lunedì 7 dicembre 2020

La macchina che ci accompagna nella vita ci blandisce, ci lusinga, ci dice...

La macchina che ci accompagna nella vita ci blandisce, ci lusinga, ci dice: 'fai questo, è nel tuo interesse'. La nostra convinzione, la fiducia in noi stessi, ci permetterà andare contro questo invito, e di rispondere: 'no, non voglio'. Ci permetterà di considerare il computer che possediamo -ricordiamo che è computer anche un tablet, uno smartphone- bastone, bisaccia, scarpa vecchia. Ci permetterà, almeno in qualche misura, di usare il computer in modo aberrante. Uso aberrante: uso che apparirà pericolosamente strano, irregolare, anomalo. agli occhi di chi ha progettato, disegnato l'applicazione, costruito la macchina. 
Usare la macchina in modo aberrante è tornare ad essere pienamente cittadini, violando il dettato della Terza Legge che dice: riduci te stesso a passivo utente. 
Eppure in cuor nostro sappiamo che solo in qualche misura riusciremo a piegare il computer a mezzo proprio, mezzo che espande il personale modo di sentire e di volere. Sappiamo che le macchine di cui disponiamo sono lontane dall'essere strumenti che il libero essere umano può modificare attraverso l'uso, plasmare, adattare a sé, e magari anche riparare da sé. 
L'Era Digitale è appunto la stagione in cui una immane, potenza emana dalla macchina, schiacciando l'essere umano. Perciò il dettato della Terza Legge si rovescia veramente solo se i tecnici si riconoscono essi stessi cittadini prima che tecnici. 
La storia della bastone, della bisaccia e della scarpa vecchia è rivolta, in fondo, innanzitutto ai loro. Le narrazioni sono le fonti del progetto. Non c'è nessun definitivo motivo che obbliga a immaginare macchine che siano surrogati del destino, delle Leggi di Natura, della Provvidenza, della Grazia del Fato. Il tecnico non ha motivo per far proprio lo struggente desiderio di Turing: costruire una macchina migliore di sé stesso. 

Se osserviamo la scena e agiamo in quanto esseri umani, non basta certo intendere la relazione tra essere umano e macchina come una questione di interfacce. Non basta immaginare e progettare un accoppiamento tra due organismi -l'essere umano e la macchina- ai quali è riconosciuta pari dignità, pari autonomia o autodeterminazione. 
Non basta almanaccare attorno alla presenza di due diversi tipi di intelligenza. Non basta ricordare gli aspetti per i quali l'intelligenza umana prevale sull'intelligenza macchinica. Non basta dire che è prematuro preoccuparsi ora, perché i nodi verranno al pettine in un tempo futuro più o meno lontano. A un certo punto, ognuno è libero di fare scelte radicali e di dire: faccio appello alla mia saggezza; sto dalla parte dell'essere umano; sto dalla parte della specie cui appartengo. A valle di questa scelta risulta chiaro che esiste una discriminante precisa: o la macchina è un aiuto all'essere umano, o è una sostituzione dell'essere umano. Baloccarsi nella zona grigia, cercare sottili distinguo, proporre scenari dove la macchina e l'essere umano vincono insieme, tutto questo va inteso in fondo come partito preso: scelta di stare dalla parte della macchina. 

La storia della cultura digitale ci parla chiaramente. 
Nel 1950 Alan Turing scrive, in conclusione del suo articolo Computing Machinery and Intelligence: “We may hope that machines will eventually compete with men in all purely intellectual fields”. “Possiamo sperare che le macchine alla fine competano con gli uomini in tutti i campi puramente intellettuali”. Qui, nell'articolo dal quale prende il via ogni ricerca sull'Intelligenza Artificiale, a chiare lettera si parla a favore di una sostituzione dell'essere umano con una macchina. Se poi si limita il campo al 'puramente intellettuale', è ancora uno schiaffo all'essere umano: per l'essere umano il pensare e l'agire, la ragione e la saggezza sono sempre compresenti. Separare ed esclusivamente privilegiare il puramente intellettuale è un atto di violenza perpetrato contro l'essere umano. 
Ma cinque anni prima, nel 1945, Vannevar Bush propone l'altra via. Scriveva: As we may think. Immaginava come l'essere umano avrebbe potuto sperimentare, costruire conoscenza, se dotato di una macchina in grado di fornirgli fonti, di aiutarlo a connetterle tra loro, incrementando l'umana capacità di costruire reti di senso. Una macchina -scriveva Bush- adatta a ad accompagnare l'uomo nel pensare così come chi cerca tracce di vita in un terreno inesplorato. Così si muove il pioniere nel bosco, così si muove il viandante. La macchina immaginata da Bush -la chiamava Memex- è il prototipo del Personal Computer. E' una bastone, una bisaccia, una scarpa vecchia. 
 Ci conviene considerare che non c'è via di mezzo. O la via di Turing -affidare le proprie speranze alla macchina- o la via di Bush: fidarci di noi stessi.

Questo articolo è strettamente legato al precedente: Bastone, bisaccia e scarpa vecchia. Come raccontare il computer con le parole del mito. Ma ancor più di questo è legato al mio libro Le Cinque Leggi Bronzee dell'Era Digitale. E perché conviene trasgredirle, Guerini e Associati, 2020. Si trova infatti qui un esplicito riferimento alla Terza delle Leggi di cui parlo nel libro: nell'Era Digitale il cittadino è ridotto a passivo utente. E si trova anche, in questo articolo, un implicito ma chiaro riferimento alla Seconda Legge, che recita, 'Preferirai la macchina a te stesso'. Nel mio libro invito a comprendere le leggi per poterle trasgredire. L'invito è rivolto anche a chi legge questo articolo.

Nessun commento:

Posta un commento