domenica 20 settembre 2009

Organizzazione di conoscenze e di attività

Questo è il corso che tengo nel primo semestre dell'anno accademico 2009-2010 all'Università di Pisa. Come si vede, i temi sono attinenti a quello che scrivo in questo blog.

Titolo: Organizzazione di conoscenze e di attività
Corso di studi: Informatica Umanistica (specialistica)
Docente: Francesco Varanini

Argomento:
Il corso fornisce un quadro di riferimento teorico, e propone lo studio di casi a proposito di:
• cultura organizzativa: come nascono, vivono, muoiono reti sociali, gruppi e organizzazioni
• modelli e funzionamento dell'organizzazione aziendale
• Knowledge Management: come le conoscenze sono create, portate alla luce, rese accessibili, condivise, valorizzate.
Per ognuno dei temi suddetti, verrà specialmente studiato il supporto offerto da tecnologie e strumenti informatici.
Coerentemente con il tema 'organizzazione della conoscenza', le lezioni, che si svolgono in Laboratorio Informatico, proporranno concreta sperimentazione di come si 'costruisce conoscenza' utilizzando motori di ricerca e risorse offerte dalla Rete. Questa esperienza non è ovviamente riproducibile studiando su libri.

Testi d'esame
• Humberto Maturana, Francisco Varela, El árbol del conocimiento, 1984; trad. it. L’albero della conoscenza, un nuovo meccanismo per spiegare le radici biologiche della conoscenza umana, Garzanti, Milano, 1992.
• Charles Babbage, On the Economy of Machinery and Manufactures, 1835 (fourth edition), accessibile on line presso Google libri.
Più un testo scelta tra i seguenti due:
• Federico Butera, Il castello e la rete: Impresa, Organizzazione e Professioni, FrancoAngeli, Milano, 1990, (XV edizione, 2008)
• Manuel Castells, The Rise of the Network Society, The Information Age: Economy, Society and Culture, Vol. I. Cambridge, MA; Oxford, UK. Blackwell. 1996; trad. it La nascita della società in rete, Egea-Università Bocconi, 2008.

Testi per approfondimento:
• Peter L. Berger and Thomas Luckmann, The Social Construction of Reality: A Treatise in the Sociology of Knowledge, Garden City, New York: Anchor Books, 1966; trad. it. La realtà come costruzione sociale, Bologna, Il Mulino, 1997
• Thomas Kuhn, The Structure of Scientific Revolution, Chicago, University of Chicago, 1962; tr. it. La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 1969.
• Ikujiro Nonaka, Hirotaka Takeuchi, The Knowledge-Creating Company: How Japanese Companies Create the Dynamics of Innovation, Oxford: 1995; trad. it. The Knowledge-Creating Company. Creare le dinamiche dell’innovazione, Milano Guerini e Associati, 1997

Indicazioni per non frequentanti:
Gli studenti possono rivolgersi al docente, durante l'orario di ricevimento o via mail, per avere suggerimenti in merito a come sostituire l'esperienza pratica di 'costruzione di conoscenza' sperimentata durante le lezioni.

mercoledì 16 settembre 2009

Pensare da sé: una lezione di Wittgenstein

Ich möchte nicht mit meiner Schrift Andern das Danken ersparen. Sondern, wenn es möglich wäre, jemand zu eingenen Gedanken anregen.
Ich hätte gerne ein gutes Buch hervorgebracht. Es ist nicht so ausgefallen; aber die Zeit ist vorbei, in der es von mir verbessert werden könnte. (Ludwing Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, Oxford, 1953; cito dal Ludwig Wittgenstein, Werkausgabe, Band I, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1989. Vorwort (1945), p. 233; trad. it. Ricerche filosofiche, Einaudi, 1967. Prefazione dell'autore, p.5).


Non vorrei, con questo mio scritto, risparmiare ad altri la fatica di pensare. Ma, se fosse possibile, stimolare qualcuno a pensare da sé.
Avrei preferito produrre un buon libro. Non è andata così; ma è ormai passato il tempo in cui avrei potuto renderlo migliore.


Non mi importa la filosofia di Wittgestein, che del resto non esiste. Importa il filosofare di Wittgenstein. E pochi filosofi come Wittgenstein -nelle Ricerche filosofiche molto più che nel Tractatus- ci mostrano il pensiero del pensatore, lasciandoci vicini al pensiero mentre nasce. Se c'è un senso nella filosofia, il senso sta nella bellezza del pensare, nel lavoro della mente che crea conoscenza. Di molta della migliore filosofia non c'è traccia, perché il pensiero è una attività che, in origine, non lascia tracce se non nella mente del pensatore. Ci sono tracce, sia pure labili, nella mente di coloro che hanno assistito all'emergere del pensiero durante una lezione, un seminario, una chiacchiera del pensatore. Ci sono tracce (in apparenza) meno labili se il filosofo ha scritto.
Non posso non dire: tracce 'in apparenza' meno labili. Perché qui mi trovo a dire della natura profonda e sottaciuta della scrittura. La scrittura è traccia di qualcosa. E' al qualcosa che si deve guardare. La ricchezza sta lì, non nelle tracce che ne restano. La scrittura non serve a niente se non ci dice qualcosa. La scrittura è un modo per avvicinarsi alla conoscenza.
Raramente si trova, come in queste parole di Wittgenstein, una riflessione profonda sul tema di come si pensa, di come si crea conoscenza. E sopratutto sul tema di come la scrittura è un aspetto intrinseco, non indispensabile, ma specialmente arricchente, di questo processo. Faccio fatica a chiarirmi le idee, a svilupparle, a sciogliere il gomitolo aggrovigliato, perciò sostengo il mio pensiero con la scrittura. Scrivendo mi chiarisco le idee. Se penso senza sostenere il mio pensiero attraverso la scrittura, penso in un modo diverso. Diverso da quando creo conoscenza senza scrivere. Lo spazio-tempo della scrittura è spazio-tempo dedicato a creare conoscenza. Conta lo scrivere, non lo scritto. Ciò che resta come traccia non è il frutto del pensiero, non lì sta la conoscenza. Pensando-scrivendo posso ben aver lasciato parti importanti del pensiero non dette, tra le righe del mio scrivere. Può ben darsi che la traccia lasciata sia infedele e grandemente povera, rispetto alla ricchezza che sentivo nel mio pensiero. Ma è la traccia che c'è e -in mancanza di meglio- questa è la ricchezza che ho a disposizione.
Per questo è importante scrivere: è l'esercizio di uno specifico modo di pensare. E quando, anche attraverso la scrittura, ho pensato, il processo è andato a buon fine e il lavoro è terminato. Il testo, osservato da questo punto di vista, è una scoria. Più che la ricca materia prodotta, è l'escremento.
E' certo utile studiare gli scritti, tornare su di essi per capire come in quell'istante stavo pensando io stesso che rileggo i miei testi, o come stava pensando qualsiasi altra persona che, oggi come mille o duemila anni fa, ha lasciato tracce scritte del suo pensiero. Ma è utile leggere, appunto, per chiedersi 'come stava pensando' la persona intenta a pensare-scrivere, è utile per inferire quel pensiero che stava emergendo in quell'istante nella mente del pensante-scrivente. E' una semplificazione, un errore, una fuga, attribuire valore di verità allo scritto, cercare l'essenza del pensiero nello scritto che posso avere ora sotto gli occhi. Il pensiero nasceva là, in quel momento in cui qualcuno pensava-scriveva. La traccia di quel pensiero rimasta su carta, o su un qualsiasi altro supporto, non è che un indicatore, un segnale, un indizio. Il segno, certo e rassicurante, dotato di valore e di verità, non c'è. Leggendo, posso solo inferirne il senso. Leggere è muoversi nel testo, questo inconcluso e parziale sistema di tracce, cercando e trovando anche quello che materialmente non c'è.
L'intelligenza è inter ligere, 'leggere tra le righe'.

Una postilla. Mostra qui la sua miseria l'atteggiamento di quegli intellettuali che mostrano dispetto per l'eccesso di scrittura, l'atteggiamento di tutti coloro che sostengono che si dovrebbe passare meno tempo a scrivere e più tempo a leggere. Non è, in fondo, che un modo per difendere il proprio ruolo di persone già legittimate a pensare, magari professionisti del pensiero su un dato argomento. E' l'atteggiamento di chi, trovandosi nelle condizioni di manovrare, proclama che non si deve disturbare il manovratore.
Ma invece: ogni persona è dotata di una mente diversa, ogni persona è fonte di nuove conoscenze. Perché mai dovremmo rinunciare al suo contributo alla costruzione sociale di ricchezza. Chi proclama i vantaggi della rinuncia, appare ora nudo, e l'interesse privato che va a scapito del vantaggio collettivo risulta evidente. Perché è caduta oggi l'unica ragionevole motivazione a non prendere in considerazione la scrittura di tutti: fino ad un recente ieri, era impossibile muoversi nella massa infinita di testi. Ma oggi, non è più così: strumenti di scrittura-lettura del tipo 'motore di ricerca' permettono di muoversi efficacemente nella massa infinita. E visto che posso muovermi nella massa, piuttosto che poche tracce di pochi momenti di scrittura-lettura di poche persone, preferisco il molto: molte tracce di molte persone.
Che si vadano a rileggere, questi figuri, le parole di Wittgenstein: “Non vorrei, con questo mio scritto, risparmiare ad altri la fatica di pensare. Ma, se fosse possibile, stimolare qualcuno a pensare da sé.”

mercoledì 9 settembre 2009

Derrida e la scrittura digitale

Derrida: 'la trasparenza del discorso orale può essere contestata; anche il discorso orale è una forma di scrittura'. A prima vista, il ragionamento appare come un elegante paradosso, e nient'altro. Ma la situazione tecnologica nella quale mi muovo nel momento in cui scrivo permette di andare oltre, e di cogliere il senso profondo che la la scrittura di Derrida ospita – forse al di là di ciò di cui lo stesso Derrida è consapevole.
Derrida: 'scrittura è la forma primaria di espressione della personale conoscenza, della esperienza che ognuno fa interagendo con il mondo che lo circonda'. Ovvero: l'esperienza ha valore se 'prende forma'. Il prendere forma, Bildung, è il processo necessario alla costruzione di conoscenza. Il 'prendere forma' può manifestarsi in forme diverse.
Derrida: 'scrittura è qualsiasi cosa che separi la lingua dall’immediatezza della percezione non mediata'. Ovvero: faccio esperienza interagendo con il mondo, tramite la lingua esprimo l'esperienza.
Derrida: 'è scrittura qualsiasi manifestazione del linguaggio che lascia traccia o iscrizione'. Ovvero: anche il discorso orale è una forma di di scrittura. Il considerare scrittura solo il vergare segni su un supporto è accanirsi a guardare il mondo con gli unici occhiali dei quali disponevamo in una fase storica e tecnologica. La scrittura è la costruzione del codice. Il codice 'sta dietro', 'sta sotto', 'c'è prima'.
Derrida: 'la scrittura, e non l’oralità, è la manifestazione fondamentale della lingua'. Ovvero: la lingua è il modo attraverso il quale l'uomo esterna l'esperienza, l'interazione tra sé e il mondo. La lingua è codifica, senza la codifica la conoscenza non può essere esplicitata, conservata, condivisa, riutilizzata. L'oralità, così come il vergare segni su un supporto, sono utilizzi della conoscenza codificata.
Questo, credo, intende Derrida. Senza saperlo -ritengo che le sue conoscenze di informatica fossero scarse o nulle, ma il suo sguardo non era velato da pregiudizi come lo è invece lo sguardo di altri filosofi: Severino, o Galimberti- Derrida parlando di scrittura, ci parla di ciò che l'informatica chiama digitalizzazione. Conservazione, tramite adeguata codifica, dei dati grezzi che hanno in sé la conoscenza, prima che questa prenda forma in uno o in altro modo, in uno degli enne modi possibili.
Se, lungo millenni di storia, abbiamo finito per intendere per scrittura esclusivamente i segni graffiati, vergati, tracciati su un supporto, tramite uno strumento incisivo, e poi tramite una penna-, è solo perché questa era l'unica tecnologia di cui disponevamo: per conservare conoscenza, per mantenerla in uno stato che ci permettesse di riutilizzarla, non potevamo fare altro che scrivere.
Ora che disponiamo di nuove tecnologie -Derrida, non suo modo visionario ed ermetico ci parla credo di questo- possiamo ben intendere la scrittura in un senso più ampio: tecnologia che rende possibile l'esternare conoscenza, tecnologia che rende possibile accedere alla conoscenza.
Quando Platone nel Fedro sostiene i meriti dell'oralità rispetto alla scrittura, coglie con acume il limite della scrittura su carta. “Il discorso di colui che sa, vivo e animato”, se trasferito su carta si trasforma in qualcosa di fisso e chiuso, che di quel discorso potrebbe “giustamente dirsi un simulacro”. “I discorsi scritti” non sono niente più “del richiamare alla memoria di chi già li conosce gli argomenti trattati nello scritto”. Le possibili connessioni, i possibili modi di intendere quella tela viva che è il testo sono ridotte nello scolastico confine di ciò che è già stato scritto su carta.
La parola scritta su carta, così come l'informazione conservata nei Data Base, cozza ancora oggi con questi impoverenti limiti. La povertà tecnologica della codifica consistente in un solo tracciato -i segni che ho vergato sul supporto, le informazioni ingabbiate nel data model, nel tracciato record o nelle tabelle di un Data Base-, rende ancora attuale la critica di Platone. Molto meglio del testo scritto su carta, ingabbiato dal già tracciato, il testo che ho in mente, aperto a infinite articolazioni, a sempre diverse evoluzioni.
La caratteristica dello sguardo di chi costruisce Basi Dati, e di chi scrive già pensando al libro, è la fissità: cerca la struttura invariabile. Come lo sguardo di Linneo, non vede l'evoluzione e trascura la variazione.
Ma Derrida ci aiuta a guardare oltre, e a cogliere gli enormi vantaggi della codifica che il computing ci mette a portata di mano. Ci spinge a cogliere il movimento, lo sviluppo. Non c'è un testo già dato, stabilito per sempre. Il testo è il continuo divenire della conoscenza che si fa istante dopo istante. In questo momento colgo il testo in una delle sue possibili manifestazioni.
La scrittura, così come è intesa da Derrida, va oltre le critiche di Platone: ci appare come necessaria massa informe, ma contenente in se il germe della propria organizzazione. Una organizzazione che puo' manifestarsi -Bildung- in forme sempre diverse, ed è in fondo sempre in fieri.
E la descostruzione di Derrida ci appare meno oscura se la intendiamo come risalita, o ritorno, dal testo scritto su carta al retro-testo, o meta-testo, frutto della mia capacità di connettere, di tessere la tela di una narrazione. Retro-testo, meta-testo di cui il testo scritto su carta non è che una delle possibili manifestazioni.
La decostruzione di Derrida ci appare meno oscura se,- in senso più lato, guardando le cose al di fuori del tradizionale panorama che ci è concesso se guardiamo il mondo non solo attraverso i libri- la intendiamo come la perenne ristrutturazione di cui è passibile la conoscenza digitalizzata.
Decostruire è 'guardare dietro', guardare sotto' alla conoscenza come appare attraverso una sua manifestazione. 'Dietro' e 'sotto' e 'prima' di ciò che sto scrivendo su un foglio, così come 'dietro' e 'sotto' e 'prima' della parola pronunciata oralmente, c'è la conoscenza che sto portando in questo istante alla luce.
Infatti, i dati digitalizzati relativi a quella conoscenza, costituiscono il codice che mi permette sia di manifestare quella conoscenza sotto forma di parola pronunciata -pensiamo a un file mp3- sia sotto forma di parola scritta tramite segni alfabetici -pensiamo ad un file Word-.
Il codice è la scrittura. Scrivendo creo codice passibile di utilizzi diversi.