lunedì 14 novembre 2016

Sulle insidie dell'User Experience Design


Avvicinamento
L'esperienza d'uso: ciò che una persona prova quando utilizza un prodotto, un sistema o un servizio.
Percezioni, reazioni, emozioni. Si dice anche: l'esperienza d'uso è ciò che una persona prova quando si interfaccia con un prodotto o servizio.
Ovviamente oggi per essere al passo dei tempi bisogna dirlo in inglese: User Experience. Ma questo modo di dire è già di per sé contraddittorio. Se dico User Experience in inglese mi sto già allontanando dalla mia esperienza.
Esperienza: in latino ex, intensivo, perior: 'io provo'. L'esperienza si manifesta qui ed ora, nel mondo in cui mi trovo, io che vivo in un ambiente, in una cultura, in un luogo, io che nomino il mondo attraverso la mia lingua materna. Ma purtroppo si va consolidando l'uso della definizione inglese.

Con l'espressione inglese si consolida anche la definizione di una figura professionale: User Experience Designer, o User Experience Architect. La figura di uno specialista dotato di misteriosi strumenti, ignoti al volgo. Uno specialista attento all'applicazione di tecniche, ma non altrettanto attento alla propria e all'altrui esperienza.

Conosco diversi User Experience Designer che non meritano la descrizione che ho appena dato. Il loro spessore culturale, la loro autonomia di pensiero, il loro atteggiamento critico di fronte alle facili mode ed al comodo indulgere dei tecnici a linguaggi pomposi e vuoti. Proprio pensando a loro scrivo questo articolo. Per condividere con loro una riflessione sugli aspetti problematici del ruolo.

Potrei proporre un parallelo: gli User Experience Designer come gli Human Resource Manager. Un tempo si diceva Direzione del Personale; oggi si dice Human Resource Management. Gli Human Resource Manager si occupano di persone, che meritano di essere poste in condizioni adeguate a far sì che possano lavorare efficacemente. Ma le aspettative a cui gli Human Resource manager devono rispondere finiscono per imporre loro di vedere, al posto delle persone, mere risorse, mera materia prima, forza lavoro spersonalizzata. Certo l'Human Resource Manager può restare fedele a se stesso, e interpretare il ruolo a proprio modo. Ma la pressione è forte.
Simile la situazione dell'User Experience Designer.
Per un altro verso la posizione degli User Experience Designer può essere avvicinata alla posizione del Marketing Manager: entrambi si propongono di guardare non solo agli abitanti di un mondo ristretto, l'azienda. Entrambe le figure guardano agli abitanti di ogni mondo, agli abitanti di un universo senza confini. Il Marketing Manager propone la posizione del cliente, o customer, ad ogni essere umano. Così come l'User Experience Designer propone ad ogni essere umano la posizione dell'utente.
Possiamo aggiungere che l'User Experience Designer si colloca un passo oltre l'Human Resource Manager ed il Marketing Manager. Generalizzando, possiamo osservare la diversità tra le figure del manager e la figura del designer. Nel ruolo del manager prevale la gestione di una situazione già esistente. Il designer si progettare la situazione. E lo stesso mondo all'interno del quale si manifesta l'umano agire.
Serve, quindi collocare la nuovissima arte dell'User Experience Design in una prospettiva storica e filosofica. Serve accettare di osservarla nelle sue estreme conseguenze.

Definizioni
In campo informatico, in particolare, l'User Experience, UX, sembra essere la nuova frontiera della progettazione. Progettare le applicazioni oggi non è troppo difficile. Esiste già una innumerevole quantità di applicazioni. Esistono oggetti e strati di codice già pronti con i quali costruire applicazioni. Ciò che fa la differenza sta, si dice, nell'interfaccia: Human Interface (HI). Ciò che fa la differenza è la qualità dell'interazione tra l'uomo e la macchina: Human-Computer Interaction (HCI).
Ho appena detto che le definizioni non sono irrilevanti: verso la metà degli Anni Novanta un esperto che al momento lavora per la Apple, Don Norman, decide che sia Human Interface che Human-Computer Interaction sono denominazioni poco convenienti. Propone in cambio User Experience.

Abituati come siamo ad essere gregari ('appartenenti ad un gregge'), piuttosto che a pensare in proprio, anche parlando di User Experience e User Interface (UI), finiamo troppo spesso per far riferimento a qualche guru.
Ora, guarda caso, Don Norman ("The Guru of Workable Technology", Newsweek),
Jakob Nielsen ("The Guru of Web Page Usability", New York Times), ed anche Bruce "Tog" Tognazzini ("The User Interface Guru" (Wired), sono i Principal di una società di consulenza, Nielsen Norman Group, alla quali molti ricorrono per conoscere il Verbo.
Tra i tre, il Guru dei Guru è Norman, portabandiera dell'User Experience. Uno dei modi di imporre il proprio potere, si sa, è imporre le proprie definizioni. Ascoltiamo dunque Norman.
"We should distinguish UX and usability: according to the definition of usability, it is a quality attribute of the UI, covering whether the system is easy to learn, efficient to use, pleasant, and so forth".
Altrettanto importante, continua Norman, è "to distinguish the total user experience from the user interface (UI). As an example, consider a website with movie reviews. Even if the UI for finding a film is perfect, the UX will be poor for a user who wants information about a small independent release if the underlying database only contains movies from the major studios"
Ma comunque, sia rispetto all'usability che all'user interface, "UX is an broader concept".

Il concetto è elaborato da Norman negli Anni Ottanta: Ma allora Norman lo denominava User Centered Design. Alla metà degli Anni Novanta trova la sua esplicita affermazione e la denominazione: User Experience Design. Racconta lo stesso Norman: “I invented the term because I thought human interface and usability were too narrow. I wanted to cover all aspects of the person’s experience with the system including industrial design graphics, the interface, the physical interaction and the manual.”

Non c'è motivo di negare le buone intenzioni di Norman. Il cui pensiero si nutre di ottimi studi -tra gli ultima Anni Cinquanta e gli Anni Settanta- in campi diversi, che contribuisce ad ibridare: Ingegneria, Computer Science, filosofia, matematica, psicologia. Fino ad approdare alle Scienze Cognitive.
Nel 1986 cura, insieme a Stephen Draper, User Centered System Design: New Perspectives on Human-Computer Interaction (L. Erlbaum Associates, Hillsdale, N.J.). Dove appare anche il saggio a sua firma Cognitive Engineering (pp. 31-61).
Due anni dopo esce quella che resta la sua opera più rilevante, The Psychology of Everyday Things (Basic Books, New York, 1988).
Concetto chiave, in entrambi i libri, è l'User-Centered Design. La progettazione deve contemplare la compresente elaborazione di due modelli. C'è ovviamente il Design model: ciò che il progettista, in considerazione della propria visione creativa, immagina. Ma, aggiunge Norman, al Design Model dovrà accompagnarsi lo User Model: il modo in cui l'utente si spiega il funzionamento del sistema. Idealmente, i due modelli dovrebbero essere equivalenti. "However, the user and designer communicate only through the system itself: its physical appearance, its operation, the way it responds, and the manuals and instructions that accompany it". Di qui il fatto che non basta progettare il sistema. Serve porre attenzione alla System Image: "the designer must ensure that everything about the product is consistent with and exemplifies the operation of the proper conceptual model." (The Psychology of Everyday Things, pp. 189-190)
Dunque: "a User-Centered Design, a philosophy based on the needs and interests of the user, with an emphasis on making products usable and understandable." (p. 188).
Norman arriva così a proporre un patto tra progettisti e utenti: "Now you are on your own. If you are a designer, help fight the battle for usability. If you are a user, then join your voice with those who cry for usable products." (p. 215).

C'è un altro aspetto, non trascurabile, del pensiero di Norman. "When I use a direct manipulation system -whether for text editing, drawing pictures, or creating and playing games- I do think of myself not as using a computer but as doing the particular task. The computer is, in effect, invisible. The point cannot be overstressed: make the computer system invisible. This principle can be applied with any form of system interaction, direct or indirect." (p. 184).
"The computer is invisible, hidden beneath the surface; only the task is visible", insiste Norman due pagine dopo. "Although I may actually be using a computer, I feel as if I am using my appointment calendar." (p. 186).
A prima vista, non possiamo che concordare con Norman. In questo momento sto scrivendo. La mia mente è connessa alle dita che si muovono sulla tastiera, lo sguardo è rivolto allo schermo. Non voglio essere molestato o distratto da rallentamenti del sistema, da informazioni riguardanti software da aggiornare o altre operazioni inerenti al mero funzionamento della macchina.

Il cielo del Designer e la terra dell'User
Trent'anni dopo, nei giorni in cui scrivo, Norman, guru acclamato, in stanze riservate consiglia i produttori di ogni tipo di prodotto. Mentre arringa le folle dalla tribuna di Ted.
Le sue parole ci appaiono ancora buone intenzioni. Sicuramente una via da perseguire.
Resta valido l'invito, anche etico, rivolto ai Designer e progettisti tutti: tenete conto del punto di vista delle esigenze degli utenti. Considerate la frustrazione dell'utente di prodotti e servizi di fronte a sistemi che 'non fanno quello che si vorrebbe'; o meglio: 'ciò che si ritiene sensato'. Considerate il dispetto dell'utente costretto a leggere certi manuali d'uso.
Resta valido anche l'invito rivolto agli utenti: non demordete, non rinunciate a battagliare per prodotti meno astrusi, più semplici, più facili da usare.
Ma possiamo anche cogliere un aspetto minaccioso nelle parole di Norman. "True user experience goes far beyond giving customers what they say they want". Per quanto si parli enfaticamente di 'utente al centro', per quanto si sbandieri l'importanza del suo punto di vista e del suo interesse e del suo piacere e della sua esperienza, il Designer Cognitivista, pensa di saperne di più.
Con buona pace di Norman, l'utente di servizi resi accessibili via computer vive una condizione di pesante sudditanza. Non sa, e non deve sapere, come funziona il sistema. Il sistema per l'utente invisibile. L'utente vede solo il prodotto e il servizio. Resta quindi vivo per l'utente un motivato timore: cosa nasconde il sistema? Non nasconderà forse un qualche inganno? Timori non infondati: basta pensare al costante tracciamento dei nostri comportamenti personali. Norman proponeva un patto tra Designer e User. Ma oggi il potere dei Designer -che tramite macchine digitali disegnano gli ambiti nei quali viviamo la stessa vita degli utenti- appare sconfinato.

Quindi, dobbiamo riprendere il discorso daccapo. Tornando al senso dell'esperienza: in latino ex, intensivo, perior: 'io provo'; e chiedendoci cosa si nasconde dietro il definire l'essere umano utente.
L'esperienza umana si manifesta attraverso l'uso di utensili. In latino: verbo uti, 'usare'. Utensilis, aggettivo per ‘utile’, ‘necessario’. Utensilia, ‘cose utili’. E dunque: utens, 'qui utitur aliqua re', 'chi usa una qualsiasi cosa'.
L'essere umano scopre la possibilità di usare una cosa come utensile. E' attraverso l'esperienza del martellare che si apprende a martellare. E' martellando che l'uomo coglie e definisce il senso dello strumento, e della parola usata per definirlo: martello. Heidegger parlava di Zuhandenheit, l''essere alla mano', 'vicino alla mano' 'nella mani'. Questo è alla fin fine l'utensile.

Nell'esperienza umana -'io provo'- non c'è soluzione di continuità tra il costruire l'utensile e l'usarlo. Possiamo ritenere che l'utensile -ogni mezzo, strumento ogni tecnologia, nelle mani dell'uomo- sia sempre in via di costruzione. L'esperienza dell'uso ritorna nel progetto dell'utensile, in una spirale di miglioramento continuo.

Fenomenologia e psicologia sono studio di come l'uomo l'uomo osserva e percepisce le cose. Ogni uomo è 'gettato nel mondo', ci ricorda Heidegger: Geworfenheit. Possiamo tradurre: Thrownness, gettatezza. L'esperienza di sentirsi gettato giù, gettato fuori dalle zone di conforto, scagliato, solo un mondo inospitale e sconosciuto, come Robinson Crusoe. L'esperienza umana è scoprire come cose che sono disponibili nel mondo in cui si è nostro malgrado gettati -nel mondo nel quale nostro malgrado ci troviamo- possono essere usate come utensili.

Dunque l'uomo può essere detto utens, perché, mosso da una intenzione, da un piacere, da una necessita, usa cose. Le cose, battezzate come utensilia, 'cose utili', sono un mezzo. Le caratteristiche del mezzo -medium, tecnologia- influenzano l'agire.
Ma l'agire umano non si riassume nell'uso di un mezzo, di una tecnologia, di un utensile. L'uomo dispone sempre -vale l'esempio di Robinson Crusoe- di alternative e di possibilità. Potrebbe in ogni caso costruire, e usare, un altro utensile. L'essere umano è sempre qualcosa di più dell'essere utente - fruitore obbligato di un dato utensile, di una data tecnologia, di un dato costrutto, di un dato programma, di un dato algoritmo.

Si dovrebbe dunque parlare di Human Experience. Perché invece porre riduttivamente l'attenzione sull'User Experience?
Torniamo a Don Norman. Norman pubblica The Psychology of Everyday Things nel 1988. Ma subito modifica il titolo: The Design of Everyday Things (Currency Doubleday, New York, 1990). Viene così reso evidente un passaggio: un conto è guardare alle cose dal punto di vista della propria esperienza - come potrebbe suggerire il titolo Psychology of Everyday Things. Un conto è guardare alla altrui esperienza, considerandola il frutto del progetto di uno specialista: il Designer.
Norman, passando dal dire Psychology of Everyday Things a dire Design of Everyday Things esplicita in effetti l'approccio del libro. L'approccio fenomenologico -che pone al centro l'essere umano- resta confinato sullo sfondo. In primo piano non sta l'uomo, ma un soggetto del tutto differente: il Designer.

Norman non considera il Designer come abitante del mondo. Norman considera il Designer abitante di un meta-mondo abitato da Designer.
L'essere umano è costretto a manifestarsi esclusivamente come utilisateur, usuario, Benutzer. utente di strumenti predisposti da un progettista. Strumenti che permettono di fare esperienza, certo. Ma solo l'esperienza prevista in un progetto. L'User Experience non è esperienza dell'essere umano. L'User Experience consiste dunque nell'imporre all'uomo il progetto di un Designer.

Come scriveva già Tito Livio, esistono due tipi di utensili: “divina humanaque utensilia”, ‘gli utensili umani e gli utensili divini’. (Tito Livio, Ab urbe condĭta [Storia di Roma], XXXIII).
I Designer, super-uomini o dei, operanti nell'Empireo, nel meta-mondo a loro riservato, usano divina utensilia, strumenti e linguaggi di progettazione - tramite i quali costruiscono humana utensilia, gli oggetti concessi in uso agli esseri umani, ridotti a utenti.

In virtù di vincoli previsti dal progetto, gli utensili concessi all'uomo-utente resistono ad essere usati come sogna, come desidera, come necessita l'uomo. L'uomo vive la Geworfenheit, la Thrownness, gettatezza: il trovarsi in un mondo difficile sconosciuto. L'uomo apprende agendo, e che agisce apprendendo. L'uomo manifesta la propria umanità, la propria cura, costruisce la propria identità e la propria autostima nello scoprire il senso di cose che posso essere considerate utensili. Così, anche, l'uomo costruisce la propria autostima. E' l'esperienza di Robinson.

Quest'uomo oggi è impedito, nel proprio agire, dal progetto del Designer. Che decide per lui.
L'user, l'utente di Norman è lontanissimo dall'uomo-Robinson. L'user, l'utente di Norman è il giovane Truman costretto all'interno dello show, attore ignaro di uno spettacolo governato da un designer-regista.
Perché oggi la stessa vita umana si svolge in larga misura -secondo alcuni: l'intera vita umana- si svolge in un mondo progettato da disegnatori.

The Design of Digital World
Trent'anni dopo The Design of Everyday Things il primato del disegno sull'agire umano appare fatto compiuto.
"Le tecnologie dell'informazione e della comunicazione" -potremmo anche dire: l'informatica e il computing- portano con "sé l’erosione dei confini tra il reale e il virtuale e l’erosione dei confini tra uomo, macchina, e natura", si legge nell'OnLifeManifesto. L'uomo, si sostiene, non vive più nel mondo che aveva conosciuto l'arco della sua intera storia. Vive onLife: in una nuova vita che comprende la la vita off line e la vita on line. Vive in un luogo virtuale, in un'Infosfera, nel Cyberspazio. In una certa misura la profezia di Matrix è già avverata. Anche se secondo i profeti del nuovo è solo l'inizio.
Già oggi con il Clouding informazioni che ci riguardano, conoscenze che noi stessi abbiamo prodotto, così come ogni dato, tutto risiede in una nuvola senza luogo progettata da un Disegnatore.
Le stesse applicazioni con le quali interagiamo sulle nostre macchine personali -computer o tablet o smartphone- sono perennemente aggiornate dal Disegnatore -in base una propria insindacabile scelta dei modi e dei tempi e delle scelte- sulla macchina personale di ogni essere umano. Con Internet of Things il progetto arriva al suo compimento.
In The Design of Everyday Things Norman, trent'anni fa, mostrava numerosi esempi di cose di uso quotidiano. Si inizia con la paradossale caffettiera disegnata da Jaques Carleman: inutilizzabile, perché il beccuccio e il manico sono sullo stesso lato, sovrapposti l'uno all'altro. Si continua con maniglie, apparecchi telefonici, pulsanti e interruttori, manopole e rubinetti, elettrodomestici, giocattoli, scarpe. Tutte queste cose sono state progettate da un Designer che pretende di sapere meglio di noi quale esperienza d'uso desideriamo.
Con Internet delle Cose il peso del progetto si aggrava oltremisura: questi oggetti restano sotto il controllo del Designer anche in ogni istante del loro uso. In ogni istante il Disegnatore potrà decidere come impedire usi che ritiene aberranti; o potrà anche dichiarare obsoleta la cosa, distruggendola.

E' in gioco la libertà dell'uomo-Robinson. Possiamo prendere ad esempio il Web: è un mondo co- creato da esseri umani, disordinato, complesso, confuso, e secondo alcuni anche pericoloso. Il Designer ci parla ogni giorno di questi pericoli e di questo disordine, cercando di convincerci i vantaggio di un mondo disegnato, e quindi ordinato, sicuro e semplice.

Norman tra i primi auspicò i vantaggi del nascondere all'essere umano il complesso funzionamento del computer: non devi preoccupartene, pensa solo a quello che vuoi fare. Ma questo nascondimento si rivela come enorme rischio sociale e politico. Per l'essere umano ridotto a utente il computer, effettivamente, "is invisible, hidden beneath the surface". Non gli resta che muoversi negli spazi previsti dal Disegnatore - lui sì eletto detentore dei divina utensilia che permettono, a diversi livelli, di programmare la macchina fino a definire gli spazi di libertà nei quali è confinato l'utente.

Il Design dell'Experience finisce quindi per essere l'elemento cardine dell'edificazione stessa dell'OnLife, nuovo mondo dove scompaiono i confini tra il reale e il virtuale e i confini tra uomo, macchina, e natura. Non a caso Norman sostiene che "the System Image plays the key role". System Image: l'immagine del sistema che il progettista si propone di far apparire agli occhi dell'utente.
L'icona nascondeva al fedele bizantino il mistero dell'altare. L'icona sullo schermo -esemplare manifestazione storica dell'abilità del Designer dell'User Experience- nasconde a noi esseri umani ridotti a utenti il misterioso funzionamento della macchina-mondo chiamata computer.

Riappare così in una luce preoccupante, quasi sinistra, la frase di Norman: "True user experience goes far beyond giving customers what they say they want". La vera User Experience va ben al di là dal dare ai customer quello che dicono di volere.
Ridotto a customer e user l'essere umano dovrà subire il progetto. L'intento della Propaganda e dell'Advertising, sia in ambito di business che in ambito politico, avevano la stessa pretesa. Ma l'essere umano viveva nel proprio mondo -un mondo solo parzialmente progettato; un mondo dove il progettista era assente- e poteva disattendere le altrui pretese. Adesso, se l'essere umano vive nell'OnLife, vive in un mondo progettato. Progettato anche per evitare che l'uomo disattenda le aspettative del Designer.

Sono da guardare con sospetto tutti gli approcci che comportano il tentativo di 'far prendere coscienza agli altri’ di qualcosa, pretendendo di sapere meglio di loro stessi cosa sia meglio per loro.
E' la pretesa, anche, dei Dittatori che in cuor loro pensano di governare per il bene del popolo. E' la pretesa del Grande Inquisitore di Dostoevskji. E' la minaccia che vediamo narrata in romanzi come Il mondo nuovo di Huxley, 1984 di Orwell, Noi di Zamjatin. La tecnologia che in quei romanzi si immaginava è oggi disponibile. Il Design della User Experience è un passo in quella direzione.

E siccome si sa che, nella visione del management, ogni aspetto importante del business deve essere affidato alla cura di un manager 'C level', un Chief, ecco, accanto al CEO: Chief Executive Officer, accanto al CFO Chief Financial Officer, accanto al CIO Chief Information Officer, e via dicendo, ecco comparire accanto a queste figure il CXO: Chief Experience Officer, "an executive responsible for the overall experience" implicita in ogni prodotto o servizio.

Ed ecco anche che, sull'onda dell'User Experience Designer, o User Experience Architect, si vanno definendo figure professionali sempre più precise. Non solo, genericamente, progettisti dell'esperienza, ma anche progettisti delle conversazioni e le pratiche sociali.

Ciò che inquieta non è in sé la pretesa di imporre. Ciò che inquieta è la pretesa di imporre accoppiata ad una crescente impossibilità di evitare l'imposizione. Come in Truman Show il Designer ci sorveglia e ci impedisce di uscire dal disegno.
Possiamo fidarci dell'etica e della responsabilità sociale dei Designer? Possiamo credere che la loro formazione universitaria e professionale garantisca loro ampiezza di vedute, sottigliezza, saggezza, senso della misura?

Possiamo puntare su più seria formazione dei Designer. Ma forse la via politica da perseguire è diversa, anzi opposta. Ignorare i Designer. Non dar loro corda. Smettere di attribuir loro importanza solo perché possiedono divina utensilia a noi negata.
Possiamo prepararci a fare miglior uso dell'humana utensilia di cui disponiamo. Possiamo cercare una educazione diffusa: conoscere la macchina per saperla usare. Possiamo perseguire la via della sistematica violazione delle regole imposte al nostro agire dai Designer. Possiamo trascurare istruzioni per l'uso e insistere nel cercare di far fare alla macchina quello che vogliamo.

Sì, è vero, viviamo già forse nell'OnLife, nell'Infosfera, in un mondo dove tendono a scomparire i confini tra il reale e il virtuale ed i confini tra uomo, macchina, e natura. Ma niente può vietarci di coltivare, anche in questo contesto, la nostra umanità.
Il libero accesso garantito alle conoscenze garantito dal Web viene condizionato e ridotto tramite il disegno: per esempio attraverso l'invito ad accedere al Web tramite una app - che sceglie per noi a quali conoscenze attingere, e il modo di attingervi, e il quando attingervi. Ma il Web ormai esiste e non può essere oscurato da nessun Designer.
La libertà garantita dai software che usiamo quotidianamente viene progressivamente erosa - ma possiamo scegliere di non aggiornare il software. Possiamo scegliere di usare macchine vecchie che si adattino a noi come confortevoli scarpe vecchie.
L'inevitabile imperfezione di ogni progetto permette rovesciamenti di senso e usi imprevisti dal Designer. Occupiamo questi spazi. Le stesse macchine che usiamo, alla fin fine, possono comunque, in qualche misura, essere usate in modo che il Designer riterrà aberrante - ma che a noi piace e torna conveniente.
Possiamo cercare di emanciparci dal ruolo di utenti, tornando ad essere umani.

Queste riflessioni costituiscono un primo assaggio dei temi che tratterò nel secondo volume del mio Trattato di Informatica Umanistica. (Primo volume: Macchine per pensare. L'informatica come prosecuzione della filosofia con altri mezzi, Guerini e Associati, 2016).