lunedì 17 giugno 2013

Il libro come misero output vs. la conoscenza emergente

I libri contengono una porzione infinitesimale della conoscenza che l'uomo ha prodotto, nel corso di milioni di anni, e che sta producendo in quest'istante, e che produrrà nei giorni e nei secoli avvenire. I libri, oltretutto, per la loro organizzazione interna, permettono un accesso limitato alla conoscenza che contengono.
Fino a pochi anni fa il libro costituiva un mezzo sostanzialmente privo di concorrenti. Le base dati strutturate, in fondo, ripropongono, in modo più articolato e sofisticato, l’organizzazione della conoscenza che già il libro ci proponeva.
Ma oggi l'informatica ci offre una valida alternativa: la possibilità di accedere, anziché all'informazione già costruita in libro, alla cucina di ogni possibile libro. Il web ci mostra come sia alla portata di ognuno la complessa, imperfetta e instabile, eppure enormemente ricca, galassia senza forma di conoscenze che l'uomo produce ed è in grado di produrre.
Se il libro appare ordinato e rassicurante, l'infinito pluriverso delle menti umane che istanze dopo istanze producono e riproducono sapere, è -all'opposto- caotico. Ma il caos è un vantaggio: possiamo partecipare alla creazione del mondo. Non a caso l'informatica mette a nostra disposizione strumenti -l'esempio più evidente oggi lo conosciamo sotto il nome di 'motore di ricerca'- che ci permettono di muoverci con significativi gradi di autonomia e di libertà in questa galassia-di-conoscenza-non-ancora-costretta-in-forma. Libertà che invece il libro ci negava.
Eppure, anche avendo a portata di mano questa enorme opportunità, ci rintaniamo nel dar valore al libro, nel guardare solo ciò che il libro mostra, nel concedere al libro un primato che non merita.
Il libro ha onestamente svolto la sua funzione, continuerà a svolgerla; nessuno vuole buttarlo via. Ma il libro è un alibi. L'autorevole gabbia del libro ci tranquillizza, giustificando il nostro chiuderci nel ruolo di passivi lettori di ciò che è già stato scritto.
L'amore per il libro nasconde il timore che nasce dal trovarsi di fronte all'infinito, all'inconcluso. Nasconde il timore di doverci assumere la responsabilità del nostro pensiero e delle nostre parole. Nasconde il timore della novità, dell'incertezza.
Il libro ripete, non narra. La narrazione, conoscenza emergente qui ed ora, è appunto la perenne bufera di distruzione creativa, la continua produzione e riproduzione di conoscenza – processo del quale il libro non fotografa che un istante, uno degli infiniti istanti.
Guardando al magma della conoscenza in fieri che l'informatica mette a nostra disposizione, vediamo il libro come un misero output, un qualsiasi perituro e limitato tabulato sputato fuori da un computer, in funzione di una specifica domanda.
Certo più feconda, anche se perturbante, l'immagine di ognuno di noi, o di gruppi di persone legate da speciali sempre diverse connessioni, noi liberi e soli naviganti nel mare della conoscenza, sull'onda di deboli tracce, di labili connessioni. Noi affacciati su questo mare di informazioni, disposti alla sorpresa. Noi con le menti semideste.
Come ci mostrano uomini sensibilissimi. Penso a Baruch Spinoza, penso a Dick, capaci (in modi diversi – ma ognuno di noi è diverso da ogni altro) di cogliere nessi e segnali deboli e di ascoltare voci. Capace di trascurare il già palese per guardare invece all'immanenza. Immanenza: 'restare dentro'. La conoscenza nasce dalle cose che si fanno. Il Dio dell'informatica sta nei dati grezzi, la forma esterna al dato non ha senso; la struttura già data è di per sé irrilevante.
Così può operare oggi ognuno di noi. Il contributo che realmente possiamo dare al mondo avvenire è costruire nuova conoscenza, narrazioni, a partire da questi dati grezzi. Organizzando e interpretando i dati alla luce della nostra autobiografia, alla luce della nostra irredimibile unicità.

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