domenica 30 settembre 2018

Il mio computer mi dice... Risposta ad una domanda di mia mamma


Mia mamma ha novantasette anni. L'altro giorno mi ha telefonato per chiedermi spiegazioni. Voleva sapere perché "il mio computer" (un iPad) "mi segnala due siti dicendomi che sono i più visitati". Le devo una spiegazione un po' più accurata di quella data al telefono.
Devo cominciare notando che mia mamma dice giustamente "il mio computer mi dice", non distinguendo ciò che nasce dal sistema operativo della macchina stessa, da un software applicativo caricato sul computer, o nasce invece da una connessione. Mia mamma dice giustamente, perché i produttori di hardware e software, i fornitori di sevizi via web, gli sviluppatori di applicativi, gli esperti di User Experience Design -insomma, tutti gli attori che operano sulla scena digitale, salvo rare eccezioni- fanno il possibile per azzerare la differenza tra ciò che accade sulla singola macchina e ciò che accade nell'indistinta nuvola, o cloud che dir si voglia.
Tutto, agli occhi dell'utente, deve apparire come indistinta e complessiva manifestazione della volontà di una macchina. Volontà che si fa di volta in volta più imperativa e pressante. Mia mamma poco tempo fa ha dovuto sostituire il suo iPad con uno nuovo. Il nuovo disponeva di un sistema operativo più evoluto. Mia mamma ha commentato così: è peggio di quello di prima, perché vuole fare di più quello che vuole lui.
E' proprio vero: più passa il tempo, e più 'la macchina' -e intendiamo come già detto l'insieme: il sistema operativo, Google, la singola applicazione, il singolo sito- sempre più propone all'utente scelte obbligate, presentate oltretutto come vantaggiose per l'utente, ma che sono invece vantaggiose solo per il fornitore. Faccio solo un esempio: se casomai un utente, nell'usare Google Map, disinserisce la localizzazione, il software cerca di colpevolizzare, e afferma: non sai cosa perdi! Qualcuno potrebbe argomentare: si tratta di servizi gratuiti. Ma la risposta è facile: Google offre servizi gratuiti come esca per spiare i comportamenti umani e trarne profitto. Moltissimi sarebbero coloro -certamente anche mia mamma- che, correttamente informati, preferirebbero pagare qualcosa per di non essere spiati. Non a caso mia mamma, osservando la posizione dell'utente indicata in fondo alla pagina che restituisce i risultati di una ricerca su Google, si scandalizza, sempre riferendosi, a ragione, al computer, inteso come unica macchina: ma come fanno a sapere dove sono?
Torno alla domanda di mia mamma. Lei, come ho già detto -e dobbiamo darle ragione, anche per motivi che lei ignora- attribuisce il comportamento al computer. Perché il computer le dice che quei due sono i siti più visitati. Come fa a saperlo. E sono davvero i più visitati?
L'informazione proposta, nota giustamente mia mamma, è ambigua. Aveva tutti i motivi per restare meravigliata quando, parlandole al telefono, le ho detto che era una informazione rivolta solo a lei, e che per 'siti più visitati' non si intendevano i siti in generale più vistati, ma si intendevano invecei siti più visitati da lei.
Mi ha chiesto subito: e come fanno a saperlo? Questa domanda apre un mondo: se appena lo si vuole, si potrebbe benissimo spiegare 'come fa il computer a saperlo'. Spiegarlo sarebbe veramente istruttivo. Peccato che i fornitori di hardware e software e servizi web, ivi compresi Apple, Microsoft, Google, Facebook Amazon e WhatsApp, hanno imboccato da tempo la strada che li porta a preferire utenti passivi e ignoranti. Poco importa agli operatori del settore che si finisca così per trasformare la stessa cittadinanza in utenza. Siamo sempre meno cittadini responsabili e sempre più passivi utenti.
Andati oltre il 'come fa il computer a sapere che questi sono i siti che ho visitato più di frequente', emergono altre domande. Mia mamma mi chiede: ma a cosa serve segnalarmi quali sono i siti che visito più di frequente? Ha ragione. Se li visito, vuol dire sono siti che conosco e che saprò ritrovare. Ma il fatto che conosco questi siti non significa che siano gli unici che possono interessarmi. Se sono invitato a tornare sempre lì, non esploro, non apprendo, non cresco, non mi formo.
Ho dovuto spiegare a mia mamma una cosa. Il computer -ripeto per l'ultima volta: il computer inteso come insieme di servizi locali e servizi in cloud- è programmato per spingere le persone a fare sempre le stesse cose, a considerare normale rifare le cose fatte prima, a considerare vantaggioso visitare sempre gli stessi siti.
Coloro che hanno sognato e poi progettato il Personal Computer ed il Web volevano allargare l'area della coscienza, aprire nuovi orizzonti, permettere l'accesso a sempre nuove fonti. E credo che questo abbia insegnato mia mamma nei lunghi anni in cui ha lavorato come professoressa. E questo è lo spirito che ha trasmesso ai suoi figli.
Dunque, giustamente, a mia mamma pare strano che 'il computer' spinga gli utenti a visitare sempre gli stessi siti. Pare strano che il motore di ricerca Google, nel fornire le risposte ad una domanda, e quindi nell'elencare i siti sui quali posso trovare la risposta, consideri tra i motivi per collocare ai primi posti un sito il fatto che ho già visitato quel sito in passato.
Non si vogliono persone che cercano e che si interrogano; si vogliono persone che prendono per buono quello che gli viene proposto. Non si vogliono persone che, di fronte ad una situazione, si formano una opinione; si vogliono persone che, a prescindere dalle situazioni, restano legate ad opinioni già espresse in passato. Non si vogliono persone che coltivano una propria posizione; si vogliono persone che si annullano nella massa.
Per fortuna, per quanto ne so, mia mamma non dà retta ai consigli e ai suggerimenti di Siri, e prova a fare da sola. E non rinuncia a porsi domande. Spero che tutti facciano così. Ma purtroppo vedo una gran passività: si prende per buono ciò che la macchina propone.
Così, mi pare, fanno a anche i 'nativi digitali: subiscono passivamente gli inviti della macchina'. Qualcuno sostiene che da loro dovrebbe prendere esempio chiunque si avvicini alle 'nuove tecnologie'. Credo sia vero il contrario: i 'nativi digitali', non avendo conosciuto il mondo pre-digitale -i libri, l'accesso faticoso alle fonti, la difficoltà di entrare in connessione e stare in connessione con altre persone- sono i più esposti al diventare passivi fruitori di una macchina che, nonostante le sue potenzialità, è stata invece programmata per spingerci a restringere l'area della nostra conoscenza.