martedì 8 settembre 2015

Macchine per pensare

Non c'è fine in un percorso di ricerca. Ma sono arrivato in qualche modo ad una fine, nel percorso -certo non terminato- di cui lascio traccia in questo blog.
Macchine per pensare -in libreria da metà gennaio 2016, edito da Guerini e Associati- è il primo tomo del Trattato di Informatica Umanistica
Qui di seguito un breve estratto, in parte preso dall'Introduzione, in parte dal penultimo capitolo. 


L’uomo si è affidato alle macchine. Ma nemmeno questo è bastato. Il simulacro della cosa che la macchina informatica ci restituisce è certo più povero dell’idea di Platone. Ma non è tornando all’idea di Platone che riusciremo a pensare nel modo in cui serve pensare oggi. Serve un modo totalmente altro per pensare la sterminata massa di conoscenze di cui l’uomo oggi dispone. Dispone, senza esserne padrone né artefice: perché tra le conoscenze stanno le ‘leggi della natura’, ciò che l’uomo ha saputo osservare ed evincere, solo parzialmente comprendendo.
Di fronte a un qualsiasi problema, dovremmo imparare a non arrenderci mai alla comoda soluzione offerta dalle macchine. Non arrenderci a ciò che è già scritto in un algoritmo.
Di fronte ad ogni macchina, anche alla macchina che sembra offrire una soluzione all’incapacità umana di dominare la complessità, conviene continuare a pensare che là fuori, in qualche luogo ci sia un’altra macchina, in grado di funzionare diversamente. Conviene continuare a pensare che dietro ogni macchina c’è un uomo che, in un modo o in un altro, pensa. E di conseguenza costruisce la macchina.
Di fronte alle macchine, ci dice Wittgenstein, non cessare di filosofare. Filosofare in modo barbaro, come un primitivo che nulla sa della storia della filosofica, del pensiero occidentale e della tecnica. O magari come un marziano.
Heidegger è il maestro che non cessa di filosofare. Solo filosofando si può percepire il meraviglioso. Heidegger, filosofo, ammetter che c’è bisogno, di fronte alla scienza, alla tecnica, alle macchine, di pensare in un modo che va oltre i confini della stessa tradizione filosofica. Ma Heidegger non è né un barbaro né un marziano. Si rifà a Platone, a Aristotele, a Omero, cercando lumi, e ammette di non trovarli.
Heidegger pensava con il suo quaderno e la sua penna in mano, nella sua baita nella Foresta Nera, la finestra aperta sul bosco segnato da sentieri.
Ora noi possiamo seguire Heidegger su terreni sui quali Heidegger non poteva avventurarsi.
Sto pensando con la finestra aperta sul mare, passano navi e barche ognuna seguendo la sua rotta. Ma sto pensando, con l’aiuto di una macchina zu handen, una macchina maneggevole, una macchina che posso guidare abbastanza bene, facendole fare quello che voglio io. Non è proprio la macchina a cui pensava Heidegger -la macchina che prende forma nell’uso-, ma siamo vicini.
Ho aperte sullo schermo diverse finestre: i testi -editi o inediti non importa- di autori diversi in diverse lingue, alte fonti, appunti, miei testi in fieri. Ho accesso ad ogni libro, ad ogni biblioteca, alle tracce di precedenti tentativi di costruire senso esperiti da altri uomini. Posso entrare in colloquio via mail o via skype con ogni altro essere vivente, ogni altro pensatore, barbaro o ortodosso.
Posso accettare il presentarsi del pensiero che si sta formando adesso, pensiero vergine dalle costrizioni che l’informatica si era affannata ad imporgli.
C’è un paradosso in tutto questo, perché la macchina che sto usando è una macchina informatica. Ma la macchina qui è piegata a uno scopo che è l’inverso dello scopo di Turing. Wittgenstein ci aveva avvertito: la macchina può essere sempre usata in un altro modo. Ma anche: possiamo immaginare macchine sempre più adeguate allo scopo che ci si pone. E comunque già così, la macchina di Turing riconcepita da Bush, da Engelbart e Nelson, la macchina che sto usando, è una macchina per pensare.

Così ho potuto ripercorrere la strada che ha portato l’uomo a costruire macchine per non pensare.
Cartesio ha tentato di definire, senza riuscirci, le regole per dirigere l’intelletto umano al retto pensare. Senza riuscirci, ma lasciandoci come eredità un modello gerarchico, strutturato della conoscenza. Il modello sul quale l’informatica ha costruito la sua fortuna. Leibnitz ha seguito Cartesio, riducendo il pensiero a calcolo. Calcolo: cosa dura, materia che si pretende maneggiabile senza cadere nei dubbi del filosofo.
Kant, Frege, Hilbert, sia pure in modi diversi, hanno seguito questa strada. Fino ad arrivare a Turing, per il quale l’umano pensare è ridotto fino ad essere niente più che un lavoro “nel quale l’uomo non ha l’autorità di deviare da esse in alcun dettaglio” da ciò che è scritto in un Libro delle Regole.
Ho potuto narrare di come Freud ci mostra l’ignoto, l’inconscio, e ci invita a trarre di lì, per congetture, conoscenza. Ho potuto narrare di come poi lo stesso Freud abbia chiuso in uno scaffale, imbalsamato in ortodossia, il suo stesso pensiero. Ho seguito altri, come Wilhelm Reich, nel tentare di continuare a maneggiare l’oscura materia del pensiero. Ho cercato di raccontare come da una cultura nasca una macchina. Ho ricordato Konrad Zuse, che aveva sognato una macchina, e poi la costruì, per andare oltre l’orrore.

La Sache -così Heidegger chiamava la ‘problematica materia del pensiero'- con la quale sto lavorando non è roba mia solo mia. La perceptio, la percezione, la cognizione che sto portando alla luce non sono solo una rappresentazione formata dall’io umano, non è in gioco qui solo il frutto della mia capacità di vedere e di pensare. Ciò che possiamo chiamare conoscenza è il frutto del costante ‘pensare insieme’ degli esseri umani, reso efficace dal fatto che ogni essere umano è accompagnato da una macchina per pensare.
L’uomo esiste perché pensa. Pensare è cercare il meraviglioso; è avventurarsi dell’ignoto. Pensare è diradare l’oscurità. Ogni uomo partecipa a questa avventura.
Questo nuovo modo di pensare, che va oltre la tradizionale filosofia, e oltre gli scaffali -tutti i modelli dei dati, le classificazioni e i file system dell’informatica- Heidegger lo intravede parlandoci dell’intravedere, della Lichte, del cercare una luce, una radura nel bosco, o del salpare levando l’ancora e liberando nell’acqua e nell’aria il nostro pensiero.