Ricordiamo i “sette anni di studio matto e disperatissimo” spesi dal giovane Giacomo Leopardi nella biblioteca paterna, con la volontà di impossessarsi del più ampio sistema di nozioni (notione deriva da notum: conoscenza scolastica, già data ).
Sono anni che compromettono irrimediabilmente la salute e l'aspetto esteriore di Giacomo. Ma Giacomo non rinuncia a divagare, va oltre, guarda fuori. E' attento agli indizi. La finestra dello studio si apre sul mondo, sta a noi non rinunciare a guardare.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D'in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch'io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Le carte sono “sudate”, ma gli studi possono essere “leggiadri”. Connettere il testo già dato con il mondo circostante rendi i pensieri “soavi”, illuminate dal “ciel sereno” le parole scritte su carta appaiono diverse, strutturalmente accoppiate alle “vie dorate e agli orti”, al “mare da lungi” e al “monte”. (Giacomo Leopardi, Canti, Piatti, Firenze, 1831. XXI, A Silvia, vv. 15-29).
Giacomo stanco, la mente bloccata, guarda fuori dalla finestra; la “faticosa tela” di Silvia è metafora della sua tela interrotta. Solo quando le abitudini dello studio matto e disperatissimo vengono troncate e si impara ad assumere un atteggiamento orientato al 'lasciar andare' il flusso dei pensieri, solo allora la naturale caratteristica della mente di conoscere se stessa e di riflettere in modo creativo sulla propria esperienza può finalmente emergere.
Ecco perché leggiamo libri gialli. E li leggiamo magari in momenti di difficoltà.
Leggere un libro giallo è un intimo gesto di abbandono. Di allentamento del controllo. Solo quando si interrompe la lettura e la scrittura intese come lavoro per leggere un libro giallo dal pensiero possono emergere nuove connessioni.
Di fronte a questo eccesso di libri e biblioteche e schedari e riviste e giornali l'orientamento al controllo è fallace, ed invece costituisce punto di partenza vantaggioso la consapevolezza della propria ignoranza.
La conoscenza sta nel muoversi connettendo qui ed ora notizie e nozioni e dati prescindendo dalla loro struttura così come dal loro originario scopo, come se stessimo osservando per la prima volta un mondo sconosciuto.
Solo questo è sapere, nutrimento adeguato, dotato di sapore, adeguato al momento e al luogo.
I libri gialli ci parlano di un atteggiamento di fronte al conoscere. Rispondono -in un preciso momento storico- ad un basilare, ancestrale bisogno dell'uomo: costruire conoscenza adeguata, rispondere alle insidie dell'ambiente, garantirsi la sopravvivenza in un ambiente che eccede le nostre possibilità di controllo e di piena comprensione.
Il pensiero irrisolto appare come gnommero, diceva Gadda nel Pasticciaccio, matassa ingarbugliata. In ogni libro giallo troviamo fissato questo momento.
Tutto era ancora una matassa ingarbugliata. Non c'erano aperture, nessuna pista che portasse a una svolta nelle indagini. (Henning Mankell, Villospår, Ordfrronts Förlag, Stockholm, 1995; trad. it. La falsa pista, Marsilio, 2009, p. 209).
Clew sta in inglese per 'a ball of thread or yarn', 'gomitolo'. Da clew, per semplice variante fonetica (la pronuncia non cambia), clue – che dall'inizio del 1600 sta per 'that which points the way', qualcosa che indica la via; e quindi 'indizio'. Trasparente il riferimento al mito di Arianna: Teseo, l'eroe, trova l'uscita dal labirinto grazie al filo di lana che l'amata gli ha dato.
A metà del 1800 il legame tra clue e clew era ben presente nella lingua popolare, nella cronaca giornalistica relativa alla soluzione dei casi criminosi da parte dei detective di Scotland Yard e degli investigatori, così come nella narrativa.
Leggiamo Mary Bolton di Elizabeth Gaskell:
E' sempre un piacere svelare un mistero, dipanare il sottile groviglio di fili che ci porterà alla certezza.
La mente semidesta, mentre sia abbandona a percorrere il groviglio proposto dalla narrazione, sperimenta come andare oltre i confini del già pensato. Si scopre così come guardare il mondo con occhi nuovi.
Il libro giallo ci fornisce un risposta, ci accompagna nel costruire senso dipanando l'aggrovigliato gomitolo, facendo emergere il senso che è latente in quello stesso aggrovigliato gomitolo. Il libro giallo silenziosamente e piacevolmente ci accompagna sollecitando la nostra mente a compiere quel lavoro
Leggiamo, per esempio, nell'undicesimo romanzo di Philo Vance (S. S. Van Dine, The Gracie Allen murder case, New York, C. Scribner’s sons, 1938. Trad. it. Philo Vance e il caso Allen, Giallo Mondadori 1246 [17 dicembre 1972]):
Lasciami delirare ancora un po' prima di richiudermi in una camicia di forza... vi sono altre cose per me sconcertanti che potrebbero essere assemblate in un tutt'uno coerente... Finalmente si forma uno schema nel mio vorticoso cervello.
Perciò ci appare manifestazione di una paradossale saggezza il fatto che, nell'epoca del tramonto del libro come forma unica ed universale, le librerie offrano un numero sempre crescente di libri gialli, ed ogni libro tenda ad assumere la struttura del libro giallo. Possiamo immaginare che sarà un libro giallo l'ultimo libro che leggeremo.
Quando non avremo più motivo di leggere libri, perché l'uso di qualche tipo di macchina, intesa come espansione e protesi della nostra mente, ci farà apparire del tutto obsoleto questo insieme di fogli stampati o manoscritti, di forma e misura uguale, ordinati secondo un dato ordine, numerati e cuciti insieme in modo da formare un volume, fornito di copertina o rilegato, quando non avremo più motivo di leggere libri, forse l'unico libro che leggeremo con piacere sarà un libro giallo.
Ci ricorderà il passato, e allo stesso tempo ci allenerà a al nuovo lavoro che sostituisce la lettura. Se la lettura è un passivo subire la struttura proposta da un autore, da un esperto, il libro giallo ci propone la scoperta di una soluzione, l'emergere di un percorso di senso. Il lavoro dell'investigatore, è lo stesso lavoro del knowledge worker che, lavorando con l'ausilio di un computer costruisce conoscenza per tentativi ed errori, sbrogliando enigmi, dipanando matasse intricate.
Il libro giallo, meta-libro, ci parla del mondo del dopo-libro e ci insegna muoverci in quel mondo.
Un mondo dove menti strutturalmente accoppiate a computer costruiscono conoscenza, come se stessero leggendo un libro giallo.
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