lunedì 25 luglio 2011

Loose coupling

“Interazioni ricorrenti e ricorsive producono un accoppiamento strutturale”. Con questo concetto, dice Humberto Maturana, studioso degli organismi viventi, “designo una storia di cambiamenti strutturali reciproci che rende possibile il sorgere di un dominio condiviso”. “Si dà un accoppiamento strutturale quando le strutture dei due sistemi -strutturalmente plastici- si modificano in conseguenza di interazioni ricorrenti, senza che per questo si distrugga l'identità dei sistemi interagenti”. (Humberto Maturana Romesín, Bernhard Pörksen, Vom Sein zum Tun. Die Ursprünge der Biologie des Erkennens,
Carl Auer, Heidelberg, 2002; cit. dalla trad. spagnola Del ser al hacer. Los orígenes de la biología del conocer, Granica: Juan Carlos Sáez, Buenos Aires, 2008).
Così possiamo vedere ‘accoppiate strutturalmente’ due persone, un insieme di persone; due organizzazioni, un insieme di organizzazioni. Possiamo vedere ‘accoppiati strutturalmente’ anche la persona ed il Personal Computer con cui lavora.
Si tratta di ‘accoppiamenti deboli’. Deboli perché il legame, la connessione non deve rispondere ad astratto criterio di solidità; deve essere, semplicemente, adeguata alla situazione che di volta in volta si presenta. E deboli anche perché il legame non è dato un volta per tutte. L’importante, per ogni organismo vivente, è la sua predisposizione ad accoppiarsi con altri organismi, con chi serve, quando serve, nella misura in cui serve.
Maturana -così come il suo allievo Francisco Varela- è un neurofisiologo che ha allargato lo sguardo alla ‘logica del vivente’, potremmo anche dire che è -non per scuola, ma per pratica- un filosofo della conoscenza. Ma si è sempre guardato bene dal proporre applicazioni strette dei suoi ragionamenti al mondo delle organizzazioni.
Molte meno cautele ha Karl Weick, psicosociologo, uno dei tanti che si nella scia di Maturana e Varela, hanno applicato le riflessioni sulla complessità allo studio delle organizzazioni. Pur privo di originalità, il pensiero di Weick porta comunque qualcosa di nuovo nell’asfittico campo del management.
Eccolo così riprendere intelligentemente il lavoro di Maturana e Varela -che si consolida tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Settanta del secolo scorso-. Resta un punto di riferimento l’articolo del 1976: Educational organizations as loosely coupled systems (Karl Weick, “Educational organizations as loosely coupled systems”, Administrative Science Quarterly, 21 (1976), 1-9 (part)., 21 (1976), 1-9).
I sistemi organizzativi fondati su accoppiamenti deboli sono ridondanti, mancano di un coordinamento, sono carenti di procedure, hanno tempi di reazioni lenti. Ma limitano ad un sottosistema le conseguenze di una catastrofe, permettono adattamenti locali, favoriscono l’emergere di soluzioni creative, garantiscono spazi di autodeterminazione agli attori.
E’ facile per noi pensare come questo modo di vedere si presti stimolare riflessioni sulla forma più conveniente per organizzazione dedite ad attività educative - è questo il tema sviluppato dell’articolo di Weick. Ma è anche subito evidente come il ragionamento possa essere allargato, ed in particolare come il ‘loosely coupling’ possa essere inteso in un ambito sociotecnico, dove persone e risorse informatiche convivono. Questo più vasto scenario è chiaro quando, nel 1990, Wwick torna a scrivere sul tema (J. Douglas Orton, Karl Weick, “Loosely Coupled Systems: A Reconceptualization”, The Academy of Management Review, Vol. 15:2 (1990), pp. 203-223.
A questo punto, appare a tutti evidente che Internet è sistema -rete di reti, senza centro, priva di gerarchie e di controlli fondati su una superiore autorità- la cui struttura si spiega proprio pensando al ‘loosely coupling’. E ancor più: il World Wide Web -sistema di conoscenze appoggiato su Internet, che veniva messo a punto proprio nell’anno in cui esce il secondo articolo di Weick- è la prova vivente dei vantaggi del ‘loose coupling’.
Tutto appare più chiaro dieci anni dopo, quando David Weinberger -formazione filosofica, esperienze di marketing, sguardo visionario, una certa tendenza a fare il guru- pubblica Small Pieces Losely Joined (David Weinberger, Small Pieces Losely Joined. A Unified Theory of the Web, Perseus, 2002; trad. it. Arcipelago Web, Sperling & Kupfer, Milano, 2002).
Il Web non solo unisce in un modo nuovo gli 'oggetti di conoscenza', unisce anche gli esseri umani, tutti noi, tramite connessioni labili e flessibili, prima impensabili. Weininger coglie dunque nella riflessione sugli ‘accoppiamenti deboli’ la chiave di lettura del Web che chiameremo Semantico, e 2.0: il Web che si propone come piattaforma per fare da base a “interazioni ricorrenti e ricorsive” tra persone.

venerdì 8 luglio 2011

Il dato come descrizione codificata della cosa

Questo è un nodo centrale della riflessione che porto avanti. Perciò, in questo blog che è un cantiere, o un baule di materiali provvisori, eccomi tornare sullo stesso argomento dell'ultimo post pubblicato prima di questo.
Se lo scrivere usando il computer ci insegna qualcosa, il primo insegnamento è che nessun testo è definitivo.


Vivendo e lavorando l’uomo crea se stesso. Si può quindi pensare all’uomo a prescindere dalle cose. Ma la cosa resta fondamentale nella vita e nel lavoro dell’uomo. Viviamo e lavoriamo osservando cose, creando cose, scambiando cose, utilizzando cose.
Eppure, delle cose abbiamo una percezione imprecisa. La cosa è, in fondo, indescrivibile, inconoscibile. Possiamo intendere la filosofia come il tentativo di dire ‘cosa è la cosa’. Kant ci dice che -essendo la cosa inafferrabile attraverso l’esperienza ‘fisica’, nella vita quotidiana- dobbiamo spostarci di piano. Ciò che per Kant può essere conosciuto è solo la rappresentazione mentale della cosa.
Qui interviene l’informatica, che è prosecuzione della filosofia con altri mezzi. Se la cosa è inconoscibile, può essere però conosciuto il dato che la rappresenta. Come vuole Kant, il dato descrive la cosa attraverso linguaggi formalizzati. Se pur non possiamo afferrare la cosa, sono conoscibili, e maneggiabili, i dati che la descrivono. Allo sfuggirci dell’essenza della cosa, si risponde con la ‘certezza del dato’.
Dobbiamo quindi spostare l’attenzione, e chiederci cosa è il dato.
Il dato è la descrizione della cosa. Dato, non a caso, deriva da data. Si conviene dunque che la conveniente descrizione della cosa esiste dal momento in cui questa descrizione -possiamo chiamarla codifica- passa di mano. Questo è infatti il senso del latino littera data, lettera consegnata al messaggero. La data, dunque, è l’attimo successivo a quello in cui ‘sto dando’; è l’attimo in cui posso dire: ‘ho dato’. In questo attimo posso affermare che la descrizione esiste, che è un dato.
Lo spagnolo sposta l’attenzione. Invece di littera data, carta fecha, ‘carta fatta’, ‘lettera scritta’ -la data è infatti in spagnolo la fecha-. E’ uno spostamento significativo dal punto di vista del lavoro: il momento chiave non è quello in cui scambio o consegno, bensì il momento in cui faccio.
Ma anche nella situazione proposta dalla lingua spagnola, a ben guardare, restiamo sul piano della convenzione. Nessuno può dire con precisione quando ho finito di fare la cosa.
Se io descrivessi la cosa un attimo prima o un attimo dopo, la descrizione sarebbe diversa. E dunque, la formalizzazione dell’informatica non ci salva. Se la cosa resta inconoscibile, anche la sua descrizione è sempre convenzionale.
E dunque non resta che chiederci si quali basi si fonda la convenzione. Proprio di questo interrogativo ci parla, in fondo, la cosa. Il latino ci ricorda che cosa deriva da causa. La descrizione della cosa è quindi ‘decisa da un tribunale’. Il tedesco Ding e l’inglese thing ci propongono invece l’idea che la descrizione della cosa sia ‘decisa da un’assemblea’.
Possiamo preferire l’autorità del giudice o l’autorità dell’assemblea. Ma in ogni caso il dato -la descrizione della cosa, alla cui certezza così tanto ci piace afferraci- non è che una convenzione.