C'è software e software. Le architetture digitali civili sono frutto del senso di responsabilità personale e sociale di progettisti che si considerano prima che tecnici, cittadini appartenenti ad una comunità, eredi di una storia, viventi in una cultura.
Così, dalla posizione del cittadino, il progettista sviluppa strumenti per la cittadinanza attiva e per la partecipazione. Partecipazione in diversi sensi: partecipazione alla produzione sociale di conoscenza; partecipazione alla produzione di norme di legge; partecipazione al governo di istituzioni pubbliche o imprese private; partecipazione a processi organizzativi e flussi di lavoro.
Poi purtroppo le architetture civili finiscono per degenerare, trasformandosi nel loro contrario: strumenti nelle mani di Sovrani che riducono i cittadini a sudditi-utenti.
Ma possiamo sempre progettare nuove architetture civili...
L'informatica come potere Un primo modo consiste nell'intendere i costrutti digitali -computer, smartphone, sistemi, piattaforme, servizi, software e app- come mezzi che sono allo stesso tempo:
In grado di condizionare e vincolare le libere scelte degli esseri umani; mezzi dotati di proprie regole indiscutibili alle quali i cittadini, ridotti ad utenti, debbono sottostare.
Autonomi, sempre più indipendenti nel loro funzionamento dall'agire e dal pensare degli esseri umani.
Per questa via:
I tecnici e gli imprenditori digitali si allontanano dal loro essere cittadini tra i cittadini, e appaiono invece come gli esponenti chiave di una che detiene il potere. Le tecnologie digitali appaiono così come il motore di una crescente divaricazione sociale: da un lato ricchezza, dall'altro povertà; da un lato sovranità, dall'altro sudditanza.
I cittadini ridotti a sudditi-utenti sono spinti a vivere e a lavorare in luoghi digitali imposti come sostituti dei luoghi naturali. Ai cittadini non è data la possibilità di contribuire né alla costruzione dei luoghi digitali, né alla definizione delle regole che nei luoghi digitali vigono.
Si apre la strada verso una situazione dove gli esseri umani si trovano obbligati a convivere con entità digitali dotate di propria autonomia ed 'intelligenza'.
L'informatica come servizio
Un differente modo di intendere l'informatica e le tecnologie digitali vede ogni costrutto digitale come strumento creato da esseri umani ed usato da esseri umani. Esseri umani agenti e pensanti, viventi nel mondo, presenti con il proprio corpo, legati tra di loro da relazioni sociali. Consapevoli del proprio agire politico.
Ogni costrutto digitale, in questo caso, resta un 'utensile' nelle mani dell'essere umano.
In entrambi i casi l'informatica contempla il necessario lavoro di tecnici specialisti.
Ma nel primo caso i tecnici digitali si pongono come esperti esterni, che creano mondi per gli altri esseri umani, abbassati da cittadini a passivi utenti. Nel secondo caso i tecnici digitali mantengono invece la consapevolezza del loro appartenere alla comunità sociale, del loro essere anch'essi cittadini del mondo.
Stante il primo modo di intendere l'informatica si pone un problema che tocca le basi dello stesso concetto di 'legge'. Perché le leggi veramente vigenti sono le leggi -i vincoli sociali, le norme di comportamento- espresse in forma di software, applicazione, algoritmo.
Software, applicazioni, algoritmi, sono documenti scritti in un codice noto solo ai tecnici e destinati ad istruire una macchina a funzionare in un certo modo. Cosicché per conoscere ciò che è scritto in codice digitale, il cittadino deve affidarsi a macchine e a tecnici specialisti.
In questa situazione, il processo di produzione normativa stabilito da Costituzioni e giurisprudenza è svilito.
Così come è svilito il ruolo del giurista nel suo studio e nella sua interpretazione del diritto.
Stante il secondo modo di intendere l'informatica, invece, la vita sociale e civile restano intatte.
I documenti sono scritti in tramite linguaggi alfabetici ed ideografici pensati da esseri umani per esseri umani.
Gli esseri umani, riuniti in quanto cittadini in comunità sociali, continuano ad essere i produttori di regole di convivenza civile e di norme.
Qui, insomma, i costrutti digitali sono intesi come mezzi per esercitare più pienamente i diritti ed i doveri impliciti nella cittadinanza. Lo sviluppo dei costrutti digitali è teso in ogni caso innanzitutto ad uno scopo: offrire la possibilità ad ogni cittadino di essere più partecipe, più attivo.
Possiamo affermare sinteticamente che l'informatica intesa nel primo modo tende ad edificare una nuova realtà dis-umana, astratta, logico-formale. Mentre l'informatica intesa nel secondo modo -che possiamo chiamare informatica umanistica- si presenza come risorsa alla portata di ogni cittadino, come servizio civile. La caratteristica distintiva dell'informatica intesa nel primo modo è l'attenzione al dato. La caratteristica distintiva dell'informatica intesa nel secondo modo come, è l'attenzione al documento.
Ho scritto un articolo a questo proposito. Si trova qui sul portale Solotablet.
Nell'articolo parlo di come si può opporre virtuosamente il concetto di documento al concetto di dato. E ripercorro brevemente la storia di alcune benemerite 'architetture civili digitali': Internet, e-mail, Bulletin Board System (BBS), World Wide Web, Wiki, Blockchain. Ricordo però poi come questi strumenti, rovesciando gli intenti dei progettisti e l'iniziale uso, hanno finito per essere volti nel loro contrario: nuovi strumenti di controllo sociale. Auspico quindi l'emergere di nuove 'architetture digitali civili'.
Questo testo è nato nel quadro di riflessioni condivise con Luca Barbieri e Giuseppe Vincenzi, che qui ringrazio. Insieme a loro, nell'ambito della associazione Assoetica, si sta ragionando sui Registri Digitali Distribuiti. Per i fruttosi scambi sugli stessi argomenti ringrazio anche Antonio Iacono.