieta-emergente-un-avvicinamento-al-knowledge-management/?p=664


Esercitazione
Fare riferimento ad una azienda nota per esperienza diretta (ad esempio: nota perché ci si è lavorato) o indiretta (ad esempio perché se ne è letto in un libro o in articoli giornalistici).
Progettare di conseguenza un portale web 2.0 destinato a permettere a chi lavora in quell'azienda la condivisione delle conoscenze.

lunedì 8 luglio 2013

Decostruzione


Al di là del motivo immediato per il quale l'informazione è stata pensata, elaborata, gestita; al di là del buon fine della transazione che la riguarda, ovvero della sua sua 'certezza', l'informazione potrà risultare utile in futuro, quando meno ce lo aspetteremo, là dove meno ce lo aspetteremo.
Perciò -visto anche il costo tendenzialmente decrescente della memoria di massa- possiamo e dobbiamo conservare tutto. Indiscriminatamente, e senza porci problema di ridondanza.
La ridondanza non pone problemi: o la macchina riconosce le informazioni replicate come identiche, e le tratta come tali. O coglie lievi differenze, e queste differenze costituiscono di per sé informazione utile.
L'alibi consistente nel timore della ridondanza -alibi che finisce per giustificare il controllo, l'inaridimento, l'attaccamento alla struttura- mostra tutta la sua debolezza se si pensa che l'informazione, intesa come insieme di dati costruito in risposta a un bisogno di conoscenza di un preciso istante, di oggi o di ieri, è in sé irrilevante. Attraverso le informazioni strutturate potremo rispondere pienamente solo alle domande che ci siamo posti ieri, e in base alle quali abbiamo creato la struttura, definito il modello, connesso tra di loro i dati.
Il bisogno futuro sarà prevedibilmente diverso. Dunque non ci interessa in realtà l'informazione, ma i dati che sono serviti a costruirla. Qualunque cosa si conservi, stiamo conservando dati, la struttura attuale è sempre irrilevante
La ricchezza del patrimonio conoscitivo -non solo lascito per i posteri, diciamo per archeologi o storici di un lontano domani, ma base per costruire informazioni utilizzabili in un immediato futuro, per business, per gioco, o per un qualsiasi motivo- non sta dunque nelle informazioni in sé, non sta nelle strutture, non sta nella totalità, nell'ordine o nel controllo. Sta nei meri dati. Nei dati quali che siano: non si sa a priori quali dati serviranno: ogni e qualsiasi dato potrà risultare, connesso con altri dati di altre fonti, significativo.
I dati, però, chiusi in strutture, in modelli, forme, rischiano di risultarci invisibili e inutilizzabili. La loro fruibilità in quanto atomi di conoscenza
Avendo a disposizione dati strutturati in funzione della risposta a una domanda formulata nel passato, e volendo rendere invece i dati passibili di utilizzi futuri, oggi imprevedibili, dovremo quindi svolgere un lavoro di 'decostruzione': o privando da subito i dati dei legami con la struttura d'origine, immediatamente a valle del loro utilizzo all'interno della attuale procedura, o rinviando il lavoro di 'decostruzione' al momento futuro in cui l'informazione si rivelerà utile.
In ogni casi si tratta di accoppiare al dato metadati relativi alla sua origine, alla sua storia. In modo da renderlo utilizzabile a prescindere dalla struttura. Se, in origine, il dato 'parlava' perché era inserito in una struttura, in futuro dovrà parlare da solo.
La 'decostruzione', dunque, consiste nel trasferire la conoscenza relativa alla genesi e alla storia del dato dalla struttura complessiva ad un tag che accompagna il singolo dato. Non si tratta di cercare una completezza descrittiva. Altrimenti ricadiamo vittime del preconcetto che vuole l'informazione utile solo se ordinata e completamente descritta. Non credo si debba pensare perciò ad organizzare i metadati in una struttura, in una ordinata gerarchia. Si tratta, semplicemente, di conservare le informazioni disponibili sull'origine e sulla storia del singolo dato. In modo da rendere più efficace la sua interpretazione.
Questo è, in fondo, il senso dei tag Xml. E questa è, in fondo, la pratica che facciamo quotidianamente usando il motore di ricerca.
La struttura sarà ogni volta diversa: apparirà, di volta in volta, una narrazione-lettura-del-mondo differente -è questo il nuovo modo di leggere-. L’informazione grezza è data, ma non parla, parla solo per via di connessioni, strutture emergenti. 

giovedì 4 luglio 2013

Doug Engelbart: strumenti per aumentare l'umana intelligenza


Engelbart, durante il sevizio militare, tecnico radar alle Filippine, poco più che ventenne, legge   AsWe May Think, la lucida visionaria anticipazione di Vannevar Bush. Si laurea in ingegneria elettrica. Preferisce alla carriera accademica lo Stanford Research Institute, perché ha in testa questa idea. Ha trentacinque anni quando, agli inizi degli anni sessanta, l'idea è matura.
La richiesta di un finanziamento, nel 1962, è l'occasione per descrive il Conceptual Framework. La descrizione ci appare cinquanta anni dopo chiarissima, attuale. Ci parla del caos nel quale ci troviamo a vivere e lavorare. Caos di fronte al quale ci sentiamo a prima vista impotenti. Ci aiuta a capire come possiamo usare al meglio -per muoverci adeguatamente in questo caos- strumenti che ci sono ormai quotidiani, strumenti che in questo istante sto usando, strumenti dei quali non cogliamo ancora appieno le potenzialità ed il significato profondo.

By “augmenting human intellect" we mean increasing the capability of a man to approach a complex problem situation, to gain comprehension to suit his particular needs, and to derive solutions to problems. Increased capability in this respect is taken to mean a mixture of the following: more-rapid comprehension, better comprehension, the possibility of gaining a useful degree of comprehension in a situation that previously was too complex, speedier solutions, better solutions, and the possibility of finding solutions to problems that before seemed insoluble. And by "complex situations" we include the professional problems of diplomats, executives, social scientists, life scientists, physical scientists, attorneys, designers--whether the problem situation exists for twenty minutes or twenty years.
We do not speak of isolated clever tricks that help in particular situations. We refer to a way of life in an integrated domain where hunches, cut-and-try, intangibles, and the human "feel for a situation" usefully co-exist with powerful concepts, streamlined terminology and notation, sophisticated methods, and high-powered electronic aids.1

Leggo nel titolo di Engelbart, Augmenting Human Intellect, l'alternativa piena e liberante al programma nascosto nel provocatorio titolo di Norbert Wiener: Cybernetics, Control and Communication in the Animal and Machine. Non controllare, ma incrementare la capacità di stare-in-situazione. Non tramite una macchina capace di lavorare come l'uomo, ma tramite una macchina che si offre all'uomo come utensile.
In base a questo pensiero, in base a questa riflessione filosofica può iniziare il suo lavoro di laboratorio. Sei anni dopo presenterà a una platea stupita di ingegneri il primo Personal Computer.

1Douglas Engelbart, Augmenting Human Intellect: A Conceptual Framework, Summary Report Prepared for Direction of Information Science Air Force Office of Scientific Research, Stanford Research Institute, October 1962.

lunedì 1 luglio 2013

Facebook e la privacy: chiedere garanzie al nemico, o meglio andare altrove

Leggo su Facebook in questi giorni il post di diversi amici -sopratutto amiche, forse anche questo vuol dire qualcosa-. E' un testo standard.
"FB ha cambiato ancora una volta la sua configurazione della privacy! A causa della nuova “graphic app” qualunque persona in FB può vedere le tue foto, i tuoi “mi piace”, i tuoi commenti.
Voglio tenere privati i miei rapporti con te. Voglio pubblicare foto di familiari e amici senza che gli estranei vi abbiano accesso; questo succede quando i miei amici cliccano 'mi piace' o aggiungono commenti: automaticamente i loro amici possono vedere anche i nostri messaggi. Purtroppo non possiamo cambiare noi stessi questa configurazione perché FB l’ha configurata così."
Si chiede quindi di compiere una semplice operazione.
"Colloca il puntatore del mouse sul mio nome, senza cliccare; apparirà una finestra. Ora muovi il mouse su 'Amici', sempre senza cliccare, poi clicca su 'impostazioni' e apparirà una lista. Togli la spunta a 'avvenimenti importanti' e 'commenti a mi piace'. In questo modo, la mia attività tra me e i miei amici e familiari non diventerà pubblica."
Spero di aver corrisposto a questa richiesta tutte le volte che mi è stata rivolta. Condivido naturalmente il desiderio di riservare ad una cerchia ristretta certe informazioni, i gusti, le scelte, le appartenenze. 
Ma vorrei che si riflettesse anche sul paradosso implicito nella richiesta di amiche e amici.
Facebook è una società con scopo di lucro, e quindi persegue un proprio interesse, che è diverso da quello di ognuno di noi. Dal punto di vista di Facebook, ci sono ovviamente motivi per comportarsi come li comporta. Qualcosa, a proposito di cosa sta dietro la nuova graphic app, lo spiega bene qui Marco Bruschi. Invito tutti coloro che si mostrano seccati e indignati per l'agire di Facebook a leggere questo post
Facebook è una piattaforma fondata su una ideologia, su una scelta di fondo criticabile per principio: proporre un surrogato del Web, una versione semplificata. Il Web è un bene comune, Facebook è una imitazione accattivante di un bene comune. Facebook è un luogo dove qualcuno ci ospita, ma imponendoci le proprie regole di ospitalità. Da subito ci dice che può disporre di tutto ciò che pubblichiamo -sia pure dentro determinati vincoli, vincoli che però si riserva di modificare unilateralmente. (Ho cercato di esprimere questo mio punto di vista in questo post).
Abissalmente diverso è il Web: lì le regole sono frutto di una sia pur imperfetta scelta cooperativa. Numerosi sono sul Web i luoghi dove possiamo 'postare' testi che esprimono le nostre opinioni, e foto, e qualsiasi altro oggetto di conoscenza, luoghi che possiamo rendere accessibili solo a chi vogliamo noi.
Muoversi nel Web, creare luoghi riservati, richiede un minimo di conoscenza e di attenzione. Ma dobbiamo pur conoscere la macchina se vogliamo usarla consapevolmente.
Non dico quindi di non usare Facebook. Dico di usarlo con cautela. Se tutti sono su Facebook, sto lì anch'io. Ma nessuno mi obbliga a pubblicare su Facebook i miei dati personali. Nessuno mi obbliga a mettere lì le foto dei miei cari o dei miei amori segreti. Posso ben usare Facebook per rimandare i miei amici in altri luoghi del Web, più protetti, luoghi costruiti secondo le mie esigenze, dove io stesso posso decidere chi accede, e anche stabilire regole di accesso diverse da caso a caso, a seconda dei materiali e delle persone. 
Usiamo Facebook come vetrina. Se su Facebook tutto è pubblico, basta saperlo, e scegliere cosa vogliamo rendere pubblico, tramite questa vastissima arena.
Se invece per comodità o semplicità finiamo per mettere su Facebook cose che per noi hanno valore, non credo che abbiamo molto di cui lamentarci. Mark Zuckenberg ha creato Facebook per speculare sulla nostra pigrizia. Sta a noi non mettere nelle sue mani roba che vorremmo tenere riservata.

lunedì 24 giugno 2013

Ursula Le Guin, 'Always Coming Home'


La narrazione dei romanzieri di 'fantascienza', si può sostenere, è la più vera, 'meritevole di essere creduta'. A ben guardare, la narrativa mainstream, è in realtà la narrativa più censurata, subordinata a canoni, codici e controlli. Rispetto ad un narratore che ambisce al successo 'di critica e di pubblico', e che quando raggiunge il successo ne diviene schiavo, il narratore apparentemente chiuso nell'alveo marginale della Science Fiction è invece sovranamente libero. Libero di dire, e di guardare il mondo.
Ursula Le Guin, in Always Coming Home,1 ci propone un mondo -nella finzione letteraria, un mondo post catastrofe nucleare- fondato su un sottile equilibrio. Due sottomondi , tra di loro geneticamente e strutturalmente correlati, contribuiscono ad un complessivo equilibrio ecologico, ma restano allo stesso tempo del tutto indipendenti ed autonomi l'uno all'altro.
La Città dell'Uomo: il mondo caldo e quotidiano delle relazioni interpersonali, fondato sull'oralità e sulla tradizione.
La Città della Mente: la Rete di computer interconnessi.
Gli uomini possono permettersi di dimenticare, perché possono accedere, in ogni istante, ai terminali della Città della Mente, e possono da lì attingere le informazioni immediatamente necessarie.
In cambio la Città della Mente chiede agli uomini un flusso continuo di nuovi dati. Ciò che per l'uomo è informazione irrilevante, o scarto, è ricco di valore per la Città della Mente. Che di questa massa di dati si alimenta.
Due mondi totalmente separati l’uno dall’altro, ma viventi in simbiosi. Due ‘sistemi viventi’ che condividono il continuum spazio-temporale, ma che restano diversi ed autonomi. In questo immaginario quadro di un mondo rinato dopo la catastrofe, da un lato la Città dell’Uomo, “rete assai rilassata, leggera e cedevole” delle culture umane, “con la loro piccola scala”, “con il loro grande numero e le loro interminabili differenziazioni”. Dall’altra la Città della Mente, sistema tecnologico integrato, ‘esperto’, rete neurale dotata di capacità di autoapprendimento.
Per questa via Le Guin ci toglie ogni illusione rispetto alla macchina amichevole, espansione delle potenzialità del soggetto, totalmente controllabile dal soggetto. Ma allo stesso tempo pone alla nostra attenzione l’indispensabile ruolo coperto, in un complessivo ambiente ecologico, dai sistemi informativi. Quando la conservazione delle informazioni non è più un obbligo e una schiavitù, si riscoprono i vantaggi: le informazioni sono fonte di conoscenza – contribuiscono a migliorare la qualità della vita e del lavoro.

(Chiede Pandora, lantropologa, ndr) Dunque le biblioteche diventerebbero enormi, se non gettaste via gran parte dei libri e di tutto il resto. Ma come decidete che cosa va conservato e cosa va distrutto?
(Risponde larchivista, ndr) Edifficile. Euna cosa arbitraria, ingiusta ed eccitante. Noi ripuliamo le biblioteche () ogni tanti anni. Qui nel Madrone di Wakwaha la Loggia ha ogni anno una cerimonia di distruzione, tra lErba e il Sole. Esegreta. Soltanto i membri. Una sorta di orgia. Un accesso di desiderio di pulizia; listinto di accumulare, la spinta a collezionare, viene rovesciata su se stessa, è invertita. Liberarsi.
Distruggete i libri preziosi?
Certo; non vogliamo finire seppelliti sotto quelli.
Ma i documenti importanti e le opere letterarie di pregio potreste conservarle in qualche archivio elettronico, alla Exchange, dove non occuperebbero spazio.
La Città della Mente lo fa già. Vuole una copia di ogni cosa. E noi gliene diamo una certa quantità. E poi lospaziodi cui parli è solo una questione di volume più o meno grande: cè dellaltro.
Ma gli intangibilile informazioni
Tangibile o intangibile, o ti tieni una cosa o la dai via. Noi riteniamo più sicuro darla via.
Ma i sistemi di archiviazione e di recupero dei dati servono proprio a questo! Il materiale è conservato perché sia a disposizione di chi ne ha desiderio o ne ha bisogno. Linformazione viene fatta circolarelazione centrale della cultura umana.
A tenere, cresce; a donare scorre. Donare richiede una notevole dose di discriminazione; come attività, forse richiede unintelligenza più disciplinata che non conservare. (pp. 318319)

Uno scambio di battute che ci parla, in apparenza, di quel tema che ci siamo abituati a chiamare Knowledge Management. Ma a meglio guardare, siamo messi di fronte a temi originari, di cui il Knowledge Management non è che una misera conseguenza.
Generazioni di antropologi si sono interrogati sul senso del Potlach: i membri di interi gruppi sociali, in occasioni rituali, distruggono, donandola, la ricchezza precedentemente accumulata. Il fenomeno fu osservato presso gli indios Kwakiutl, sulla costa nord-occidentale americana, nei pressi di Vancouver, a cavallo tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 da Franz Boas.
Il resoconto del Potlach lasciatoci da Boas, probabilmente la descrizione etnografica più influente che sia mai stata pubblicata, è stato oggetto di diversissime interpretazioni. Qui Le Guin ci propone una lettura interessante: possiamo, appunto, liberarci delle informazioni, liberare la nostra mente, lasciare correre il pensiero in sempre nuovi percorsi creativi. Possiamo farlo perché le macchine ci hanno liberato dalla necessità di conservare. Le macchine, i computer, 'godono' stoccando e tesaurizzando. L'uomo, liberato, 'gode' lasciando fluire il pensiero. Proprio perché disponiamo di una 'scrittura', una scrittura automatica, enormemente più evoluta della scrittura su carta, possiamo tornare a quella libertà creativa che Platone auspica nel Fedro.
La 'scrittura' conservata dalla Città della Mente va bene oltre il permettere nuovo accesso a informazioni accumulate nel passato. Non si tratta solo di sostituire la memoria personale, ridando a chi ne fa richiesta conoscenze già possedute. Quelle tracce accumulate nel tempo, tracce di persone, tempi e luoghi diversi -tracce che oggi ci stiamo abituando a chiamare Big Data- sono la materia prima con la quale ognuno può hic et nunc creare nuova conoscenza.
La conservazione 'automatica' di ogni traccia ci permette di andare oltre la conservazione, oltre la conoscenza già data.
Conservare apparentemente senza scopo significa andare oltre: non trattenere, non limitarsi all''aver già dato'; ed invece agire con l'atteggiamento di chi dona. Solo donando senza aspettarsi nulla si potrà avere in cambio qualcosa di inatteso, ricco, veramente nuovo.

1Ursula K. Le Guin, Always Coming Home, Harper & Row 1985; trad. it. Sempre la valle, Mondadori, 1986. Vedi in Francesco Varanini, Il principe di Condé, Este, 2010, capitolo: “Etnografia dei sistemi informativi”.