lunedì 7 dicembre 2020

Bastone, bisaccia e scarpa vecchia. Come raccontare il computer con le parole del mito

Come raccontare del computer con le parole del mito. Come comprendere il computer alla luce delle ancestrali narrazioni che accompagnano l'essere umano. Come raccontare a noi stessi cosa è il computer, tanto da convincerci che è per noi esseri umani un mezzo.
L'essere umano è un viandante, perennemente in cammino. Il presente è un momento nel viaggio dal passato al futuro, dal noto all'ignoto. E' l'esistere gettati in terre sconosciute. L'essere umano è debole nel corpo, debole nell'anima. Peccus: 'difettoso nel piede'. Claudicante. Di qui il peccato: incapacità di stare sulla retta via. Tendente ad errare: 'camminare senza meta'. Mancus: 'difettoso nella mano' - cosciente di come sa usare malamente il proprio corpo, cosciente dei limiti degli artefatti che la sua mente e la sua mano sanno creare. L'essere umano patisce di gravi mancanze; è dolorosamente consapevole dei propri limiti, delle proprie deficienze. 
Così l'essere umano finisce per affidarsi, abbandonarsi a potenze esterne. Facile ritenersi vittima del destino o totalmente assoggettato, soggiogato a Leggi di Natura. Facile affidarsi passivamente alla Provvidenza, attendere la Grazia divina o abbandonarsi al Fato. O affidare le proprie sorti a una Scienza o una Tecnica intesa intesa come potenza che autonomamente si svela. E' la china che porta nell'Era Digitale a fidarsi della macchina, a credere nell'Intelligenza Artificiale. Fino a non guardare più il cielo, le stelle, fino a non dar credito al proprio sguardo, e a fidarsi di una mappa digitale, ingannevole, manipolata rappresentazione del mondo. Fino a rinunciare al viaggio, a chiudersi in casa, e di ridursi a chiedere lumi a qualche oggetto tecnico, magari vestito di qualche aspetto antropomorfo, che con voce melliflua ci dice cosa fare, ci rassicura in merito a ciò che stiamo facendo, ci dice magari anche chi siamo. 

Eppure non è questo l'unico modo di esistere. L'essere umano che non rinuncia alla propria saggezza -Qohelet, Giobbe- a costo di enorme sofferenza, cammina solo sotto il cielo. Dio l'ha abbandonato, nessun carro della storia trascina in avanti, nessun soccorso esterno allevia la fatica. Eppure, pur costretto ad aiutarsi da solo, cammina. 
Il bastone, impugnato passo dopo passo, è il sostegno, il supporto al quale appoggiarsi, il compenso alla propria zoppia, e alla fatica dell'andare. E' anche il mezzo con il quale eventualmente difendersi. E' anche una compagnia. E' il segno della propria imperfezione, ma anche il segno, della propria potenza. Una potenza che nasce nel corpo e nella mente, e che si espande oltre il corpo: il mondo resta, sconosciuto, troppo vasto e alieno; ma l'essere umano cammina nonostante tutto speranzoso, fiducioso -per esperienze vissute- di poter affrontare situazioni che sembrano al momento superiori alla sue forze.
Porta con sé in una bisaccia leggera alimenti, indumenti, e insieme i pochi strumenti che gli sono stati utili in passato. Porta con sé anche poche povere cose che gli rammentano al sua identità, i propri ricordi. Eppure sa che le provviste che porta con sé presto termineranno. Sa che dovrà mettere nella bisaccia nuovi alimenti, nuovi indumenti, tratti dal mondo sconosciuto nel quale si sta addentrando. Sa che gli strumenti andranno piegati ad un nuovo uso, o forse anche si riveleranno del tutto inutili, ed andranno sostituiti con altri, nuovi. Sa dunque che via via il contenuto della bisaccia cambierà; ma sa anche che lascerà sempre posto nella bisaccia per ciò che gli è tanto prezioso quanto gli alimenti, gli indumenti, gli strumenti: i propri ricordi, la memoria della propria storia – sa che senza di questo rinuncerebbe ad essere umano. 
Ha ai piedi scarpe vecchie. Comode: corrispondenti alla conformazione del proprio corpo. Adatte: con l'andare, plasma sempre più il duro cuoio, rendendo la calzatura via via migliore: consona al proprio corpo, al proprio modo di essere in movimento. La qualità dei materiali, le intenzioni del calzolaio, tutto questo passa in secondo piano. La scarpa nuova non è buona, per divenire buona deve essere invecchiata insieme a chi la indossa. 
Il computer è un bastone. Ci conviene immaginarlo come il bastone con il quale il viandante si sorregge. Ci conviene considerarlo lo strumento al quale appoggiarsi. Lo strumento al quale ricorre per difendersi, e per aumentare il raggio e la potenza della propria azione. 
Il computer è una bisaccia. La bisaccia è leggera e può essere portata sempre con sé, anche nelle situazioni più estreme. Ma sia bisaccia, o zaino o valigia o baule, ci conviene immaginare il computer come involucro che permette di portare con sé ciò che è necessario, utile e piacevole nel viaggio che è la vita. Ricordi irrinunciabili e risorse e strumenti che migliorano ed approfondiscono, che rendono più piena l'esistenza. 
Il computer è una scarpa vecchia. Ci conviene considerarlo strumento che si adatta sempre più al personale modo di esistere, di pensare e di agire. Strumento plastico, che -quali siano i disegni del progettista e i vincoli imposti dal produttore e del fornitore di servizi- si allontana dal disegno e dai vincoli in forza della personale fiducia in sé stesso dell'essere umano che lo possiede e lo adopera. 

Sono particolarmente affezionato a questa 'descrizione mitica' del computer, inteso non come macchina che campeggia al centro della scena, ma come insieme di strumenti, dispositivo, device, che accompagna l'essere umano nella propria vita. 
Una versione ridotta di questa descrizione appare alle pagine 292-293 nel mio libro Le Cinque Leggi Bronzee dell'Era Digitale. E perché conviene trasgredirle, Guerini e Associati, 2020. E comunque la descrizione mi sembra una sintesi di ciò che intendo dire con questo libro.
Questo articolo è strettamente connesso a quello che pubblico di seguito, con il titolo La macchina che ci accompagna nella vita ci blandisce, ci lusinga, ci dice...

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