mercoledì 16 settembre 2009

Pensare da sé: una lezione di Wittgenstein

Ich möchte nicht mit meiner Schrift Andern das Danken ersparen. Sondern, wenn es möglich wäre, jemand zu eingenen Gedanken anregen.
Ich hätte gerne ein gutes Buch hervorgebracht. Es ist nicht so ausgefallen; aber die Zeit ist vorbei, in der es von mir verbessert werden könnte. (Ludwing Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, Oxford, 1953; cito dal Ludwig Wittgenstein, Werkausgabe, Band I, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1989. Vorwort (1945), p. 233; trad. it. Ricerche filosofiche, Einaudi, 1967. Prefazione dell'autore, p.5).


Non vorrei, con questo mio scritto, risparmiare ad altri la fatica di pensare. Ma, se fosse possibile, stimolare qualcuno a pensare da sé.
Avrei preferito produrre un buon libro. Non è andata così; ma è ormai passato il tempo in cui avrei potuto renderlo migliore.


Non mi importa la filosofia di Wittgestein, che del resto non esiste. Importa il filosofare di Wittgenstein. E pochi filosofi come Wittgenstein -nelle Ricerche filosofiche molto più che nel Tractatus- ci mostrano il pensiero del pensatore, lasciandoci vicini al pensiero mentre nasce. Se c'è un senso nella filosofia, il senso sta nella bellezza del pensare, nel lavoro della mente che crea conoscenza. Di molta della migliore filosofia non c'è traccia, perché il pensiero è una attività che, in origine, non lascia tracce se non nella mente del pensatore. Ci sono tracce, sia pure labili, nella mente di coloro che hanno assistito all'emergere del pensiero durante una lezione, un seminario, una chiacchiera del pensatore. Ci sono tracce (in apparenza) meno labili se il filosofo ha scritto.
Non posso non dire: tracce 'in apparenza' meno labili. Perché qui mi trovo a dire della natura profonda e sottaciuta della scrittura. La scrittura è traccia di qualcosa. E' al qualcosa che si deve guardare. La ricchezza sta lì, non nelle tracce che ne restano. La scrittura non serve a niente se non ci dice qualcosa. La scrittura è un modo per avvicinarsi alla conoscenza.
Raramente si trova, come in queste parole di Wittgenstein, una riflessione profonda sul tema di come si pensa, di come si crea conoscenza. E sopratutto sul tema di come la scrittura è un aspetto intrinseco, non indispensabile, ma specialmente arricchente, di questo processo. Faccio fatica a chiarirmi le idee, a svilupparle, a sciogliere il gomitolo aggrovigliato, perciò sostengo il mio pensiero con la scrittura. Scrivendo mi chiarisco le idee. Se penso senza sostenere il mio pensiero attraverso la scrittura, penso in un modo diverso. Diverso da quando creo conoscenza senza scrivere. Lo spazio-tempo della scrittura è spazio-tempo dedicato a creare conoscenza. Conta lo scrivere, non lo scritto. Ciò che resta come traccia non è il frutto del pensiero, non lì sta la conoscenza. Pensando-scrivendo posso ben aver lasciato parti importanti del pensiero non dette, tra le righe del mio scrivere. Può ben darsi che la traccia lasciata sia infedele e grandemente povera, rispetto alla ricchezza che sentivo nel mio pensiero. Ma è la traccia che c'è e -in mancanza di meglio- questa è la ricchezza che ho a disposizione.
Per questo è importante scrivere: è l'esercizio di uno specifico modo di pensare. E quando, anche attraverso la scrittura, ho pensato, il processo è andato a buon fine e il lavoro è terminato. Il testo, osservato da questo punto di vista, è una scoria. Più che la ricca materia prodotta, è l'escremento.
E' certo utile studiare gli scritti, tornare su di essi per capire come in quell'istante stavo pensando io stesso che rileggo i miei testi, o come stava pensando qualsiasi altra persona che, oggi come mille o duemila anni fa, ha lasciato tracce scritte del suo pensiero. Ma è utile leggere, appunto, per chiedersi 'come stava pensando' la persona intenta a pensare-scrivere, è utile per inferire quel pensiero che stava emergendo in quell'istante nella mente del pensante-scrivente. E' una semplificazione, un errore, una fuga, attribuire valore di verità allo scritto, cercare l'essenza del pensiero nello scritto che posso avere ora sotto gli occhi. Il pensiero nasceva là, in quel momento in cui qualcuno pensava-scriveva. La traccia di quel pensiero rimasta su carta, o su un qualsiasi altro supporto, non è che un indicatore, un segnale, un indizio. Il segno, certo e rassicurante, dotato di valore e di verità, non c'è. Leggendo, posso solo inferirne il senso. Leggere è muoversi nel testo, questo inconcluso e parziale sistema di tracce, cercando e trovando anche quello che materialmente non c'è.
L'intelligenza è inter ligere, 'leggere tra le righe'.

Una postilla. Mostra qui la sua miseria l'atteggiamento di quegli intellettuali che mostrano dispetto per l'eccesso di scrittura, l'atteggiamento di tutti coloro che sostengono che si dovrebbe passare meno tempo a scrivere e più tempo a leggere. Non è, in fondo, che un modo per difendere il proprio ruolo di persone già legittimate a pensare, magari professionisti del pensiero su un dato argomento. E' l'atteggiamento di chi, trovandosi nelle condizioni di manovrare, proclama che non si deve disturbare il manovratore.
Ma invece: ogni persona è dotata di una mente diversa, ogni persona è fonte di nuove conoscenze. Perché mai dovremmo rinunciare al suo contributo alla costruzione sociale di ricchezza. Chi proclama i vantaggi della rinuncia, appare ora nudo, e l'interesse privato che va a scapito del vantaggio collettivo risulta evidente. Perché è caduta oggi l'unica ragionevole motivazione a non prendere in considerazione la scrittura di tutti: fino ad un recente ieri, era impossibile muoversi nella massa infinita di testi. Ma oggi, non è più così: strumenti di scrittura-lettura del tipo 'motore di ricerca' permettono di muoversi efficacemente nella massa infinita. E visto che posso muovermi nella massa, piuttosto che poche tracce di pochi momenti di scrittura-lettura di poche persone, preferisco il molto: molte tracce di molte persone.
Che si vadano a rileggere, questi figuri, le parole di Wittgenstein: “Non vorrei, con questo mio scritto, risparmiare ad altri la fatica di pensare. Ma, se fosse possibile, stimolare qualcuno a pensare da sé.”

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