lunedì 24 giugno 2013

Ursula Le Guin, 'Always Coming Home'


La narrazione dei romanzieri di 'fantascienza', si può sostenere, è la più vera, 'meritevole di essere creduta'. A ben guardare, la narrativa mainstream, è in realtà la narrativa più censurata, subordinata a canoni, codici e controlli. Rispetto ad un narratore che ambisce al successo 'di critica e di pubblico', e che quando raggiunge il successo ne diviene schiavo, il narratore apparentemente chiuso nell'alveo marginale della Science Fiction è invece sovranamente libero. Libero di dire, e di guardare il mondo.
Ursula Le Guin, in Always Coming Home,1 ci propone un mondo -nella finzione letteraria, un mondo post catastrofe nucleare- fondato su un sottile equilibrio. Due sottomondi , tra di loro geneticamente e strutturalmente correlati, contribuiscono ad un complessivo equilibrio ecologico, ma restano allo stesso tempo del tutto indipendenti ed autonomi l'uno all'altro.
La Città dell'Uomo: il mondo caldo e quotidiano delle relazioni interpersonali, fondato sull'oralità e sulla tradizione.
La Città della Mente: la Rete di computer interconnessi.
Gli uomini possono permettersi di dimenticare, perché possono accedere, in ogni istante, ai terminali della Città della Mente, e possono da lì attingere le informazioni immediatamente necessarie.
In cambio la Città della Mente chiede agli uomini un flusso continuo di nuovi dati. Ciò che per l'uomo è informazione irrilevante, o scarto, è ricco di valore per la Città della Mente. Che di questa massa di dati si alimenta.
Due mondi totalmente separati l’uno dall’altro, ma viventi in simbiosi. Due ‘sistemi viventi’ che condividono il continuum spazio-temporale, ma che restano diversi ed autonomi. In questo immaginario quadro di un mondo rinato dopo la catastrofe, da un lato la Città dell’Uomo, “rete assai rilassata, leggera e cedevole” delle culture umane, “con la loro piccola scala”, “con il loro grande numero e le loro interminabili differenziazioni”. Dall’altra la Città della Mente, sistema tecnologico integrato, ‘esperto’, rete neurale dotata di capacità di autoapprendimento.
Per questa via Le Guin ci toglie ogni illusione rispetto alla macchina amichevole, espansione delle potenzialità del soggetto, totalmente controllabile dal soggetto. Ma allo stesso tempo pone alla nostra attenzione l’indispensabile ruolo coperto, in un complessivo ambiente ecologico, dai sistemi informativi. Quando la conservazione delle informazioni non è più un obbligo e una schiavitù, si riscoprono i vantaggi: le informazioni sono fonte di conoscenza – contribuiscono a migliorare la qualità della vita e del lavoro.

(Chiede Pandora, lantropologa, ndr) Dunque le biblioteche diventerebbero enormi, se non gettaste via gran parte dei libri e di tutto il resto. Ma come decidete che cosa va conservato e cosa va distrutto?
(Risponde larchivista, ndr) Edifficile. Euna cosa arbitraria, ingiusta ed eccitante. Noi ripuliamo le biblioteche () ogni tanti anni. Qui nel Madrone di Wakwaha la Loggia ha ogni anno una cerimonia di distruzione, tra lErba e il Sole. Esegreta. Soltanto i membri. Una sorta di orgia. Un accesso di desiderio di pulizia; listinto di accumulare, la spinta a collezionare, viene rovesciata su se stessa, è invertita. Liberarsi.
Distruggete i libri preziosi?
Certo; non vogliamo finire seppelliti sotto quelli.
Ma i documenti importanti e le opere letterarie di pregio potreste conservarle in qualche archivio elettronico, alla Exchange, dove non occuperebbero spazio.
La Città della Mente lo fa già. Vuole una copia di ogni cosa. E noi gliene diamo una certa quantità. E poi lospaziodi cui parli è solo una questione di volume più o meno grande: cè dellaltro.
Ma gli intangibilile informazioni
Tangibile o intangibile, o ti tieni una cosa o la dai via. Noi riteniamo più sicuro darla via.
Ma i sistemi di archiviazione e di recupero dei dati servono proprio a questo! Il materiale è conservato perché sia a disposizione di chi ne ha desiderio o ne ha bisogno. Linformazione viene fatta circolarelazione centrale della cultura umana.
A tenere, cresce; a donare scorre. Donare richiede una notevole dose di discriminazione; come attività, forse richiede unintelligenza più disciplinata che non conservare. (pp. 318319)

Uno scambio di battute che ci parla, in apparenza, di quel tema che ci siamo abituati a chiamare Knowledge Management. Ma a meglio guardare, siamo messi di fronte a temi originari, di cui il Knowledge Management non è che una misera conseguenza.
Generazioni di antropologi si sono interrogati sul senso del Potlach: i membri di interi gruppi sociali, in occasioni rituali, distruggono, donandola, la ricchezza precedentemente accumulata. Il fenomeno fu osservato presso gli indios Kwakiutl, sulla costa nord-occidentale americana, nei pressi di Vancouver, a cavallo tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 da Franz Boas.
Il resoconto del Potlach lasciatoci da Boas, probabilmente la descrizione etnografica più influente che sia mai stata pubblicata, è stato oggetto di diversissime interpretazioni. Qui Le Guin ci propone una lettura interessante: possiamo, appunto, liberarci delle informazioni, liberare la nostra mente, lasciare correre il pensiero in sempre nuovi percorsi creativi. Possiamo farlo perché le macchine ci hanno liberato dalla necessità di conservare. Le macchine, i computer, 'godono' stoccando e tesaurizzando. L'uomo, liberato, 'gode' lasciando fluire il pensiero. Proprio perché disponiamo di una 'scrittura', una scrittura automatica, enormemente più evoluta della scrittura su carta, possiamo tornare a quella libertà creativa che Platone auspica nel Fedro.
La 'scrittura' conservata dalla Città della Mente va bene oltre il permettere nuovo accesso a informazioni accumulate nel passato. Non si tratta solo di sostituire la memoria personale, ridando a chi ne fa richiesta conoscenze già possedute. Quelle tracce accumulate nel tempo, tracce di persone, tempi e luoghi diversi -tracce che oggi ci stiamo abituando a chiamare Big Data- sono la materia prima con la quale ognuno può hic et nunc creare nuova conoscenza.
La conservazione 'automatica' di ogni traccia ci permette di andare oltre la conservazione, oltre la conoscenza già data.
Conservare apparentemente senza scopo significa andare oltre: non trattenere, non limitarsi all''aver già dato'; ed invece agire con l'atteggiamento di chi dona. Solo donando senza aspettarsi nulla si potrà avere in cambio qualcosa di inatteso, ricco, veramente nuovo.

1Ursula K. Le Guin, Always Coming Home, Harper & Row 1985; trad. it. Sempre la valle, Mondadori, 1986. Vedi in Francesco Varanini, Il principe di Condé, Este, 2010, capitolo: “Etnografia dei sistemi informativi”.

lunedì 17 giugno 2013

Il libro come misero output vs. la conoscenza emergente

I libri contengono una porzione infinitesimale della conoscenza che l'uomo ha prodotto, nel corso di milioni di anni, e che sta producendo in quest'istante, e che produrrà nei giorni e nei secoli avvenire. I libri, oltretutto, per la loro organizzazione interna, permettono un accesso limitato alla conoscenza che contengono.
Fino a pochi anni fa il libro costituiva un mezzo sostanzialmente privo di concorrenti. Le base dati strutturate, in fondo, ripropongono, in modo più articolato e sofisticato, l’organizzazione della conoscenza che già il libro ci proponeva.
Ma oggi l'informatica ci offre una valida alternativa: la possibilità di accedere, anziché all'informazione già costruita in libro, alla cucina di ogni possibile libro. Il web ci mostra come sia alla portata di ognuno la complessa, imperfetta e instabile, eppure enormemente ricca, galassia senza forma di conoscenze che l'uomo produce ed è in grado di produrre.
Se il libro appare ordinato e rassicurante, l'infinito pluriverso delle menti umane che istanze dopo istanze producono e riproducono sapere, è -all'opposto- caotico. Ma il caos è un vantaggio: possiamo partecipare alla creazione del mondo. Non a caso l'informatica mette a nostra disposizione strumenti -l'esempio più evidente oggi lo conosciamo sotto il nome di 'motore di ricerca'- che ci permettono di muoverci con significativi gradi di autonomia e di libertà in questa galassia-di-conoscenza-non-ancora-costretta-in-forma. Libertà che invece il libro ci negava.
Eppure, anche avendo a portata di mano questa enorme opportunità, ci rintaniamo nel dar valore al libro, nel guardare solo ciò che il libro mostra, nel concedere al libro un primato che non merita.
Il libro ha onestamente svolto la sua funzione, continuerà a svolgerla; nessuno vuole buttarlo via. Ma il libro è un alibi. L'autorevole gabbia del libro ci tranquillizza, giustificando il nostro chiuderci nel ruolo di passivi lettori di ciò che è già stato scritto.
L'amore per il libro nasconde il timore che nasce dal trovarsi di fronte all'infinito, all'inconcluso. Nasconde il timore di doverci assumere la responsabilità del nostro pensiero e delle nostre parole. Nasconde il timore della novità, dell'incertezza.
Il libro ripete, non narra. La narrazione, conoscenza emergente qui ed ora, è appunto la perenne bufera di distruzione creativa, la continua produzione e riproduzione di conoscenza – processo del quale il libro non fotografa che un istante, uno degli infiniti istanti.
Guardando al magma della conoscenza in fieri che l'informatica mette a nostra disposizione, vediamo il libro come un misero output, un qualsiasi perituro e limitato tabulato sputato fuori da un computer, in funzione di una specifica domanda.
Certo più feconda, anche se perturbante, l'immagine di ognuno di noi, o di gruppi di persone legate da speciali sempre diverse connessioni, noi liberi e soli naviganti nel mare della conoscenza, sull'onda di deboli tracce, di labili connessioni. Noi affacciati su questo mare di informazioni, disposti alla sorpresa. Noi con le menti semideste.
Come ci mostrano uomini sensibilissimi. Penso a Baruch Spinoza, penso a Dick, capaci (in modi diversi – ma ognuno di noi è diverso da ogni altro) di cogliere nessi e segnali deboli e di ascoltare voci. Capace di trascurare il già palese per guardare invece all'immanenza. Immanenza: 'restare dentro'. La conoscenza nasce dalle cose che si fanno. Il Dio dell'informatica sta nei dati grezzi, la forma esterna al dato non ha senso; la struttura già data è di per sé irrilevante.
Così può operare oggi ognuno di noi. Il contributo che realmente possiamo dare al mondo avvenire è costruire nuova conoscenza, narrazioni, a partire da questi dati grezzi. Organizzando e interpretando i dati alla luce della nostra autobiografia, alla luce della nostra irredimibile unicità.