Tra tutti coloro a cui dobbiamo il
computing e il computer, pochi hanno giocato un ruolo
così importante, e allo stesso tempo così misconosciuto.
Della biografia di Walter Pitts poco si
sa. Ma quel poco che si sa ci restituisce l’immagine di un giovane
precoce, estremamente dotato, ed allo stesso tempo fragile e
sofferente. Carente di quell’affetto di cui tanto aveva bisogno.
Nasce nel 1923 a Detroit, nel seno di
una famiglia dai pochi mezzi. Autodidatta, per via di studio
personale apprende in gioventù il tedesco, il francese, il latino,
il greco, il sanscrito. Ma fu sopratutto un precoce genio matematico.
Precoce genio
A dodici anni, in una biblioteca, lesse
-la leggenda vuole: in tre giorni- i Principia Mathematica di
Whitehead e Russell. Ne scrive a Russell segnalando punti critici.
Russell risponde interessato e attento, e a quanto sembra -ben poco
sapendo dell’età del ragazzo e della condizione personale del
giovane, senza arte né parte- lo invita a Cambridge, UK.
Troviamo poi Pitts, due anni dopo,
quattordicenne, a Chicago. Obbligato dal padre ad abbandonare la
scuola, è scappato di casa. Lì nell’autunno del ‘38 assiste
alle lezioni che Russell tenne all'University of Chicago.
Intanto, l’Europa è sconvolta
dall’espansione della Germania hitleriana. In Austria, una dura
campagna politica preme per l’annessione al Reich. Nel nella notte
sul 12 marzo 1938 le truppe tedesche attraversano la frontiera e
puntano su Vienna, senza incontrare resistenza. Scienziati e filosofi
hanno scelto la via dell’esilio. L’ America è la nuova frontiera
anche in campo scientifico. Rudolf Carnap, logico-matematico
illustre, figura chiave del Circolo di Vienna, è negli States dal
dal 1935, dall’anno dopo è all’University of Chicago.
Fu forse lo stesso Russell ad
indirizzare verso Carnap il giovane Pitts. In ogni caso si sa che
Pitts- siamo ancora nel 1938, il ragazzo ha quindici anni- legge The
Logical Syntax of Language, la
traduzione di Logische Syntax der Sprache
da poco uscita in inglese. Quindi, con sotto il braccio la sua
copia del libro personalmente annotata, si reca ad incontrare Carnap.
Poi scompare. Carnap passò, a quanto pare, sei mesi cercando quel
ragazzo “che capiva di logica”. Rintracciatolo, gli procura un
qualche lavoretto non accademico, sufficiente a garantirgli il
sostentamento.
Tutti nel frattempo, all’University
of Chicago, si sono abituati alla presenza -a lezioni sui più
diversi argomenti, o in più riservati seminari- di questo stano
non-studente. Thomas Sebeok, origini ungheresi, futuro maestro della
semiotica, allora studente iscritto al secondo anno, ricorda “the
teenage mathematician Walter Pitts” come uno dei pochi
partecipanti, insieme a lui, alle lezioni di Charles Morris,
“beginnings the late 1930s”; lezioni che furono “the very first
sequence of courses in semiotics”.
Da Rashevsky a McCulloch
Pitts entra così in contatto con
Nicolas Rashevsky. Fuggito alla Rivoluzione Sovietica, Rashevsky ha
vagato per l’Europa. Approdato negli States nel 1924, dieci anni
dopo Rashevsky è all’University of Chicago. Fisico teorico di
formazione, lavora per creare -così come esiste una fisica
matematica- una ‘biologia teorica’. Qui, in fondo, ‘teoria’
e ‘matematica’ finiscono per identificarsi: si cerca di
descrivere in modo ‘logico’, tramite appropriato linguaggio
formale, i processi di divisione cellulare e di conduzione nervosa.
In qualche modo, Pitts, quindicenne,
conosce un ragazzo che ha tre anni più di lui, e che sta
frequentando l’ultimo anno delle superiori. Si chiama Jerome
(Jerry) Lettvin. Walter è scappato di casa, ma anche Jerome ha i
suoi problemi. E’ interessato solo alla poesia, alla letteratura.
Ma la rigida madre vuole che diventi medico. I due ragazzi stringono
una grande amicizia. La naturale disposizione di entrambi per
l’eccentricità si alimenta nella relazione.
Walter, con gentilezza, avvicina Jerome
alla filosofia, alla logica, alla matematica. Jerome perde la
battaglia con sua madre. Si iscrive, sempre a Chicago, alla Medical
School dell’University of Illinois.
Nel 1940, giunge alla Medical School un
nuovo professore. Warren McCulloch, quarantaduenne, è uomo di vari e
multiformi interessi: psicologo, medico, filosofo, poeta, anche
attento lettore dei Principia Mathematica.
Insegna psichiatria e fisiologia clinica, e dirige il nuovo
Laboratorio di Ricerca presso l’Istituto di Neuropsichiatria
Illinois Medical School.
McCulloch diviene presto l’insegnante
preferito di Jerry Lettvin. Tramite Jerry, anche Walter si lega a
McCulloch. La relazione va oltre la comunanza di interessi, oltre la
sfera intellettuale. McCulloch e la moglie, nel ‘41, accolgono i
due giovani a vivere nella propria casa. Lettvin si trasferirà
presto a vivere presso la Medical School. Pitts se fermerà più a
lungo.
McCulloch ha il merito di costruire lo
spazio affettivo necessario a Pitts per muoversi a proprio agio, per
sentirsi abbastanza tranquillo, e quindi per produrre pensiero. E’
una situazione lontana dalle consuetudini, della quale si deve
rendere merito a McCulloch: egli trattava i giovani scienziati come
se fossero esperti di qualsiasi argomento ci si trovasse a discutere.
E’ facile parlare dall’esterno di
personalità border line. E’ facile parlare di ‘disturbi’
che si manifestano nel vivere le emozioni in modo mutevole, e con un
enorme coinvolgimento, le emozioni. Più che guardare questo
dall’esterno, con distacco e con atteggiamento giudicante; più che
mettersi nell’atteggiamento di chi cura, dovremmo cercare di
capire, accettare e rispettare.
Rispetto, comprensione, stima,
partecipazione da pari a pari ad un progetto: così il maturo
McCulloch seppe impostare la sua relazione con il fragile e geniale
adolescente Pitts.
Da MacCulloch a Wiener
In
quello stesso fatidico 1943 -mentre la guerra mondiale è a un punto
di svolta: si susseguono in rapida sequenza la battaglia di
Stalingrado, l’offensiva alleata nel Pacifico, la resa dell’Italia-
un incontro cambia la vita del giovane Pitts. L’articolo di
Rosenblueth, Wiener e Bigelow è apparso in gennaio; i due articoli
che portano la firma di Walter Pitts non sono ancora usciti sul
Bulletin di Rashevsky
-usciranno nel settembre-, Walter è uno sconosciuto ventenne.
Lettvin, per via di fortuite
circostanze, ha modo di entrare in contatto con Norbert Wiener. Gli
parla del suo amico matematico. Accompagna quindi Pitts a Cambridge,
al MIT, da Wiener.
Walter and I
walked in on Wiener who after a gruff, “hello” said to Walter,
“Let me show you my proof of the ergodic theorem.” They went next
door to the blackboards, and by the time the second board was
covered, after frequent acute questions and comments by Walter, it
was clear that he was in.
Walter entra così subito a far parte
del ristretto circolo di collaboratori di Wiener. Come è stato uno
special student a Chicago, lo è ora ad Harvard. Nell’inverno
1943-1944 partecipa a Princeton ad un incontro a porte chiuse,
promosso da Wiener e von Neumann – organizzato nell’ambito del
progetto della IAS Machine.
Vi partecipano “engineers,
physiologist, and mathematicians” tutti interessati “in what we
now call cybernetics”, scrive lo stesso Wiener nel 1948. Aiken,
Goldstine: engineers, ovvero “computing-machine
designers”, Rosenblueth, Lorente de Nó e McCulloch: fisiologi,
“while”, scrive Wiener, uomo poco
propenso a concedere facilmente riconoscimenti,
“Dr. Von Neumann, Mr. Pitts, and myself were the mathematicians”.
Walter, ragazzo ventenne,
disadattato, solitario, privo di un titolo di studio, ce l’ha
fatta. Potremmo dire ha raggiunto il suo Paradiso. E’ seduto tra i
dottori, nel tempio della scienza, della scienza più avanzata di
allora. Accolto da pari a pari, ascoltato in quanto matematico.
Wiener vs. McCulloch
McCulloch aveva accolto Pitts nella
propria casa. E’ generoso, disponibile, comprensivo. E’ uomo di
larghe vedute, di vasti interessi, ma resta pur sempre un medico, uno
psichiatra. La relazione tra il ragazzo e il maturo professore è
nettamente segnata dalla differenza di ruolo, ed anche dalla
differenza di carattere. McCulloch è un brillante uomo di mondo,
consapevole, sicuro di sé; Pitts è un giovane introverso, insicuro.
La distanza e la specifica professionalità permettono a McCulloch di
fungere da padre putativo. La stessa moglie di Pitts, Rook,
ha una forte personalità, autonoma, decisa e allo stesso tempo
materna.
Ma ora il ragazzo bisognoso di affetto
cambia famiglia. Wiener mostra grande attenzione per Pitts, lo
accoglie tra i boys -così li chiama lo stesso Norbert- che
frequentano la sua casa.
Come Pitts, è un matematico precoce.
Per entrambi, al di là della vastità degli interessi,
dell’intelligenza acutissima, la matematica è il linguaggio
necessario, la matematica è il codice che sostituisce ogni altro
codice. Solo la matematica garantisce sicurezza, permette di dar
senso al mondo.
Wiener non ha i gesti espliciti di
protezione che aveva McCulloch. Eppure, o forse anzi proprio per
questo, il legame assume subito per Pitts una importanza vitale.
Wiener è la figura paterna sognata, fino ad allora mancante.
Ma
Wiener non può giocare, come McCulloch, sul tasto della differenza.
E’ troppo simile a Pitts. E’, lui stesso, bisognoso di affetto e
di protezione. E’, nella vita quotidiana, perennemente distratto,
goffo, insicuro. Vive sull’orlo dello squilibrio mentale.
Margaret,
la moglie di Wiener, per via del proprio rigido carattere, e del
ruolo protettivo che si sente chiamata a coprire, non può vedere di
buon grado i colleghi, gli amici, seguaci -in molti casi
anticonformisti, eccentrici- con cui Norbert intrattiene i rapporti.
Ma
in particolar modo l’antipatia, la diffidenza, il rancore, l’astio,
il livore si indirizzano verso una persona: Warren McCulloch. Warren
e la sua famiglia finiscono per essere inevitabilmente il bersaglio
dei timori, delle recriminazioni e delle critiche.
All’inizio
degli Anni Cinquanta ogni rapporto tra Wiener e McCulloch sono
brutalmente troncati – per volere di Wiener, spinto e sostenuto
dalla moglie.
Dramma inconcepibile
Walter,
ventottenne timido, indifeso, affettuoso e bisognoso di affetto, è
cacciato fuori, lontano dalla famiglia Wiener, dove è stato di casa
per otto anni, ripudiato da quel padre.
Pitts aveva portato al culmine il sogno
matematico, il sogno di conoscere il funzionamento della mente per
via matematica. Pitts aveva anche, usando poeticamente la matematica,
connesso l’agire umano agli affetti. E si trova ora a soccombere ad
un agire umano forse ancora coerente ad una logica formale, ma
disconnesso dagli affetti.
La matematica, raggiunta la propria
apoteosi: la conquista della mente, cade nel proprio inferno: le
insondabili contraddizioni che emergono dalla psiche.
Con il tradimento di Wiener, anche la
matematica ha tradito. Pitts è costretto a scoprire, in carne
propria, che rigore sintattico -la purezza formale del linguaggio-
non risolve mai i problemi della semantica -la bruttura, la
disconnessione, l’assurdità di ciò di cui si è costretti a
prendere atto, e si dovrebbe narrare.
Per Pitts è un dramma inconcepibile,
insopportabile, dal quale non si risolleverà più. E’ la morte.
From the point on, we had
no way of getting him interested in things.
Come
era Walter Pitts. Era un giovane magro, timido, gentile e non
invadente. Aveva paura delle donne. Ma all’occorrenza accudiva
teneramente i bambini. Sollecitato a richieste di un rapporto
personale, rispondeva alle domande con freddezza, si chiudeva in se
stesso. Non parlava mai con nessuno della sua famiglia. Si esprimeva
sempre in modo impersonale. Ma era anche scherzoso, capace di
inventare ogni sorta di giochi di parole. La sua gentilezza nei
confronti dei giovani contrastava la secchezza delle sue
argomentazioni e con il suo non celato disprezzo per la sciatteria
logica degli scienziati sociali.
Pitts
muore solo, lontano dai suoi stessi amici, lontano dal mondo, il 14
maggio 1969, a 46 anni, per danni all’esofago, forse connessi con
una cirrosi, forse conseguenza di ubriachezza o di assunzione di
qualche sostanza. Era morto in realtà prima dei trent’anni, quando
è stato abbandonato da Wiener.