venerdì 18 aprile 2025

A proposito di 'Macchinocentrismo'. Suggestioni storico culturali e situazione presente

 Dante

Possiamo leggere la cultura digitale alla luce della storia, invece di rileggere -come accade troppo di frequente- la storia alla luce della cultura digitale.
Ecco un esempio. Leggiamo l'esordio del Canto XI del Paradiso (1-3):

O insensata cura de’ mortali,
quanto son difettivi silogismi
quei che ti fanno in basso batter l’ali!

Cosa sono i sillogismi: sono il principale strumento degli studiosi di logica nel medioevo. Guardare alla posizione dei termini in una proposizione, senza occuparsi del loro valore di verità. Rendere conto delle diverse funzioni che le parole possono svolgere quando compaiono come termini in una proposizione.
Bastano questi brevissimi accenni per dire che è possibile stabilire una analogia tra i sillogismi della logica medievale e la codifica digitale. In particolare, ai sillogismi della cultura medievale corrispondono gli algoritmi della cultura digitale.

Cosa ci dice Dante? Non ci dice certo di rifiutare la cultura tecnico-scientifica-filosofica del tempo. Dante viveva immerso in questa cultura e la conosceva benissimo. Ma ci ricorda che il pur acuminato strumento tecnico, creato per avvicinarci alla conoscenza, è 'difettivo'. Il ragionamento basato sul sillogismo resta inevitabilmente imperfetto. I sillogismi finiscono per ingabbiare il nostro pensiero, gli impediscono di volare.
Altrettanto possiamo dire oggi degli algoritmi.

Ma ciò che più ci interessa è il fatto che Dante non si limita ad una critica, ma ci offre l'indicazione di un possibile percorso umano di elevazione, oltre i limiti rigorosi di una logica che finisce per essere una gabbia.
Leggiamo dunque il Canto XXIV del Purgatorio (52-54):

(...) "I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’e’ ditta dentro vo significando".

Importante notare che Dante parla di sé, del suo personale tentativo di trovare una strada - oltre il pensiero consueto, oltre la filosofia consolidata, oltre lo spirito del tempo. Noi scolasticamente conosciamo il nuovo pensiero che Dante propone 'Stil Novo'. Ma non si tratta certo solo di letteratura: è la risposta culturale alla chiusura logico-formale del sillogismo.
Dunque una guida per noi, per guardare oltre la chiusura logico-formale dell'algoritmo.
Dice Dante: io sono uno che, quando l'Amore mi parla nel cuore, ne prendo nota, e cerco di esprimere in parole ciò che egli mi detta, esattamente nel modo in cui egli lo detta.

Cos'è questo Amore? E' la forza che emana nel 'cuore' di tutte le creature in cerca della loro perfezione. E', potremmo dire oggi, la ricerca della presenza, della consapevolezza, di un bene non solo personale ma comune.
Dante ci invita a non affidarci a sillogismi ed algoritmi.
Dante ci dice che solo in questo Amore sta la vera nobiltà umana.

Jakob Böhme

“Lo studente disse: ‘Questo luogo è vicino o lontano?’. Il maestro rispose: ‘È dentro di te. Se riuscissi a mettere a tacere ogni desiderio e pensiero per un’ora, udiresti le ineffabili parole di Dio’". Così, siamo chiamati ad abbandonare fallaci speranze di controllo, e a muoverci invece con 'gelassenheit': serenità, abbandono, calma, placidità, tranquillità.
Jakob Böhme (1575-1624), teologo, filosofo, che di lavoro faceva il ciabattino, pensatore eterodosso, mistico, visionario, ermetico, gnostico, ci propone, all'inizio del Seicento, uno sguardo che bene illumina i foschi anni che viviamo.
Le paure che bloccano l'agire umano; il timore che ci incute il disordine sociale; e, ancora, il timore oscuro del controllo di nuovi Grandi Fratelli Digitali. Tutto questo può essere letto alla luce del pensiero di Böhme.
La gran parte della filosofia - e poi la breve storia del computing, prosecuzione della filosofia con altri mezzi, possono essere intese come tentativo di costruire solide e indefettibili strutture, ben fondate, dove ogni livello di pensiero si spiega razionalmente attraverso livelli di pensiero già consolidati.
Böhme ci invita invece a vivere nella scena primaria, lì dove nasce il pensiero.
“Non possiamo afferrare ciò”. Afferrare è traduzione approssimativa di
'begreifen'. 'Begriff', 'concetto', è parola chiave della filosofia tedesca, da Kant a Hegel.
Böhme ci chiama a collocarci nel momento anteriore all'affermazione di una rassicurante ragione: prima c'è il tentativo, il processo, la possibilità, l'accettazione fiduciosa dell'ignoto.
Ciò che ci appare inafferrabile, incomprensibile, è, ci insegna Böhme, l'Un-Grund. Senza-Fondo, Senza-Fondamenti. E' in potenza la fonte di ogni possibile. Genesi di conoscenza.
Böhme ci insegna a non cercare un Dio-macchina capace di governare la conoscenza con superiore efficacia. Ci insegna a non cercare nemmeno un Dio-programma capace di rispondere ad ogni domanda. Ci insegna a non provare timore di fronte al caos primigenio. Ci insegna a non avere paura di fronte all’ignoto e al non familiare. Ci insegna a non provare angoscia per il disordine che regna tra i dati.
Non c'è motivo perché l'uomo debba ridursi a macchina, né c'è motivo perché l'uomo debba appartenere ad una superiore macchina. Se proprio dovessimo ridurci ad usare, parlando di umanità, il termine macchina, dovremmo semmai dire: è una macchina-Ungrund.

Tutto in qualche modo è già stato detto e pensato - ma proprio questa è la trappola che Böhme ci invita ad evitare. Non pensare alla luce del già pensato, ma assumerci la responsabilità del pensare qui ed ora.

Immanuel Kant

Il 30 settembre 1784 Kant, risponde sulla rivista Berlinische Monatsschrift alla domanda: 'Cos'è l'Illuminismo?'. L'incipit è emozionante. "L'Aufklärung", ci dice Kant,"è l'uscita dell'essere umano dallo stato di minorità di cui egli stesso è colpevole. Minorità è l'incapacità di servirsi della propria 'Verstand' [intelligenza, senno, mente, ragione, animo] senza la guida di un altro". “Sapere aude!”, osa conoscere! “Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!”.
Eppure, pessimisticamente aggiunge subito, “gli esseri umani rimangono minorenni a vita”. “È così comodo essere minorenni! Se ho un libro che ha Verstand per me, un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che sceglie per me la dieta, ecc., non ho certo bisogno di sforzarmi da solo”. “E' dunque difficile liberarsi da una minorità divenutagli quasi natura”.

Kant mette in evidenza la stretta connessione tra l'atteggiamento passivo degli esseri umani e la presenza di Vormündern -custodi, guardiani, tutori di minorenni incapaci- “che si sono assunti con tanta benevolenza la sorveglianza sugli esseri umani” da convincerli che “il passaggio allo stato di maggiorità, oltreché difficile”, è anche “molto pericoloso”.
Così l'elogio dell'esercizio della propria intelligenza da parte di ognuno con cui si apre l'articolo, dopo pochi capoversi è rovesciato in una scettica constatazione: gli esseri umani sono “placide creature instupidite come animali domestici”, grandi masse senza cervello, incapaci di pensare.

Vediamo benissimo in queste pagine la situazione dell'essere umano nell'Era Digitale. Facili promesse di nuovi spazi aperti alla libera conoscenza, a nuove esperienze, ma nei fatti anonime folle di utenti di app e piattaforme, ognuno legato “ai ceppi di una permanente minorità”. Fino al fiducioso affidamento d'ognuno ai nuovi Vormündern: Intelligenze Artificiali.

Kant non si indigna di fronte a questo perpetuarsi della minorità. Perché, scrive, qualsiasi libertà civile dei cittadini è subordinata al prioritario buon funzionamento della 'gemeinen Wesen' [cosa pubblica, comunità, repubblica]. Per questo è necessario un Mechanism che garantisca ordine ed efficienza.
La buona organizzazione esige che non solo lavoratori, ma anche dirigenti siano 'Theil der Maschine', parte della macchina.
“Il governo tramite una künstliche Einhelligkeit [un'armonia artificiale], dirigerà i comportamenti di tutti costoro verso pubblici scopi, o almeno li indurrà a non contrastare tali scopi”.
Si potrà anche “permettere ai sudditi di fare uso pubblico della loro ragione” esponendo “le loro idee sopra un migliore assetto della legislazione”, ma alla fine, per Kant, l'Illuminismo si riduce a questo: l'affidamento a un Sovrano Illuminato.
Egli, disponendo delle forze dell'ordine “a garanzia della pubblica pace”, può dire ai sudditi: ragionate quanto volete e su tutto ciò che volete; solamente obbedite!

Parole scritte due secoli e mezzo fa illuminano il nostro presente.

Georges Bernanos

« Le danger n’est pas dans la multiplication des machines, mais dans le nombre sans cesse croissant d’hommes habitués, dès leur enfance, à ne désirer que ce que les machines peuvent donner
Il pericolo non sta nella moltiplicazione delle macchine, ma nel numero che cresce senza sosta di uomini abituati, dalla loro infanzia, a non desiderare altro che ciò che le macchine possono dare
Così scrive Georges Bernanos il 20 gennaio 1945

«L’idée que la liberté puisse disparaître peu à peu d’une civilisation technique où, en effet, elle n’a pas de place, m’est, à la lettre, intolérable.»
L'idea che la libertà possa sparire poco a poco da una civiltà tecnologica in cui, in effetti, non ha posto, mi è letteralmente intollerabile.

nel 1938 all'esilio in Brasile, vive dal 1940 in un a casa isolata, nei pressi di Barbacena, Minas Gerais, alle pendici di una collina chiamata Cruz das Almas.
Si intitolerà 'Le Chemin de la Croix-des-Âmes' (1948) la raccolta dei suoi scritti di quegli anni: articoli per giornali brasiliani e francesi, lettere aperte.
Bernanos è impegnato nella Resistenza. De Gaulle il 16 febbraio 1945 gli telegrafa «Votre place est parmi nous». In giugno torna in patria, ma rifiuta il ruolo di ministro che De Gaulle gli propone.

«Sono uno scrittore e, se Dio vuole, anche un poeta», dice di sé. «Non invento niente, racconto quello che vedo». E cosa vede Bernanos in quegli anni?

Sono gli anni del dopoguerra, del possibile inizio di tempi migliori. Politici, sociali. Bernanos, in quegli anni, coglie sintomi premonitori. Si chiede: non stiamo forse cadendo in "una fiducia cieca nella Civiltà delle Macchine?".
Nello stesso 1948, in cui esce presso Gallimard 'Le Chemin de la Croix-des-Âmes', esce in prima edizione mondiale presso un altro editore parigino il saggio di Norbert Wiener: 'Cybernetics; or, Control and communications in the animal and the machine'.

Bernanos scrive:

«L’idée que la liberté puisse disparaître peu à peu d’une civilisation technique où, en effet, elle n’a pas de place, m’est, à la lettre, intolérable.»

L'idea che la libertà possa sparire poco a poco da una civiltà tecnologica in cui, in effetti, non ha posto, mi è letteralmente intollerabile.

Ritorna sul tema in un saggio breve e nervoso, ricco di domande e di ammonimenti: 'La France contre les robots', 1947.
Bernanos, che ha passato la vita ad interrogarsi sulla propria fede, sull'impegno civile, finisce per passare gli ultimi anni della sua vita riflettendo su macchine che «dispensent de penser, de vouloir, de prévoir», dispensano dal pensare, dal volere, dal prevedere.
Questo, in fondo, è il suo testamento. Muore infatti, sessantenne, il 5 luglio 1948.

Amartya Sen 

Sen ci mette in guardia di fronte alle metriche, ai modelli. Spesso portano a trascurare il punto di vista di minoranze e oppositori. Meglio molti dati sporchi, difficili da interpretare, che pochi dati puliti.
Scrive: “ridurre ad un solo quantum omogeneo tutto ciò cui abbiamo motivo di dare valore non è possibile”. Quindi, dice, invece di ricondurre gli aspetti implicati nelle valutazioni a un unico sistema di pesi (come accade, ad esempio, nelle metriche contabili e bilancistiche; o come accade, in informatica, scegliendo un modello di dati o un algoritmo), meglio una ricca serie di pesi anche non pienamente congruenti tra di loro.

In un quadro segnato da una crescente divaricazione tra ricchezza e povertà

"Invece di accanirci a stabilire cos’è la giustizia ‘in principio’, facciamo il possibile, qui ed ora, anche magari per tentativi e errori, accettando l’imperfezione, facciamo il possibile per invertire il circolo vizioso della povertà e dell’ingiustizia."

"Si tratta quindi di accettare la complessità del mondo. Piuttosto che cercare rappresentazioni perfette del mondo, partecipare -per quanto è possibile ad ognuno di noi- alla costruzione di un mondo meno ingiusto."

"Non sta a noi definire cosa sarà considerato importante dai nostri figli, e da ogni generazione futura. Non sta a noi definire per loro gli ‘standard di vita’. A noi compete la responsabilità di lasciare agli altri lo spazio per scegliere in libertà quale vita vivere."

"Per cogliere i trend, i segnali deboli, conviene essere disposti ad ascoltare la voce altrui. Ascoltare chiunque e dare spazio anche alle opinioni con le quali si è in franco disaccordo. L’esclusione è in sé una ingiustizia, ed è anche fonte di ulteriori ingiustizie, perché, ritiene Sen, solo tramite il dibattito in pubblico cresce una società meno ingiusta."

Sen ci offre quindi una definizione sintetica: la democrazia è discussione in pubblico.

Una giustizia per i tempi digitali

Possiamo parlare di era di 'era digitale' ricordando che parliamo sia di causa che di effetto: l'economia, la finanza, la politica, gli interessi di una élite, generano una tecnologia. La tecnologia a sua volta determina economia, finanza, politica, cultura.

La tecnologia digitale finisce per ridefinire il concetto di giustizia.

Si afferma -a scapito di ogni altra élite; a scapito dei tradizionali poteri democratici: legislativo, esecutivo, giudiziario; a scapito anche a scapito dei politici di professione- una nuova élite di tecnici: tecnologi, tecnocrati digitali. Sono loro i nuovi Vormünder, i guardiani di cui parlava Kant.

I codici giuridici sono scritti da rappresentanti dei cittadini, in un quadro definito da costituzioni e norme di diritto. Sono scritti in testi e tramite linguaggi noti e trasparenti ai cittadini. Il codice digitale è invece scritto da puri tecnici non eletti ma auto-cooptati; ed è scritto in un linguaggio noto solo ai tecnici, illeggibile per il cittadino; linguaggio destinato ad essere compreso e recepito non dai cittadini ma da macchine.

Il cittadino vede via impoveriti i diritti dell'elettore e del legislatore, e retrocede ad utente di servizi erogati d'autorità dai detentori di piattaforme.

Il potere di fatto dei tecnologi e tecnocrati digitali può essere inteso come attacco alla giustizia. O ridefinizione della giustizia. I tecnologi hanno i mezzi per definire il terreno sul quale si svolge la vita civile.

Di fronte al nuovo potere di tecnologi e tecnocrati la risposta sta in una azione intensa della cittadinanza attiva. Amartya Sen ci fornisce indicazioni per trovare una via.

Verso una nuova assunzione di responsabilità

Circola nei media e nei social network ed in ogni dove una sia pur confusa e discordante apologia dell'Intelligenza Artificiale. Questa apologia giova a chiunque opera da professionista nel campo dell'Intelligenza Artificiale - anche a coloro che, di fronte a specifici aspetti di queste tecnologie, mostrano atteggiamenti critici.

Fa comodo in ogni caso creare un'aura di attesa e di pubblico interesse attorno alla cosa detta 'Intelligenza Artificiale'. Non importa se si tratta di un'aura fumosa. In un modo o nell'altro fa comodo educare il popolo a stare in attesa di novità sbalorditive. Se mai si accenna a difetti di questa cosa detta 'Intelligenza Artificiale', sempre si bilancerà parlando dei difetti degli esseri umani.

Se ci fermiamo per un attimo a pensare, se prendiamo anche solo per un istante coscienza di come stiamo vivendo e agendo, ci rendiamo conto di come oggi accettiamo una sottrazione di libertà.
Meditando, ci rendiamo conto di come oggi viviamo sottoposti ad una restrizione dell'ottica, dell'ampiezza del nostro sguardo. Viviamo sussunti a regole contenute in macchine. Viviamo chiedendo lumi a macchine. Osserviamo in mondo attraverso macchine.
Ci specchiamo in gemelli digitali. Conosciamo il mondo attraverso 'dati'.

Ci diciamo che 'non esiste umano senza macchina'. Cerchiamo di convincerci che 'è sempre stato così'. Ma sappiamo che dicendoci questo inganniamo noi stessi.

La macchina che ci impone le restrizioni che oggi subiamo è la macchina digitale, computazionale, che prima del Ventesimo Secolo non esisteva.
Solo la macchina detta 'computer' porta con sé l'idea che la macchina possa sostituire l'umano.
Solo la macchina detta 'computer', allo stesso tempo, porta con sé l'idea che il pensare è l'eseguire ciò che sta in un Libro delle Regole già scritto.

Siamo succubi di una ideologia che, a partire dalla presenza di questa macchina, pretende di ricostruire a ritroso la storia del pensiero e della conoscenza.

Siamo succubi di una filosofia secondo la quale l'amore per il sapere non autorizza noi umani a esplorare la realtà in ogni direzione. Ci viene infatti imposto di amare, prima del sapere, una macchina. Ci vienee imposto un pensiero sottoposto a regole e legato al confronto dell'umano con la macchina digitale.

Sta a noi mantener vivo un pensiero che non contempla macchine pensanti, e che non considera noi stessi macchine pensanti.
Solo recuperando una saggia distanza dalla macchina potremo vivere liberamente la presenza di macchine.

Chi dubita e si interroga, chi -di fronte al pressante invito ad adattarsi, a non fare a meno di sempre nuove tecnologie digitali- chiama alla cautela, viene tacciato di luddismo, difensivo attaccamento al passato, atteggiamento retrogrado.
Chi cerca di trovare, per sé e per gli altri, un limite, una misura, nell'uso dei mezzi digitali proposti dalla martellante propaganda, è accusato di essere vittima della paura. Paura della macchina, paura del nuovo, paura del confronto e dell'incontro con il diverso.

Ma a ben guardare, ad aver paura sono coloro che prontamente, con sollievo, si affidato a nuove macchine digitali, in particolare a quelle macchine che vanno sotto il nome di 'Intelligenze Artificiali'.

Tutti oggi abbiamo motivo di essere impauriti. Ma impauriti non tanto dalla presenza, accanto a noi, di una o di un'altra macchina; impauriti, invece da disagi sociali, crisi economiche, guerre conflitti politici che paiono insanabili, disastri ambientali. Di fronte a tutto questo, sì, abbiamo paura.
Come far fronte, ci chiediamo?

E ci rispondiamo: meno male, c'è l'Intelligenza Artificiale. Affidiamoci a lei.
Evitiamo così di chiederci davvero, in modo impegnativo, come posso far fronte?
In un tempo precedente non potevamo fare a meno di dirci: devo assumermi questa responsabilità. Oggi disponiamo di una macchina che ci illude di poter scansare ogni responsabilità.

Questi argomenti offrono uno sfondo al tema: Il macchinocentrismo come problema filosofico, oggetto di incontro il 29 maggio 2025, ore 18-20, presso la Casa della Cultura di Milano. Primo appuntamento della serie L'etica ai tempi del macchinocentrismo, a cura di Assoetica.

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