mercoledì 26 marzo 2014

Il Paradiso dei matematici osservato dai romanzieri

La matematica, con i suoi trionfi ed i suoi fallimenti, è attorno a quel 1930 la privilegiata chiave di lettura del mondo, l’ultima speranza di ordine di controllo, il più acuto sguardo sul caos. E la figura del matematico gode di uno speciale riconoscimento sociale. Non possono mancare in quegli anni i romanzi matematici.
E’ sufficiente ricordarne due. Der Mann ohne Eigenschaften di Robert Musil e Die unbekannte Grösse di Hermann Broch. Non a caso si tratta di romanzi in lingua tedesca. Non a caso entrambi scritti da autori cresciuti a Vienna , ambientati a Vienna - la Vienna di Freud, di Carnap, di Wittgenstein, del giovane Gödel, ma anche di Mahler e di Schönberg, di Kraus e di Loos, di Kokoschka e di Klimt.
Più delle differenze tra i due romanzi e i due autori -pur esistenti ed evidenti-, merita qui porre l’acconto sulle contiguità. Musil e Broch, entrambi privi di una vera formazione umanistica ed invece dotati si una solida formazione scientifica -matematica, filosofia, fisica, psicologia. Entrambi notevoli conoscitori della letteratura scientifica contemporanea. Entrambi in movimento tra Vienna e Berlino, tra l’Austria-Ungheria in declino e la contraddittoria e febbrile Germania della Repubblica di Weimar. Entrambi avvicinatisi al romanzo solo in età matura. Entrambi orientati verso il romanzo-saggio, il romanzo-sistema, volto a descrivere la Totalità - e quindi destinati sotto il peso del proposito, inattingibile.
I due volumi del Mann ohne Eigenschaften -l’opera resterà incompiuta- escono presso Rohwolt nel 1930 e nel 1933. Die unbekannte Grösse esce nel 1934 presso Fischer. Due grandi editori di Berlino, a sottolineare ancora un ponte tra le due capitali della cultura di lingua tedesca.
Ulrich è Mann ohne Eigenschaften, ‘uomo senza qualità’, o meglio, privo di caratteristiche distintive, di competenze -in fondo inetto, in aptum, non adatto a coprire con vera competenza nessun profilo ruolo professionale, inadatto a qualsiasi compito, perché in grado di svolge ugualmente bene qualsiasi compito. Ulrich, matematico di formazione, cerca vanamente un punto di incontro tra l’esattezza e l’anima.
Hilbert Hieck, il giovane protagonista della Unbekannte Grösse cresce in un’atmosfera familiare in cui “nessuna cosa era chiara e univoca, ma assumeva un aspetto vacillante". “Proprio per questa ragione egli aveva sviluppato in sé, assai presto, una segreta inclinazione per le cose chiare e matematicamente precise”. In contrasto con il suo maestro, cerca di edificare una “logica senza assiomi”.
Basta qui limitarsi a citare qualche brano dei due romanzi, e di qualche loro corollario, come Der mathematische Mensch, L’uomo matematico, breve saggio di Musil scritto nel 1913.
“Un ingegnere vive solo della sua specializzazione, invece di spaziare nel vasto e libero mondo del pensiero. [... ] Ma questo non vale per la matematica: la matematica è la logica nuova per antonomasia, è lo spirito in quanto tale”  E’ la “madre delle scienze e nonna della tecnica.” “La ricerca attuale non è solo scienza, ma è anche magia: è una cerimonia che coinvolge totalmente cuore e cervello; [. . .] è una religione i cui dogmi sono pervasi e sostenuti dalla chiara, audace e mobile logica della matematica, che è fredda e tagliente come la lama di un coltello”.  (Robert Musil, Der Mann ohne Eigenschaften).
“La maggior parte degli uomini è oggi pienamente consapevole che la matematica è entrata come un demone in tutti i settori della vita” (Robert Musil, Der Mann ohne Eigenschaften). “La matematica è una specie di atto disperato dello spirito umano”. E’, anche, “orgogliosa fiducia nella diabolica pericolosità del proprio intelletto.” (Robert Musil, Der mathematische Mensch).
“In sé e per sé essa non ci occorre, certo, ma è una specie di isola dell’onestà, e per questo le voglio bene". “La matematica è un’ostentazione di audacia della pura ratio; uno dei pochi lussi oggi ancora possibili”. (Robert Musil, Der mathematische Mensch).
E’ “una meravigliosa architettura spirituale fatta per pensare in anticipo tutti i casi possibili” (Robert Musil, Der mathematische Mensch). “Una limpida rete di realtà luminosa [. . . ], e bisognava andar avanti tentando nodo per nodo; sì, era qualcosa di simile, un celeste complicato intreccio che bisognava risolvere al fine di possedere la realtà”. (Hermann Broch, Die unbekannte Grösse).
“Fiumi di chiarezza si riversavano nel suo cervello, si diramavano nei suoi nervi e nelle vene, rendevano leggero il suo sangue e permettevano ai suoi occhi, rivolti ad una contemplazione interiore, di guardare lontano; eppure il risultato di tutto questo splendido sfoggio era, nel migliore dei casi, un qualunque teorema scientifico di ambito limitato, spesso semplicemente la soluzione di un piccolo problema.” (Hermann Broch, Die unbekannte Grösse).
Ma “anche quando si fosse riusciti a scoprire una nuova disciplina matematica, come il calcolo infinitesimale di Leibniz o la teoria degli insiemi di Cantor, [. . . ] il risultato sarebbe restato sempre una limitata ed esigua parte dell’invincibile montagna della conoscenza; [. . . ] una piccola parte descrittiva dell'eterno indescrivibile". (Hermann Broch, Die unbekannte Grösse).
Aleggia qui l’incompletezza di Gödel. E’ formalmente impraticabile una descrizione esaustiva del Tutto. La matematica non può bastare a se stessa. Ogni sistema deduttivo rimanda ad una iniziale intuizione. C’è sempre un mondo, là fuori da quella limpida rete di notazioni simboliche.
"Richard Hieck, contemplando la lavagna umida, nera e lucente, fu indotto a immaginare un vellutato cielo notturno”. (Hermann Broch, Die unbekannte Grösse).

Fonti:
Robert Musil, Der Mann ohne Eigenschaften, volume 1, Rowohlt, Berlin, 1930; volume 2, Rowohlt, Berlin, 1933. (opera incompiuta oggetto di diverse ricostruzioni filologiche). Ora in Gesammelte Werke. Herausgegeben von Adolf Frisé, Rowohlt, Reinbek, 1978-1981: volumi 1-5: Der Mann ohne Eigenschaften, Rowohlt, Reinbek, 1978. Ed. it.: L’uomo senza qualità, introduzione di Cesare Cases, trad. di Anita Rho, Torino, Einaudi, 1956; L’uomo senza qualità, trad. di Ada Vigliani, Mondadori, Milano 1992-1998; L’uomo senza qualità, trad. di Anita Rho, Gabriella Benedetti e Laura Castoldi, Torino: Einaudi, 1996.

Robert Musil, Der mathematische Mensch, 1913, in Gesammelte Werke, cit., volume 8, trad. it. “L’uomo matematico”, in Saggi e lettere, Einaudi, Torino, 1995,

Hermann Broch, Die unbekannte Grösse, Fischer, Berlin, 1934; trad. it. L’incognita, Lerici, Cosenza, 1962; Editori Riuniti, Roma 1981.

mercoledì 19 marzo 2014

McCulloch e Pitts: A Logical Calculus of Ideas Immanent in Nervous Activity

  
L’articolo rimasto nella storia esce a firma di McCulloch e Pitts nel dicembre 1943.
Il titolo -A Logical Calculus of Ideas Immanent in Nervous Activity1- ed il senso del testo possono essere ben intesi solo tenendo in conto il complesso quadro nel quale, dal quale, il testo emerge: la scuola di Rashevsky; l’orientamento verso un Weltbild -una immagine del mondo scientificamente fondata-, verso una General Theory, verso una Unified Science; il progetto di Hilbert, la sua crisi, segnata dai teoremi di Gödel, la sua rinascita, con Turing, sotto forma di computing; le vicende personali di Pitts, McCulloch, Lettvin; lo sviluppo tecnologico: elettronica, telecomunicazioni, la guerra in corso.
Ma poi l’articolo è assurto poi al rango di fondamento, canone, indiscussa fonte di discipline diverse: computing, cibernetica, Intelligenza Artificiale, neuroscienze, cognitivismo, connessionismo, linguistica, semiotica. E’ accaduto quindi che -col senno di poi, nel quadro del canone ormai fondato della propria disciplina- ognuno abbia trovato nell'articolo ciò che voleva. Ed è accaduto anche che più d’uno, avendo doverosamente citato l'articolo, trovasse superfluo leggerlo.
Questo ha fatto sì che le letture fossero sempre, salvo rare eccezioni, settoriali, parziali, unilineari. Paradosso vuole che un testo teso ad unificare i campi, sia stato origine invece campi diversi, ognuno impermeabile agli altri. La matematica assiomatica, la logica formale, boolena e proposizionale, sono qui assunte a campo universale. Non potendoci fidare di deboli intuizioni, si deve far riferimento ad assiomi. Si afferma dunque, una volta per tutte, che la nervous activity -sostituto controllabile e formalizzabile dell’anima, della psiche e di ogni altro concetto che sfugge alla imperfetta ragione- ha il carattere di‘all-or-none’ activity.
L’assioma è ribadito poco dopo, nel testo, giusto lì dove inizia l’esposizione formalizzata tramite simboli matematici:

We shall make the following physical assumptions for our calculus.
1. The activity of the neuron is an “all-or-none” process.2

La rete neurale, per Pitts, funziona come i circuiti elettrici descritti da Shannon -acceso/spento, aperto/chiuso-. Ma ciò che per Shannon era una evidenza empirica, per Pitts è un assioma, una assunzione di principio posta alla base del calcolo logico che presiede al funzionamento della Mente.
La tesi che vediamo crescere e definirsi nei due precedenti articoli, qui è pienamente affermata: la Mente è una macchina. Una macchina che può essere descritta in modo formale. Anche Turing aveva immaginato una macchina, ma quale differenza: per Turing, data una qualsiasi funzione computabile, esiste sempre una macchina di Turing in grado di eseguirla. Si può quindi immaginare, sovrapponendo diverse macchine in grado ognuna di eseguire una funzione, una macchina universale, che è il il modello astratto, ideale, dei computer che poi, usando i circuiti descritti da Shannon, saranno effettivamente costruiti.
L’esperimento di Shannon è svolto osservando e toccando cose, artefatti: i circuiti elettrici. L’esperimento di Turing è invece mentale: si immagina una macchina possibile. Entrambi sviluppano poi l’idea seguendo i solidi principi della logica formale, del ragionamento deduttivo.
Ma entrambi, sia Shannon che Turing, partono da una intuizione: immaginano qualcosa che non c’è, qualcosa che potrebbe esserci, e potrebbe funzionare come macchina.
Pitts è più puramente matematico, figlio esemplare del suo tempo. Non è mosso da una intuizione relativa al funzionamento della mente. Afferma un assioma: verità, principio che si ammette senza discussione, evidente di per sé. Procede quindi per via apodittica: la necessità logica si traduce in dimostrazione ben fatta.
Entrambe le macchine sono costrutti astratti, teorici. Sia la ‘macchina di Turing’ che la ‘macchina di Pitts’ funzionano in base al calcolo proposizionale, booleano, rappresentato in estrema sintesi dall’opposizione binaria, erede dei classici principi di identità: A è A; di non contraddizione: A non può essere non A, del terzo escluso: dato un sistema a due valori, un enunciato è vero o è falso.
Ma al di là di queste contiguità, le distanze sono abissali.

Il progetto, o il sogno, di Pitts, è di portata enormemente più vasta. Turing, in fondo, si limita a dire che ciò che fa l’uomo può essere fatto da una macchina. Pitts, invece, sostiene che la mente umana è una macchina. Una povera macchina, nient’altro che un caso particolare, una occorrenza del tipo descritto da una Teoria Generale. Una Teoria Generale che prevede l’esistenza di infinite macchine-menti. Una Teoria Generale che prevede l’esistenza di macchine-menti certo capaci di un rendimento superiore al rendimento attingibile dalla macchina-mente-umana. Una Teoria Generale che descrive il funzionamento di ogni mente, e quindi della Mente, tramite le notazioni simboliche della logica proposizionale. Una logica che si riduce infine, nella sua descrizione semplificata, all’algebra boolena: uno o zero, circuito aperto o chiuso.
Se dunque “the activity of the neuron is an ‘all-or-none’ process”, allora sarà possibile A Logical Calculus of Ideas. La visione di Leibniz -il calcolo logico al posto dell’imperfetto ragionare tramite linguaggi naturali-, la visione di Cartesio -la res cogitans raziocinante per via di indiscutibili catene deduttive, la mente separata dal corpo- appaiono del tutto attuali. Si possono immaginare menti prive degli umani difetti, Intelligenze Artificiali capaci di ragion pura.
A sostegno dell’affermazione -“The activity of the neuron is an ‘all-or-none’ process”-, manca un qualsiasi riferimento ad evidenze empiriche, sperimentali. Non conta per Pitts la scienza -l’osservazione di reti viventi- conta edificare un sistema deduttivo privo di contraddizioni. Potremmo aspettarci qualche riferimento bibliografico relativo alla psichiatria, alla fisiologia, alla neurologia – fonti che McCulloch doveva ben conoscere. Ma non ne troviamo traccia.
Anche questa circostanza contribuisce a confermare come, pur nella leale collaborazione, il testo debba essere attribuito più a Pitts che a McCulloch. La bibliografia si limita infatti -ed è un segno di grande forza simbolica, icastica- a tre testi di logica e di matematica; tre testi recenti, ma già canonici. Hilbert, di cui è citato il testo che è la manifestazione più compiuta del suo progetto di fondazione della ‘metamatematica’, linguaggio per ogni scienza. I Principia Mathematica, citati nella Second Edition del 1927, significativamente diversa dall’edizione 1910-1913. E poi la Logische Syntax der Sprache, del 1934, citata nella traduzione inglese del 1937. 
 
1 Warren S. McCulloch, Walter Pitts, “A logical calculus of the ideas immanent in nervous activity”, The Bulletin of Mathematical Biophysics, December 1943, Volume 5, Issue 4, pp 115-133.; trad. it. (parziale) “un calcolo delle idee immanenti nell’attività nervosa”, in Paolo Aldo Rossi (a cura di), Cibernetica e teoria dell’informazione, La Scuola, Brescia, 1978, pp. 135-140.
2Warren S. McCulloch, Walter Pitts, “A logical calculus of the ideas immanent in nervous activity”, cit., II. The Theory: Nets Without Circles, p. 118.

mercoledì 12 marzo 2014

Walter Pitts

Tra tutti coloro a cui dobbiamo il computing e il computer, pochi hanno giocato un ruolo così importante, e allo stesso tempo così misconosciuto.
Della biografia di Walter Pitts poco si sa. Ma quel poco che si sa ci restituisce l’immagine di un giovane precoce, estremamente dotato, ed allo stesso tempo fragile e sofferente. Carente di quell’affetto di cui tanto aveva bisogno.
Nasce nel 1923 a Detroit, nel seno di una famiglia dai pochi mezzi. Autodidatta, per via di studio personale apprende in gioventù il tedesco, il francese, il latino, il greco, il sanscrito. Ma fu sopratutto un precoce genio matematico.

Precoce genio
A dodici anni, in una biblioteca, lesse -la leggenda vuole: in tre giorni- i Principia Mathematica di Whitehead e Russell. Ne scrive a Russell segnalando punti critici. Russell risponde interessato e attento, e a quanto sembra -ben poco sapendo dell’età del ragazzo e della condizione personale del giovane, senza arte né parte- lo invita a Cambridge, UK.
Troviamo poi Pitts, due anni dopo, quattordicenne, a Chicago. Obbligato dal padre ad abbandonare la scuola, è scappato di casa. Lì nell’autunno del ‘38 assiste alle lezioni che Russell tenne all'University of Chicago.
Intanto, l’Europa è sconvolta dall’espansione della Germania hitleriana. In Austria, una dura campagna politica preme per l’annessione al Reich. Nel nella notte sul 12 marzo 1938 le truppe tedesche attraversano la frontiera e puntano su Vienna, senza incontrare resistenza. Scienziati e filosofi hanno scelto la via dell’esilio. L’ America è la nuova frontiera anche in campo scientifico. Rudolf Carnap, logico-matematico illustre, figura chiave del Circolo di Vienna, è negli States dal dal 1935, dall’anno dopo è all’University of Chicago.
Fu forse lo stesso Russell ad indirizzare verso Carnap il giovane Pitts. In ogni caso si sa che Pitts- siamo ancora nel 1938, il ragazzo ha quindici anni- legge The Logical Syntax of Language, la traduzione di Logische Syntax der Sprache da poco uscita in inglese. Quindi, con sotto il braccio la sua copia del libro personalmente annotata, si reca ad incontrare Carnap. Poi scompare. Carnap passò, a quanto pare, sei mesi cercando quel ragazzo “che capiva di logica”. Rintracciatolo, gli procura un qualche lavoretto non accademico, sufficiente a garantirgli il sostentamento.
Tutti nel frattempo, all’University of Chicago, si sono abituati alla presenza -a lezioni sui più diversi argomenti, o in più riservati seminari- di questo stano non-studente. Thomas Sebeok, origini ungheresi, futuro maestro della semiotica, allora studente iscritto al secondo anno, ricorda “the teenage mathematician Walter Pitts” come uno dei pochi partecipanti, insieme a lui, alle lezioni di Charles Morris, “beginnings the late 1930s”; lezioni che furono “the very first sequence of courses in semiotics”.

Da Rashevsky a McCulloch
Pitts entra così in contatto con Nicolas Rashevsky. Fuggito alla Rivoluzione Sovietica, Rashevsky ha vagato per l’Europa. Approdato negli States nel 1924, dieci anni dopo Rashevsky è all’University of Chicago. Fisico teorico di formazione, lavora per creare -così come esiste una fisica matematica- una ‘biologia teorica’. Qui, in fondo, ‘teoria’ e ‘matematica’ finiscono per identificarsi: si cerca di descrivere in modo ‘logico’, tramite appropriato linguaggio formale, i processi di divisione cellulare e di conduzione nervosa.
In qualche modo, Pitts, quindicenne, conosce un ragazzo che ha tre anni più di lui, e che sta frequentando l’ultimo anno delle superiori. Si chiama Jerome (Jerry) Lettvin. Walter è scappato di casa, ma anche Jerome ha i suoi problemi. E’ interessato solo alla poesia, alla letteratura. Ma la rigida madre vuole che diventi medico. I due ragazzi stringono una grande amicizia. La naturale disposizione di entrambi per l’eccentricità si alimenta nella relazione.1
Walter, con gentilezza, avvicina Jerome alla filosofia, alla logica, alla matematica. Jerome perde la battaglia con sua madre. Si iscrive, sempre a Chicago, alla Medical School dell’University of Illinois.
Nel 1940, giunge alla Medical School un nuovo professore. Warren McCulloch, quarantaduenne, è uomo di vari e multiformi interessi: psicologo, medico, filosofo, poeta, anche attento lettore dei Principia Mathematica. Insegna psichiatria e fisiologia clinica, e dirige il nuovo Laboratorio di Ricerca presso l’Istituto di Neuropsichiatria Illinois Medical School.
McCulloch diviene presto l’insegnante preferito di Jerry Lettvin. Tramite Jerry, anche Walter si lega a McCulloch. La relazione va oltre la comunanza di interessi, oltre la sfera intellettuale. McCulloch e la moglie, nel ‘41, accolgono i due giovani a vivere nella propria casa. Lettvin si trasferirà presto a vivere presso la Medical School. Pitts se fermerà più a lungo.
McCulloch ha il merito di costruire lo spazio affettivo necessario a Pitts per muoversi a proprio agio, per sentirsi abbastanza tranquillo, e quindi per produrre pensiero. E’ una situazione lontana dalle consuetudini, della quale si deve rendere merito a McCulloch: egli trattava i giovani scienziati come se fossero esperti di qualsiasi argomento ci si trovasse a discutere.
E’ facile parlare dall’esterno di personalità border line. E’ facile parlare di ‘disturbi’ che si manifestano nel vivere le emozioni in modo mutevole, e con un enorme coinvolgimento, le emozioni. Più che guardare questo dall’esterno, con distacco e con atteggiamento giudicante; più che mettersi nell’atteggiamento di chi cura, dovremmo cercare di capire, accettare e rispettare.
Rispetto, comprensione, stima, partecipazione da pari a pari ad un progetto: così il maturo McCulloch seppe impostare la sua relazione con il fragile e geniale adolescente Pitts.
L’articolo rimasto nella storia -A Logical Calculus ofIdeas Immanent in Nervous Activity2- esce a firma di McCulloch e Pitts nel dicembre 1943.

Da MacCulloch a Wiener
In quello stesso fatidico 1943 -mentre la guerra mondiale è a un punto di svolta: si susseguono in rapida sequenza la battaglia di Stalingrado, l’offensiva alleata nel Pacifico, la resa dell’Italia- un incontro cambia la vita del giovane Pitts. L’articolo di Rosenblueth, Wiener e Bigelow è apparso in gennaio; i due articoli che portano la firma di Walter Pitts non sono ancora usciti sul Bulletin di Rashevsky -usciranno nel settembre-, Walter è uno sconosciuto ventenne.
Lettvin, per via di fortuite circostanze, ha modo di entrare in contatto con Norbert Wiener. Gli parla del suo amico matematico. Accompagna quindi Pitts a Cambridge, al MIT, da Wiener.

Walter and I walked in on Wiener who after a gruff, “hello” said to Walter, “Let me show you my proof of the ergodic theorem.” They went next door to the blackboards, and by the time the second board was covered, after frequent acute questions and comments by Walter, it was clear that he was in.3

Walter entra così subito a far parte del ristretto circolo di collaboratori di Wiener. Come è stato uno special student a Chicago, lo è ora ad Harvard. Nell’inverno 1943-1944 partecipa a Princeton ad un incontro a porte chiuse, promosso da Wiener e von Neumann – organizzato nell’ambito del progetto della IAS Machine.
Vi partecipano “engineers, physiologist, and mathematicians” tutti interessati “in what we now call cybernetics”, scrive lo stesso Wiener nel 1948. Aiken, Goldstine: engineers, ovvero “computing-machine designers”, Rosenblueth, Lorente de Nó e McCulloch: fisiologi, “while”, scrive Wiener, uomo poco propenso a concedere facilmente riconoscimenti, “Dr. Von Neumann, Mr. Pitts, and myself were the mathematicians”.4
Walter, ragazzo ventenne, disadattato, solitario, privo di un titolo di studio, ce l’ha fatta. Potremmo dire ha raggiunto il suo Paradiso. E’ seduto tra i dottori, nel tempio della scienza, della scienza più avanzata di allora. Accolto da pari a pari, ascoltato in quanto matematico.

Wiener vs. McCulloch
McCulloch aveva accolto Pitts nella propria casa. E’ generoso, disponibile, comprensivo. E’ uomo di larghe vedute, di vasti interessi, ma resta pur sempre un medico, uno psichiatra. La relazione tra il ragazzo e il maturo professore è nettamente segnata dalla differenza di ruolo, ed anche dalla differenza di carattere. McCulloch è un brillante uomo di mondo, consapevole, sicuro di sé; Pitts è un giovane introverso, insicuro. La distanza e la specifica professionalità permettono a McCulloch di fungere da padre putativo. La stessa moglie di Pitts, Rook,5 ha una forte personalità, autonoma, decisa e allo stesso tempo materna.
Ma ora il ragazzo bisognoso di affetto cambia famiglia. Wiener mostra grande attenzione per Pitts, lo accoglie tra i boys -così li chiama lo stesso Norbert- che frequentano la sua casa.
Come Pitts, è un matematico precoce. Per entrambi, al di là della vastità degli interessi, dell’intelligenza acutissima, la matematica è il linguaggio necessario, la matematica è il codice che sostituisce ogni altro codice. Solo la matematica garantisce sicurezza, permette di dar senso al mondo.
Wiener non ha i gesti espliciti di protezione che aveva McCulloch. Eppure, o forse anzi proprio per questo, il legame assume subito per Pitts una importanza vitale. Wiener è la figura paterna sognata, fino ad allora mancante.
Ma Wiener non può giocare, come McCulloch, sul tasto della differenza. E’ troppo simile a Pitts. E’, lui stesso, bisognoso di affetto e di protezione. E’, nella vita quotidiana, perennemente distratto, goffo, insicuro. Vive sull’orlo dello squilibrio mentale.
Margaret, la moglie di Wiener, per via del proprio rigido carattere, e del ruolo protettivo che si sente chiamata a coprire, non può vedere di buon grado i colleghi, gli amici, seguaci -in molti casi anticonformisti, eccentrici- con cui Norbert intrattiene i rapporti.
Ma in particolar modo l’antipatia, la diffidenza, il rancore, l’astio, il livore si indirizzano verso una persona: Warren McCulloch. Warren e la sua famiglia finiscono per essere inevitabilmente il bersaglio dei timori, delle recriminazioni e delle critiche.
All’inizio degli Anni Cinquanta ogni rapporto tra Wiener e McCulloch sono brutalmente troncati – per volere di Wiener, spinto e sostenuto dalla moglie.

Dramma inconcepibile
Walter, ventottenne timido, indifeso, affettuoso e bisognoso di affetto, è cacciato fuori, lontano dalla famiglia Wiener, dove è stato di casa per otto anni, ripudiato da quel padre.
Pitts aveva portato al culmine il sogno matematico, il sogno di conoscere il funzionamento della mente per via matematica. Pitts aveva anche, usando poeticamente la matematica, connesso l’agire umano agli affetti. E si trova ora a soccombere ad un agire umano forse ancora coerente ad una logica formale, ma disconnesso dagli affetti.
La matematica, raggiunta la propria apoteosi: la conquista della mente, cade nel proprio inferno: le insondabili contraddizioni che emergono dalla psiche.
Con il tradimento di Wiener, anche la matematica ha tradito. Pitts è costretto a scoprire, in carne propria, che rigore sintattico -la purezza formale del linguaggio- non risolve mai i problemi della semantica -la bruttura, la disconnessione, l’assurdità di ciò di cui si è costretti a prendere atto, e si dovrebbe narrare.
Per Pitts è un dramma inconcepibile, insopportabile, dal quale non si risolleverà più. E’ la morte.

From the point on, we had no way of getting him interested in things.6

Come era Walter Pitts. Era un giovane magro, timido, gentile e non invadente. Aveva paura delle donne. Ma all’occorrenza accudiva teneramente i bambini. Sollecitato a richieste di un rapporto personale, rispondeva alle domande con freddezza, si chiudeva in se stesso. Non parlava mai con nessuno della sua famiglia. Si esprimeva sempre in modo impersonale. Ma era anche scherzoso, capace di inventare ogni sorta di giochi di parole. La sua gentilezza nei confronti dei giovani contrastava la secchezza delle sue argomentazioni e con il suo non celato disprezzo per la sciatteria logica degli scienziati sociali.
Pitts muore solo, lontano dai suoi stessi amici, lontano dal mondo, il 14 maggio 1969, a 46 anni, per danni all’esofago, forse connessi con una cirrosi, forse conseguenza di ubriachezza o di assunzione di qualche sostanza. Era morto in realtà prima dei trent’anni, quando è stato abbandonato da Wiener.

1Jerome Lettvin, Autobiography, in Larry R. Squire (ed.), The History of Neuroscience in Autobiography, The Society for Neuroscience, Academic Press, London, Volume 2, 1998, pp. 224-243.
2 Warren S. McCulloch, Walter Pitts, “A logical calculus of the ideas immanent in nervous activity”, The Bulletin of Mathematical Biophysics, December 1943, Volume 5, Issue 4, pp 115-133.; trad. it. (parziale) “un calcolo delle idee immanenti nell’attività nervosa”, in Paolo Aldo Rossi (a cura di), Cibernetica e teoria dell’informazione, La Scuola, Brescia, 1978, pp. 135-140.
3Jeremy Lettvin, Autobiography, in Larry R. Squire (ed.), The History of Neuroscience in Autobiography, The Society for Neuroscience, Academic Press, London, Volume 2, 1998, pp. 230. Vedi anche James A. Anderson, Edward Rosenfeld, Talking Nets: An Oral History of Neural Networks, Intervista con Jerome Y. Lettvin, cit., p. 4. Norbert Wiener, Cybernetics, Or Control and Communication in the Animal and the Machine, The Technology Press, Wiley & Sons, New York; Hermann et. Cie, Paris, 1948. Introduction, pp. 21 e segg.
4Norbert Wiener, Cybernetics, Or Control and Communication in the Animal and the Machine, cit, 1948, Introduction, p. 23.
5Alex Andrew, "Tribute to the Life and Work of Rook McCulloch", Kybernetes, Vol. 22 Issue 3, 1993, p. 4 .
6James A. Anderson, Edward Rosenfeld (eds.), Talking Nets: An Oral History of Neural Networks, MIT Press, Cambridge, Ma., 2000: intervista con Jerome Y. Lettvin raccolta il 2 giugno 1994, con aggiunte 1997, p. 9.