giovedì 21 novembre 2013

Alan Turing, la logica binaria e la perfezione non-umana

Una precisa scelta filosofica sta alla base del computing: la logica binaria. Già Leibniz, tre secoli prima, aveva cercato via d’uscita dalla complessità e all’incertezza dei rapporti sociali nel calcolo logico. L’intenzione torna ad affermarsi all’inizio del Ventesimo Secolo per tramite di Frege, Russell, Hilbert.
Accade così che che uomini sensibili, lucidissimi, posti dalla loro stessa intelligenza nella necessità di trovare risposte, si affidino alla matematica, cercando, tramite la matematica una via per eliminare dal ragionamento ogni zona grigia.
Tra i problemi proposti ai matematici da Hilbert all’inizio del secolo gioca un ruolo centrale l’Entscheidungsproblem, il Problema di Decisione: vi si chiede di dimostrare che esiste un un procedimento che sappia riconoscere, distinguendoli dagli altri, gli enunciati che possono essere dimostrati veri.
La matematica, si spera, offrirà così la via formale per affrontare in modo risolutivo e definitivo i temi già posti dalla logica classica e medievale. Il principio di identità: A è A; il significato dei termini deve mantenersi costante. Il principio di non contraddizione: A non può essere non A. Il principio del terzo escluso: dato un sistema a due valori, Vero e Falso, un enunciato è vero o è falso: una terza possibilità è esclusa.
Alan Turing, ventiquattrenne fellow al King's College, Cambridge, pubblica nel 1936 On Computable Numbers, with an Application to the Entscheidungsproblem, l’articolo che segna la nascita del computing.
Nel solco della matematica di Hilbert, Turing va oltre i teoremi di incompletezza dimostrati da Gödel. Si può individuare un algoritmo generale, e quindi una procedura meccanica, in grado di stabilire, per ogni formula di un linguaggio formale, se si tratta oppure no di un teorema, ovvero se è deducibile o no dagli assiomi. Si individua, insomma, un ambito -l’ambito dei numeri computabili- per i quali è possibile il calcolo logico. Si dicono computabili i numeri reali che possono essere calcolati con precisione da un programma. Definito il programma, il lavoro può essere svolto da un uomo così come da una macchina: la ‘macchina di Turing’, l’archetipo logico di ogni computer. Il Paradiso indefessamente cercato da Hilbert -un Paradiso logico nel quale, tramite linguaggi matematici, si potesse distinguere con certezza il vero dal falso- è limitato ad un terreno ridotto. Ma, almeno, in questo sia pur ridotto terreno si può con chiarezza distinguere A da non A. Questo terreno è il computing: data una qualsiasi funzione computabile, esiste una macchina di Turing in grado di eseguirla.

Il test di Turing
Turing aveva immaginato nel 1936 la sua macchina, il prototipo di ogni computer. McCulloch e Pitts avevano quindi formulato nel 1943 l’ipotesi che la Mente, e quindi ogni mente, funzionasse come quella macchina. Ora quindi, nel 1950, Turing, in Computer Machinery and Intelligence, può chiedersi: “possono le macchine pensare?”, e si risponde che sì, le macchine possono pensare.
Turing però -erede della scuola di Leibniz, Frege, Russell, Hilbert- considera che il pensiero consista nel calcolo logico, proposizionale, booleano, rappresentato in sintesi dall’opposizione binaria, erede dei classici principi di identità: A è A, e di non contraddizione: 'A non può essere non A'.
Il luogo centrale dell'articolo del 1950 -originaria esaltazione delle potenzialità del computer e fondamento della ricerca orientata all'Intelligenza Artificiale- è un test, universalmente noto come Test di Turing.
E' la rivisitazione di un gioco di società. Mette in scena due attori chiusi in una stanza. Un terzo, fuori dalla stanza, pone domande ai due attori. Nel prosieguo del test Turing sostituisce ad uno dei due attori una macchina. Ma soffermiamoci qui sul primo momento. L’osservatore ponendo domande deve capire se uno dei due soggetti è uomo o donna. Turing, abbiamo detto, usa gli strumenti della logica formale, per cui tertium non datur. Tutto l’impianto del pensiero razionale si fonda sull’escludere dal ragionamento, formalizzato in calcolo logico, l’esistenza di una terza possibilità.

Tertium datur
Se però ora allarghiamo lo sguardo, e contempliamo nel nostro ragionamento la storia di vita di Turing, possiamo prendere in considerazione un fatto noto: Turing era omosessuale.
Sappiamo anche che combatté con questa sua differenza. Cercò di negarla a se stesso. Cercò di rimuoverla. Quattro anni dopo aver scritto quell’articolo, nel 1954, Turing muore, probabilmente suicida, in ogni caso distrutto dall’aver dovuto rivelare al mondo la sua omosessualità, umiliato dall’essere stato per questo punito da un tribunale, e pubblicamente costretto a curarsi per questa 'malattia'.
Possiamo dunque sostenere che Turing, prova vivente del tertium datur, abbia inconsciamente cercato di prendere le distanza dal proprio modo di essere -che cozzava con giudizi sociali dominanti, che rendeva penosa la vita- con l’immaginare un mondo logico, matematicamente perfetto, dove vigesse senza eccezioni il principio del tertium non datur, dove ogni contraddizione, ogni imperfezione fosse negata per principio, fosse negata proprio dalle regole che presiedono al funzionamento del mondo. Le proprie contraddizioni personali spingono dunque ad immaginare una macchina priva, giustamente, di quelle contraddizioni.
Il senso di colpa dell’establishment britannico hanno in anni successivi portato ad una fin eccessiva mitizzazione del personaggio Alan Turing, basta vedere l'apologetica voce dedicatagli da Wikipedia. Molte parole sono state usate per fornire ad Alan Turing un risarcimento postumo per l’ingiusta discriminazione. Ma ci si è ben guardati dal tentare connessioni tra la sua personale vicenda e l’emergere del suo pensiero.
La gran cattedrale del computing vedrebbe messo in discussione il suo valore simbolico se ci soffermiamo sulle debolezze, sulle motivazioni profonde dei suoi costruttori. Autobiografia ed opera debbono restare due capitoli diversi e separati. Il canone scientifico non deve essere disturbato dalle vicende personali. Il bisogno di prendere le distanze dalle umane debolezze, che è anche nostro, spinge a mantener viva l’idea di un Calcolo logico, immune agli umani difetti; spinge a considerare più importante dello stesso Turing la macchina di Turing.

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