mercoledì 1 maggio 2024

L'usignolo e la sua imitazione digitale

La fiaba di Andersen L'usignolo meccanico pone in modo esemplare la questione della povertà delle imitazioni digitali della vita e della natura. 

Accettate che dica qui, senza definire ulteriormente, vita e natura: cercare definizioni è fuggire dall'argomento e rifiutare la dimensione autocritica, autobiografica, personale della riflessione. Voi che mi leggete siete esseri umani - se mi legge qualche entità digitale a suo modo, in qualche maniera, senziente, non mi interessa. Accettate quello che vi dice questa narrazione, che ha radici antiche, ed è allo stesso capace di illuminare il nostro presente. 

Questa narrazione avrà un ruolo particolarmente importante in un libro che vado scrivendo, secondo tomo del Trattato di Informatica Umanistica, seguito del primo tomo Macchina per pensare.

Trascrivo di seguito una versione della fiaba, dove sono intercalati mie glosse: provvisori primi abbozzi di un commento che sto scrivendo.


In Cina, lo sai bene, l'imperatore è un cinese e anche tutti quelli che lo circondano sono cinesi. La storia è di molti anni fa, ma proprio per questo vale la pena di sentirla, prima che venga dimenticata. Il castello dell'imperatore era il più bello del mondo, tutto fatto di finissima porcellana, costosissima ma così fragile e delicata, che, toccandola, bisognava fare molta attenzione. Nel giardino si trovavano i fiori più meravigliosi, e a quelli più belli erano state attaccate campanelline d'argento che suonavano cosicché nessuno passasse di lì senza notare quei fiori. Sì, tutto era molto ben progettato nel giardino dell'imperatore che si estendeva talmente che neppure il giardiniere sapeva dove finisse. Se si continuava a camminare, si arrivava in uno splendido bosco con alberi altissimi e laghetti profondi. Il bosco terminava vicino al mare, azzurro e profondo; grandi navi potevano navigare fin sotto i rami del bosco e tra questi viveva un usignolo, e cantava in modo così meraviglioso che persino il povero pescatore, che aveva tanto da fare, sentendolo cantare si fermava a ascoltarlo, quando di notte era fuori a tendere le reti da pesca. «Oh, Signore, che bello!» diceva, poi doveva stare attento al suo lavoro e dimenticava l'uccello.


LA BELLEZZA NON DISTOGLIE, NON FA DIMENTICARE IL LAVORO


Ma la notte successiva, quando questo ancora cantava, il pescatore che usciva con la barca, esclamava: «Oh, Signore, che bello!».

Alla città dell'imperatore giungevano stranieri da ogni parte del mondo, per ammirare la città stessa, il castello e il giardino; quando però sentivano l'usignolo, dicevano tutti: «Questa è la meraviglia più grande!».

I viaggiatori poi, una volta tornati a casa, raccontavano tutto, e le persone istruite scrissero molti libri sulla città, sul castello e sul giardino, ma non dimenticarono mai l'usignolo, anzi l'usignolo veniva prima di tutto il resto, e quelli che sapevano scrivere poesie scrissero i versi più belli sull'usignolo del bosco, vicino al mare profondo.


NARRAZIONE, TRADIZIONE POPOLARE, NON C’E’ FILTRO DEL POTERE,

ESPERIENZA CHE DIVIENE CONOSCENZA



Quei libri girarono per il mondo e alcuni giunsero fino all'imperatore. Seduto sul trono d'oro, leggeva continuamente, facendo ogni momento cenni di assenso con la testa, perché gli piaceva ascoltare le splendide descrizioni della città, del castello e del giardino. "Ma l'usignolo è la cosa più bella" c'era scritto.

«Che cosa?» esclamò l'imperatore. «L'usignolo? Non lo conosco affatto! Esiste un tale uccello nel mio regno, e per di più nel mio giardino! Non l'ho mai saputo! E bisogna leggerlo per saperlo!»


MURI DI CARTA E D’IINCENSO


Così chiamò il suo luogotenente che era così distinto che, se qualcuno inferiore a lui osava rivolgergli la parola o chiedergli qualcosa, non diceva altro che: «P...!», il che non significa nulla.

«Qui dovrebbe esserci un uccello meraviglioso chiamato usignolo» spiegò l'imperatore. «Si dice che sia la massima meraviglia del mio grande regno. Perché nessuno me ne ha mai parlato?»

«Non l'ho mai sentito nominare prima d'ora» rispose il luogotenente «non è mai stato introdotto a corte.»

«Voglio che venga qui stasera a cantare per me» concluse l'imperatore. «Tutto il mondo sa che cosa possiedo e io non lo so!»

«Non l'ho mai sentito nominare prima d'ora!» ripetè il luogotenente «farò in modo di trovarlo.»

Ma dove? Il luogotenente corse su e giù per le scale e attraversò saloni e corridoi; nessuno di quelli che incontrava aveva mai sentito parlare dell'usignolo, così il luogotenente tornò di corsa dall'imperatore e gli disse che doveva essere un'invenzione di chi aveva scritto i libri.

«Sua Maestà Imperiale non deve credere a quello che si scrive! È certamente un'invenzione fatta con quella che si chiama magia nera.»


CONTROLLO DELL’APPARATO. IMPERATORE PRIGIONIERO.

LA STORIA DELLA TECNICA SI INQUADRA NELLA STORIA DELLA POLITICA



«Ma quel libro in cui l'ho letto» disse l'imperatore «mi è stato inviato dal potente imperatore del Giappone, quindi non può essere falso. Voglio sentire quell'usignolo! Dev'essere qui stasera! Sarà ammesso nelle mie grazie! Se invece non viene, tutta la corte sarà picchiata sulla pancia dopo cena!»

«Tsing-pe!» rispose il luogotenente e ricominciò a correre su e giù per le scale, e attraverso saloni e corridoi, e metà della corte correva con lui, dato che non volevano essere picchiati sulla pancia. Si sentiva chiedere soltanto dello straordinario usignolo che tutto il mondo conosceva eccetto quelli della corte.

Alla fine trovarono una povera fanciulla in cucina che disse: «O Dio! L'usignolo: lo conosco, e come canta bene. Ogni sera ho il permesso di portare un po' degli avanzi a casa, alla mia povera mamma malata che vive giù vicino alla spiaggia, e quando al ritorno, stanca, mi fermo a riposare nel bosco, sento cantare l'usignolo. Mi vengono le lacrime agli occhi, è come se la mia mamma mi baciasse!».


SAGGEZZA POPOLARE COME FONTE ETICA



«Povera sguattera» esclamò il luogotenente «ti darò un posto fisso in cucina e ti permetterò di assistere al pranzo dell'imperatore se ci porterai dall'usignolo, dato che è stato convocato per questa sera.»

Così tutti si diressero nel bosco, dove di solito cantava l'usignolo; c'era mezza corte. Sul più bello una mucca cominciò a muggire.

«Oh!» dissero i gentiluomini di corte «eccolo! C'è una forza straordinaria in un animale così piccolo; certo l'ho sentito prima!»

«No! Sono le mucche che muggiscono» spiegò la piccola sguattera «siamo ancora lontani.»

Allora le rane gracidarono nello stagno.

«Bello!» disse il cappellano di corte cinese «ora lo sento, sembrano tante piccole campane!»

«No! Sono le rane» esclamò la fanciulla. «Sentite, sentite! Eccolo lì» e indicò un piccolo uccello grigio trai rami.

«È possibile?» disse il luogotenente «non me lo sarei mai immaginato così. Come è modesto! Ha certamente perso i suoi colori nel vedersi intorno tanta gente distinta.»

«Piccolo usignolo!» gridò la fanciulla a voce alta «il nostro clemente imperatore desidera che tu canti per lui!»

«Volentieri!» rispose l'usignolo, e cantò che era un piacere sentirlo .

«È come se fossero campane di vetro!» commentò il luogotenente. «E guardate quella piccola gola, come si sforza! È stranissimo che non l'abbiamo mai sentito prima! Avrà sicuramente successo a corte.»


VISIONE RIDOTTA DAL POTERE


«Devo cantare ancora una volta per l'imperatore?» chiese l'usignolo, convinto che l'imperatore fosse presente.

«Mio eccellente usignolo!» disse il luogotenente «ho il grande piacere di invitarla a una festa a corte, questa sera, dove lei incanterà la Nostra Altezza Imperiale con il suo affascinante canto!»

«È meglio tra il verde!» rispose l'usignolo,


NATURA SPINOZA


ma li seguì ugualmente volentieri quando seppe che l'imperatore lo desiderava.

Al castello avevano fatto grandi preparativi. Le pareti e i pavimenti, che erano di porcellana, brillavano, illuminati da migliaia di lampade d'oro; i fiori più belli, quelli che tintinnavano, erano stati messi lungo i corridoi; c'era un correre continuo e una forte corrente d'aria, e così tutte le campanelline si misero a suonare e non fu più possibile capire niente.


TRIVIALITA’ DELL’ARTIFICIALE


In mezzo al grande salone dove stava l'imperatore era stato collocato un trespolo d'oro, su cui l'usignolo doveva posarsi c'era tutta la corte, e la piccola sguattera aveva avuto il permesso di stare dietro alla porta, dato che era stata insignita del titolo di "sguattera imperiale."

Tutti indossavano i loro abiti migliori e tutti guardarono quel piccolo uccello grigio che l'imperatore salutò con un cenno.

L'usignolo cantò così deliziosamente che l'imperatore si commosse, le lacrime gli corsero lungo le guance, allora l'usignolo cantò ancora meglio e gli andò dritto al cuore. L'imperatore era così soddisfatto che diede ordine che l'usignolo portasse intorno al collo la sua pantofola d'oro. L'usignolo ringraziò ma disse che aveva già avuto la sua ricompensa.

«Ho visto le lacrime negli occhi dell'imperatore, questo è il tesoro più prezioso per me. Le lacrime di un imperatore hanno una potenza straordinaria. Dio sa che sono già stato ricompensato!» E cantò di nuovo con la sua dolcissima voce.


DONO (INCOMPRESO)


«È la più amabile civetteria che io conosca!» dissero le dame di corte e si misero dell'acqua in bocca per fare glug, quando qualcuno avesse rivolto loro la parola, così credevano di essere anche loro degli usignoli. Anche i lacchè e le cameriere cominciarono a essere soddisfatti, e questa non è cosa da poco perché sono le persone più diffìcili da soddisfare. Sì, l'usignolo portò davvero la gioia!

Ora sarebbe rimasto a corte, in una gabbia tutta d'oro e con la possibilità di passeggiare due volte di giorno e una volta di notte. Ebbe a disposizione dodici servitori e tutti avevano un nastro di seta con cui lo tenevano stretto, dato che i nastri erano legati alla sua zampina. Non era certo un divertimento fare quelle passeggiate!


TECNICA COME NATURA INGABBIATA


GABBIA D’ORO NON NASCONDE GABBIA. TECNICA POSTA AL SERVIZIO DEL POTERE.


Tutta la città parlava di quel meraviglioso uccello, e quando due persone si incontravano uno non diceva altro che: «Usi» e l'altro rispondeva: «Gnolo!» e poi sospiravano comprendendosi reciprocamente; undici figli di droghieri ricevettero il nome di quell'uccello, ma non

uno di essi ebbe il dono di cantare bene.

Un giorno arrivò un grande pacco per l'imperatore, con scritto sopra: "Usignolo."

«È sicuramente un nuovo libro sul famoso uccello!» esclamò l'imperatore; ma non era un libro, era invece un piccolo oggetto chiuso in una scatola: un usignolo meccanico, che doveva somigliare a quello vivo ma era ricoperto completamente di diamanti, rubini e zaffiri. Non appena lo si caricava, cominciava a cantare uno dei brani che anche quello vero cantava, e intanto muoveva la coda e brillava d'oro e d'argento.


GEMELLO DIGITALE



Intorno al collo aveva un piccolo nastro su cui era scritto: "L'usignolo dell'imperatore del Giappone è misero in confronto a quello dell'imperatore della Cina."

«Che bello!» dissero tutti, e colui che aveva portato quell'usignolo meccanico ebbe il titolo di Portatore imperiale di usignoli.

«Ora devono cantare insieme! Chissà che duetto!»

Cantarono insieme, ma non andò molto bene, perché il vero usignolo cantava a modo suo, quello meccanico invece funzionava per mezzo di cilindri. «Non è colpa sua!» spiegò il maestro di musica «tiene bene il tempo e segue in tutto la mia scuola!»


ARGOMENTO DI TURING SUL LIVELLARE L’UOMO ALLA MACCHINA


MACCHINA REPLICA ESEGUE PROGRAMMA


Così l'usignolo meccanico dovette cantare da solo. Ebbe lo stesso successo di quello vero, ma era molto più bello da guardare: brillava come i braccialetti e le spille.


SOSTITUZIONE DEL DIGITALE AL NATURALE.

PROPAGANDA A FAVORE DELLA BELLEZZA DIGITALE


Cantò per trentatré volte sempre lo stesso pezzo e non era affatto stanco; la gente lo avrebbe ascoltato volentieri di nuovo, ma l'imperatore pensò che ora avrebbe dovuto cantare un po' l'usignolo vero... ma dov'era finito? Nessuno aveva notato che era volato dalla finestra aperta, verso il suo verde bosco.

«Guarda un po'!» esclamò l'imperatore; e tutta la corte si lamentò e dichiarò che l'usignolo era un animale molto ingrato. «Ma abbiamo l'uccello migliore!» dissero, e così l'uccello meccanico dovette cantare ancora e per la trentaquattresima volta sentirono la stessa melodia, ma non la conoscevano ancora completamente, perché era molto difficile, il maestro di musica lodò immensamente l'uccello e assicurò che era migliore di quello vero, non solo per il suo abbigliamento e i bellissimi diamanti, ma anche internamente.

«Perché, vedete, Signore e Signori, e prima di tutti Vostra Maestà Imperiale, con l'usignolo vero non si può mai prevedere quale sarà il suo canto; in questo uccello meccanico invece tutto è stabilito. Così è e non cambia! Ci si può rendere conto di come è fatto, lo si può aprire e si può capire come sono collocati i cilindri, come funzionano e come si muovono, uno dopo l'altro.»


BELLEZZA SOTTO CONTROLLO. NORMALIZZAZIONE DELLA BELLEZZA OVVERO NEGAZIONE DELLA BELLEZZA


«È proprio quello che penso anch'io!» esclamarono tutti, e il maestro di musica ottenne il permesso, la domenica successiva, di mostrare l'uccello al popolo. «Anche loro devono sentirlo cantare» disse l'imperatore, e così lo sentirono e si divertirono tantissimo, come si fossero ubriacati di tè, il che è una cosa prettamente cinese. Tutti esclamarono: "Oh!" e alzarono in aria il dito indice, che chiamano "leccapentole," e assentirono col capo. Ma i poveri pescatori che avevano sentito l'usignolo vero, dissero: «Canta bene, e assomiglia all'altro, ma manca qualcosa, anche se non so che cosa!».


ANCORA SAGGEZZA E LIBERTA’ DI GIUDIZIO POPOLARE


Il vero usignolo venne bandito da tutto l'impero.


SOSTITUZIONE E RIMOZIONE


L'uccello meccanico fu posto su un cuscino di seta vicino al letto dell'imperatore; tutti i regali che aveva ricevuto, oro e pietre preziose, gli furono messi intorno, e gli fu dato il titolo di "Cantore imperiale da comodino";



NATURA RIDOTTA A GADGET SOTTO CONTROLLO


nel protocollo fu messo al primo posto a sinistra, perché l'imperatore considerava quel lato più nobile, essendo il lato del cuore: e anche il cuore di un imperatore infatti sta a sinistra. Il maestro di musica scrisse venticinque volumi sull'uccello meccanico, molto eruditi e lunghi e espressi con le parole cinesi più diffìcili, che tutti dissero di aver letto e capito, perché altrimenti sarebbero parsi sciocchi e sarebbero stati picchiati sulla pancia.


ESOTERISMO DELLA TECNICA COME FORMA DI POTERE ESCLUDENTE



Passò così un anno intero; l'imperatore, la corte e tutti gli altri cinesi conoscevano ogni minimo suono della canzone dell'uccello meccanico, e proprio per questo pensavano che fosse così bella:


CONDIZIONAMENTO SOCIALE E COGNITIVO



infatti potevano cantarla anche loro, insieme all'uccello, e così facevano. I ragazzi di strada cantavano: «Zi zi zi! giù giù giù!» e lo stesso cantava l'imperatore. Era proprio bello!

Ma una sera, mentre l'uccello meccanico cantava meglio che poteva, e l'imperatore era a letto a ascoltarlo, si sentì svup!; nell'uccello era saltato qualcosa: trrrr! tutte le ruote girarono, e poi la musica si fermò.

L'imperatore balzò fuori dal letto e chiamò il suo medico, ma a che cosa poteva servire? Allora chiamò l'orologiaio che, dopo molti discorsi e visite, rimise in sesto in qualche modo l'uccello, ma disse che bisognava risparmiarlo il più possibile, perché aveva i congegni consumati e non era possibile metterne di nuovi senza rischiare di rovinare la musica. Fu un grande dolore! Si poteva far suonare l'uccello meccanico solo una volta l'anno, e con fatica, ma il maestro di musica tenne un discorso con parole difficili e disse che tutto era uguale a prima, e difatti tutto fu uguale a prima.


LIMITI DELLA TECNICA RISPETTO ALLA NATURA



Passarono cinque anni e tutto il paese ebbe un grande dolore perché in fondo tutti amavano il loro imperatore; e lui era malato e non sarebbe vissuto a lungo, si diceva; un nuovo imperatore era già stato scelto e il popolo si riuniva per la strada e chiedeva al luogotenente come stava il loro imperatore.

«P!» diceva lui scuotendo il capo.

L'imperatore stava pallido e gelido nel suo grande e meraviglioso letto. Tutta la corte lo credeva morto e tutti corsero a salutare il nuovo imperatore; i servitori uscirono per parlare dell'avvenimento e le cameriere s'erano trovate in compagnia per il caffè. In tutti i saloni e i corridoi erano stati messi a terra dei drappeggi, affinché non si sentisse camminare nessuno, e per questo motivo c'era silenzio, molto silenzio. Ma l'imperatore non era ancora morto; rigido e pallido stava nel suo bel letto con le lunghe tende di velluto e i pesanti fiocchi dorati. In alto c'era la finestra aperta e la luna illuminava l'imperatore e l'uccello meccanico.

Il povero imperatore non riusciva quasi a respirare, era come se avesse qualcosa sul petto; spalancò gli occhi e vide che la morte sedeva sul suo petto e s'era messa in testa la sua corona d'oro. In una mano teneva la spada d'oro e nell'altra una splendida insegna; tutt'intorno, dalle pieghe delle grandi tende di velluto del letto, comparivano strane teste, alcune orribili, altre molto dolci: erano tutte le azioni buone e cattive dell'imperatore, che lo guardavano, ora che la morte poggiava sul suo cuore.

«Ti ricordi?» sussurrarono una dopo l'altra. «Ti ricordi?» e gli raccontarono tante e tante cose che il sudore gli colava dalla fronte.

«Non l'ho mai saputo!» diceva l'imperatore. «Musica musica, il grande tamburo cinese!» gridava «per non sentire quello che dicono!»

Ma loro continuarono e la morte faceva di sì con la testa a tutto quello che veniva detto.

«Musica! Musica!» gridò l'imperatore. «Tu, piccolo uccello d'oro canta, forza, canta! Ti ho dato oro e oggetti preziosi, ti ho appeso personalmente la mia pantofola d'oro al collo, canta dunque, canta!»

Ma l'uccello stava zitto, non c'era nessuno che lo caricasse e quindi non poteva cantare.


L’OGGETTO TECNICO RESTA IN OGNI CASO DIPENDENTE DAL SOGGETTO UMANO

NON C’E’ COMUNE APPARTENENZA COME NELLA NATURA NATURANS DI SPINOZA.


La morte invece continuò a guardare l'imperatore con le sue enormi orbite cave, e stava in silenzio, in un silenzio spaventoso.

In quel momento si sentì vicino alla finestra un canto mirabile; era il piccolo usignolo vivo che stava seduto sul ramo lì fuori; aveva sentito delle sofferenze dell'imperatore e era accorso per infondergli col canto consolazione e speranza. Mentre lui cantava, quelle immagini diventavano sempre più tenui, il sangue si mise a scorrere con più forza nel debole corpo dell'imperatore, e la morte stessa si mise a ascoltare e disse: «Continua, piccolo usignolo, continua!».

«Solo se mi darai la bella spada d'oro, se mi darai quella ricca insegna, se mi darai la corona dell'imperatore!»

E la morte gli diede ogni cimelio in cambio di una canzone, e l'usignolo continuò a cantare, e cantò del tranquillo cimitero dove crescevano le rose bianche, dove l'albero di sambuco profumava e dove la fresca erbetta veniva innaffiata dalle lacrime dei sopravvissuti; allora la morte sentì nostalgia del suo giardino e volò via, come una fredda nebbia bianca, fuori dalla finestra.


NELLA NATURA NON C’E’ MORTE


«Grazie, grazie!» disse l'imperatore. «Piccolo uccello celeste, ti riconosco! Ti avevo bandito dal mio regno e ciò nonostante col tuo canto hai allontanato le cattive visioni dal mio letto, e hai scacciato la morte dal mio cuore. Come potrò ricompensarti?»

«Mi hai già ricompensato!» rispose l'usignolo. «Ho avuto le tue lacrime la prima volta che ho cantato per te, non lo dimenticherò mai! Questi sono i gioielli che fanno bene al cuore di chi canta! Ma adesso dormi e torna a essere forte e sano: io canterò per te.»


DONO


Cantò di nuovo, e l'imperatore cadde in un dolce sonno, in un sonno tranquillo e ristoratore.

Il sole entrava dalla finestra quando lui si svegliò, guarito e pieno di forza; nessuno dei suoi servitori era ancora tornato perché credevano che fosse morto, ma l'usignolo era ancora lì a cantare.

«Dovrai restare con me per sempre!» disse l'imperatore. «Canterai solo quando ne avrai voglia, e io farò in mille pezzi l'uccello meccanico.»

«Non farlo!» gridò l'usignolo. «Ha fatto tutto il bene che poteva. Conservalo come prima.


TECNICA ACCETTATA, COLLOCATA AL SUO POSTO


Io non posso vivere al castello, ma permettimi di venire quando ne ho voglia, allora ogni sera mi poserò su quel ramo vicino alla finestra e canterò per te, perché tu possa essere felice e riflettere un po'.


LIBERTA’ UMANA

COMPASSIONE, SIMPATIA

CANTO: NARRAZIONE E ORIGINE DELLA LETTERATURA


Ti canterò delle persone felici e di quelle che soffrono. Ti canterò del bene e del male intorno a te che ti viene tenuto nascosto. L'uccellino che canta vola ovunque, dal povero pescatore alla casa del contadino, da tutti quelli che sono lontani da te e dalla tua corte. Io amo il tuo cuore più della tua corona, anche se la corona ha qualcosa di sacro intorno a sé. Verrò a cantare per te! Ma mi devi promettere una cosa.»

«Qualunque cosa!» rispose l'imperatore, ritto negli abiti imperiali che aveva indossato da solo, la pesante spada d'oro sul cuore.

«Ti chiedo una sola cosa! Non raccontare a nessuno che hai un uccellino che ti riferisce tutto, così le cose andranno molto meglio!»


RELAZIONI SOCIALI VOLONTARIE DEPURATE DAL POTERE. NON POTRANNO MAI ESSERE SOSTITUITE DAI ‘DATI’


E l'usignolo volò via.

I servitori entrarono per vedere il loro imperatore morto; restarono impalati quando l'imperatore disse: «Buongiorno!».

lunedì 15 aprile 2024

L'essere-umani-nel- mondo e la sua sostituzione digitale. Una stringata sintesi dei mio pensiero a proposito di qualche concetto chiave

La Transizione Digitale conteneva una grande promessa: nuovi strumenti per essere più pienamente umani. Si è invece rivelata il punto di svolta di una svalutazione dell’umano. 

Al posto dell’umano essere-nel-mondo vengono proposti, o imposti, riduttivi surrogati digitali. Una cosa è la conoscenza, fondata sulla presenza e sull’osservazione. Ben altra cosa è l’informazione: un insieme di dati. 

I dati consistono in ciò che è stato rilevato da un sensore. I sensori sono povere imitazioni dei sensi dell’essere umano. 

L’esperienza umana, maturata tramite il corpo e il pensiero, è nuova attimo dopo attimo, sempre più aggiornata di ogni dato. 

Il calcolo, che in realtà non raggiunge mai l’esattezza che promette, non è che una delle possibili forme della narrazione.

Il documento è steso per narrare ciò che è accaduto e ciò che sta accadendo. Il modello è una chiave di lettura data a priori, che esclude parti di ciò che lo sguardo umano sa vedere qui ed ora. 

Non c’è motivo di negare valore alla computer science. Essa ha lo scopo di costruire e programmare macchine. Ciò che è criticabile è la sua duplice pretesa - che raggiunge il culmine con la cosiddetta ‘intelligenza artificiale’: - considerare buono ed auspicabile per noi umani ciò che è buono per macchine digitali. - proporre un sostituto digitale per ogni aspetto dell’umano essere-nel-mondo. 


 
Nota
Almeno ogni tanto, bisogna cercare di proporre sintesi stringate come questa. Certo poi si deve sperare che ci leggi non giudichi troppo stretta la sintesi. Prendete queste poche parole come suggestione, ma non  valutate il mio pensiero alla luce di questa sintesi. 
Si tratta di argomenti che tratto in modo disteso nei miei libri: Macchine per pensare. L'informatica come prosecuzione della filosofia con altri mezzi, 2016; Le Cinque Leggi Bronzee dell'Era Digitale. E perché conviene trasgredirle, 2020; Splendori e miserie delle intelligenze artificiali. Alla luce dell’umana esperienza, 2024. 
A proposito in particolare di una informatica o computer science basata sul documento, vi invito a leggere l'articolo Architetture civili.

I pappagalli sono (salvo eccezione) maschi

Non possiamo dimenticare il tweet di Sam Altman, CEO di Open AI, il 4 dicembre 2022, nei giorni del lancio di GPT3: «I am a stochastic parrot, and so r u», Sono un pappagallo stocastico, e anche tu lo sei.

Sarà capitato anche a voi, in quest'ultimo anno di assistere a presentazioni convegni che cantano le meraviglie di GPT. Avrete notato che non manca mai una frase, una slide, che recita: GPT NON E' UN PAPPAGALLO STOCASTICO. 

Tutti costoro si accodano ad Altman. Atto di fede, dichiarazione di appartenenza alla comunità degli addetti ai lavori, difesa del territorio e del mercato di fronte a chi aveva detto che il re è nudo: Emily Bender On the Dangers of Stochastic Parrots, l'articolo di Emily Bender (e di ricercatrici di Google che pagarono caro questo gesto) era uscito nel marzo del 2021, e metteva in luce in anticipo diversi aspetti critici di GPT. Ma sopratutto uno: I PAPPAGALLI SONO PERICOLOSI. 

GPT è un pappagallo, pronuncia parole di cui non conosce minimamente il senso. Dunque per noi umani credere che questi modelli linguistici siano effettivamente intelligenti significa svalutarsi, per corrispondere a ciò che il modello linguistico può fare. Come ho già scritto su questo blog, e come scrivo nel mio libro Splendori e miserie delle intelligenze artificiali. Alla luce dell'umana esperienza, Guerini e Associati, in libreria  nel maggio 2024, l'arrogante chiamata di Altman a negare per principio le critiche, vantandosi di essere pappagalli, è un atteggiamento tipicamente maschile. Di fronte alle promesse mirabolanti della cosiddetta 'intelligenza artificiale generativa', le donne sono più caute e dubbiose. In fin dei conti, loro sanno meglio dei maschi cosa vuol dire veramente 'generare' (ho argomentato in modo più approfondito a questo proposito nel mio libro Le Cinque Leggi Bronzee dell'Era Artificiale. E perché ci conviene trasgredirle, pp. 232-233).

venerdì 19 gennaio 2024

Il Test di Turing è un inganno

Bisogna innanzitutto ricordare che Turing parlava più modestamente imitation game, 'gioco dell'imitazione'. La definizione Test di Turing è data successivamente da seguaci più realisti del re, bisognosi di dare fondamenti autorevoli alla disciplina che si apprestavano a fondare : la Computer Science. 
Potremmo dire anche trucco o truffa, ma va bene dire inganno, perché Turing evocava questo gioco per ingannare sé stesso, per trovare conferme logiche ad un bisogno che nasceva dalla sua triste storia di vita: deluso da sé stesso e dagli umani, voleva sperare in macchine migliori degli umani. Il trucco consiste nell'imporre, al posto di ciò che nella vita che emerge e fluisce, un suo simulacro descritto in termini indiscutibili per via logico-formale. 
La sostituzione si svolge attraverso il processo che passo ora a descrivere. 
Si isola e si definisce astrattamente una competenza umana: l'intelligenza, il vedere, il sentire, il decidere. Potremmo dire in termini più sintetici: il pensare e l'agire. Potremmo dire in termini più analitici: ogni lavoro, ogni mestiere. 
Il primo passo consiste nell'isolare le competenze; rimuovendone le connessioni tra l'una e l'altra. Si sceglie poi di ignorare la complessità interna di ogni competenza, ed il mutare delle competenze con l'evolversi delle esperienze e delle relazioni tra esseri umani. 
A questo punto, si predispone, per ogni competenza, una definizione semplificata. 
Si costruiscono quindi macchine capaci di raggiungere un qualche livello di prestazione corrispondente a quella definizione. 
Il gioco è fatto: alla luce delle riduttive definizioni, il nostro pensare ed agire è considerato confrontabile con il funzionamento della macchina. 
Ultimo passaggio, il più grave: la prestazione della macchina è proposta esplicitamente, o subdolamente suggerita, come modello e parametro del pensare e dell'agire umano. 
Dove sta dunque l'inganno? 
A un primo livello sta nel fatto che ciò che è dimostrato vero all'interno di quella riduttiva descrizione formalizzata del mondo che è la computazione non è vero nel mondo abitato da noi umani. 
A un secondo livello sta nel fatto che si educano capziosamente gli umani a considerare mondo nel quale abitiamo le 'realtà artificiali', 'realtà aumentate', i 'metaversi': simulacri del mondo costruiti da Computer Scientist: nella progettazione di questi mondi costruiti ad hoc è facile impostare come requisito di partenza la comparabilità e la sostituibilità tra umani e macchine. 
Il fatto che una qualche macchina superi il Test di Turing, si dimostri cioè capace di comportarsi in modo adeguato a quanto previsto dalla definizione formale di una imitazione di una competenza umana, potrà certo interessare i Computer Scientist, ma non ha nessuna rilevanza per noi umani.

mercoledì 17 gennaio 2024

Dato. Attorno al significato della parola


Viviamo osservando cose, creando cose, scambiando cose, utilizzando cose. Eppure, delle cose abbiamo una percezione imprecisa. La cosa è, in fondo, inconoscibile. Possiamo intendere la filosofia come il tentativo di dire ‘cosa è la cosa’. Kant ci dice che -essendo la cosa inafferrabile attraverso l’esperienza ‘fisica’, nella vita quotidiana- dobbiamo spostarci di piano. Ciò che può essere conosciuto è solo descrizione della della cosa. 
Qui interviene l’informatica, che è prosecuzione della filosofia con altri mezzi. Se la cosa è inconoscibile, può essere però conosciuto il dato che la rappresenta. Come vuole Kant, il dato descrive la cosa attraverso linguaggi formalizzati. Allo sfuggirci della cosa, si risponde con la pretesa ‘certezza del dato’. 
Dobbiamo quindi spostare l’attenzione sul dato
Dato, non a caso, deriva da data
Il latino littera data sta per ‘lettera consegnata al messaggero’. La data, dunque, è l’attimo successivo a quello in cui ‘sto dando’; è l’attimo in cui posso dire: ‘ho dato’. In questo attimo posso affermare che la descrizione della cosa contenuta nella lettera -potremmo anche dire: nel codice- esiste, e che dunque essa è un dato
Lo spagnolo sposta l’attenzione. Invece di littera data, carta fecha, ‘carta fatta’, ‘lettera scritta’: la data è infatti in spagnolo la fecha. Si tratta di uno spostamento significativo dal punto di vista del lavoro: il momento chiave non è quello in cui scambio o consegno, bensì il momento in cui faccio. Ma anche nella situazione proposta dallo spagnolo, a ben guardare, restiamo sul piano della convenzione. Nessuno può dire con precisione quando ho finito di fare la cosa. 
Sia guardando al fare, sia guardando al dare, se io descrivessi la cosa un attimo prima o un attimo dopo, la descrizione sarebbe diversa. E dunque, la formalizzazione dell’informatica non ci salva. La cosa resta inconoscibile; la sua descrizione è sempre convenzionale. 
Non resta che chiederci su quali basi si fonda il dato, e cioè l convenzionale descrizione della cosa. Proprio di questo interrogativo ci parla, in fondo, la parola cosa. Il latino ci ricorda che cosa deriva da causa. La descrizione della cosa è quindi ‘decisa da un tribunale’. Il tedesco Ding e l’inglese thing ci propongono invece l’idea che la descrizione della cosa sia ‘decisa da un’assemblea’. Possiamo preferire l’autorità del giudice o l’autorità dell’assemblea. Ma in ogni caso il dato -la descrizione della cosa, alla cui certezza così tanto ci piace afferraci- non è che una sempre discutibile opinione.

(Voce tratta da Francesco Varanini, Le nuove parole del manager. 113 voci per capire l'impresa, Guerini e Associati, 2011).

Parlo del concetto di dato (e di cosa) in vari altri articoli pubblicati su questo blog. Tra gli altri: L'ambigua natura del dato; Dal concetti di 'dato' all'editoria del futuro (articolo riguardante un seminario tenuto all'Università di Pisa; Persona, cosa, sasso.

domenica 14 gennaio 2024

Persona, cosa, sasso

Qualcuno torna a dirci che siamo colpevoli di antropocentrismo. Ci ricorda che, in quanto persone, abusiamo dei nostri privilegi nei confronti delle cose. E che rimaniamo fissati su una concezione binaria, su due categorie mutuamente esclusive: persona o cosa.

Noi umani, si dice quindi, dobbiamo imparare a mettere in discussione i nostri privilegi, a sviluppare prospettive critiche sui nostri valori, e ad assumerci più pienamente le nostre responsabilità. Anche nei confronti delle cose.

Ma l'asino casca quando si sceglie il portavoce delle cose. Qualcuno sceglie come portavoce delle cose il robot. La responsabilità umana, attraverso questo corto circuito, finisce per consistere nell'affermare e difendere i diritti dei robot. 

Alla luce del pensiero che osserva il presente della tecnica, si capisce come venga in mente quest'esempio. Ma uno sguardo più ampio, aperto alla storia, potrebbe ugualmente contemplare i diritti della cosa-orologio, o della cosa-tornio. Se poi si prende in considerazione la vita sulla terra, potremo prendere in considerazione i diritti di un batterio, un’alga, una foglia o un gatto. Ma forse ancora più calzante è guardare a cose inanimate. Allontandoci radicalmente dall'antropocentrismo, potremo osservare, ed assumere come nostro impegno, i diritti di un sasso.

Miglior portavoce delle cose, più del robot, è un sasso. Un sasso ci parla, se sappiamo ascoltarlo.

Del resto, per decostruire l'opposizione binaria tra persone e cose, basterebbe tornare a leggere Spinoza.

E poi bisogna ricordare che prendendo a portavoce delle cose il robot, si occulta l'umana azione del costruttore di robot. E' troppo comodo -questo sì è abuso di un umano privilegio, manifestazione di un antropocentrismo deresponsabilizzante- il considerare il robot come frutto di una evoluzione tecnica che prescinde dall'agire umano. 

Si può anche affermare: il robot è figlio dell'antropocentrismo, perché è frutto di un gesto di potere umano, e perché simula o imita l'umano. Comporta quindi un rifiuto dell'alterità della cosa rispetto all'umano.

Il robot, a differenza di altre cose, non esisterebbe senza una azione consapevole di un qualche essere umano. Si torna quindi alla responsabilità dell'essere umano costruttore di macchine. Perché costruisco macchine? Quale macchina scelgo di costruire?

Se l'essere umano costruttore di macchine non si assume le proprie responsabilità, starà ad altri esseri umani assumersi responsabilità a nome suo.

I diritti del sasso, qui ed ora. 

(Nel mio libro Macchine per pensare. L'informatica come prosecuzione della filosofia con altri mezzi, 2016, avvicino questi argomenti  nella parte finale. Chi volesse, potrebbe partire da p. 257, dove sotto il titolo Il senso della cosa, inizio a scrivere: "Con lo sguardo dell'umano che non pretende di essere artefice, ma si assume il compito di custode dell'essere, possiamo tornare a osservare la macchina come ente tra gli enti, come cosa.").

(Su questo blog si trovano vari altri articoli riguardanti in concetto di cosa. Per un percorso di senso che attraversa questo blog, consiglio di iniziare dall'articolo: Dato. Attorno al significato della parola).

martedì 9 gennaio 2024

Algor-etica. Un concetto sgangherato ed equivoco. Una lettura critica

Paolo Benanti, professore straordinario della facoltà di Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana nominato il 5 gennaio 2024 Presidente della Commissione AI per l’Informazione del Governo italiano, pubblica su Formiche il 6 gennaio l'articolo Un nuovo rinascimento per l’IA, non a caso in Italia.

Qui propone una definizione del concetto di algor-etica - che a quanto pare continua ad essere il nucleo del suo pensiero e della sua azione politica. Una definizione aggiornata, che si sforza di tener conto di critiche portate al concetto stesso. 

Scrive Benanti: 

L’idea è di inserire dei guard rail etici alla macchina facendo riferimento all’algoretica, cioè un’etica computata dagli uomini ma che a questo punto diventi computabile dalle macchine stesse. Affiancare etica e tecnologia per un’intelligenza artificiale che ponga sempre al centro l’uomo e sia al servizio di un autentico sviluppo. 

L’idea è di inserire dei guard rail etici alla macchina

La metafora sembra poco precisa: i guard rail sembrerebbero più propriamente limiti, vincoli posti alla strada sulla quale la macchina sta viaggiando. L'etica è ridotta ad aggettivo. 

Si coglie comunque un presupposto: l'etica è qualcosa che può essere inteso come indipendente dalla persona umana, qualcosa di maneggevole e manipolabile. 

La definizione di cosa si intenda per etica è rimandata al prosieguo della frase.

facendo riferimento all’algoretica

Ecco la riduzione. Si stabilisce per via logico formale che all'etica può essere sostituita l'algoretica. Data la sostituzione, si assume che per definire l'etica basti definire l'algoretica.

cioè un’etica computata dagli uomini 

Si coglie l'intento di Benanti: rispondere a critiche che gli sono state rivolte. Benanti riconosce qui che l'algoretica, prima di essere un'etica della macchina, e nella macchina, è un'etica "degli uomini".

Non può però, e non vuole, dire ciò che andrebbe detto: l'etica è una competenza umana, esclusivamente umana.

L'aggettivo computata, poi, tradisce ancora la riduzione, e sostanzialmente finisce per affermare la disumanizzione dell'etica. Computabilità vuol dire: scrittura in un linguaggio adatto ad essere compreso dalla macchina. La computabilità, ricordiamolo, è una versione ridotta della calcolabilità. La calcolabilità, a sua volta, è rinuncia a tutto ciò che gli esseri umani sanno pensare e dire, ma sanno esprimere solo in forma narrativa, ed a ciò che gli esseri umani manifestano nelle loro azioni, pur essendo incapaci di esprimerlo a parole.

La precisazione appare scontata: se il codice è scritto in modo adeguato alla macchina che dovrà eseguire il codice, la macchina eseguirà il codice. 

Se Benanti sente il bisogno di esplicitare questo passaggio, è forse perché è consapevole di come i progettisti e gli sviluppatori di 'intelligenze artificiali', mirino oggi proprio a questo: permettere alle macchine di scrivere autonomamente il codice che le governa. Di fronte a questa possibilità l'algoretica non offre nessuna riposta o contromisura.

Affiancare etica e tecnologia

Affiancare? Possiamo forse considerare etica e tecnologia ambiti paralleli? Non dovrebbe venir prima l'etica della tecnologia? Non sarebbe opportuno parlare dell'etica dell'essere umano che computa e costruisce macchine?

Alla luce dell'appello all'affiancamento, i guard rail etici e l'etica computata si svelano come attrezzi di una accettazione passiva della tecnologia. Si accetta una tecnologia priva di etica. Si pretende poi di redimerla e di legittimarla attraverso una versione ridotta ed ancillare dell'etica: l'algoretica. 

per un’intelligenza artificiale che ponga sempre al centro l’uomo

Sarebbe opportuno che tutti coloro che giustificano forme diverse di cosiddetta intelligenza artificiale con l'affermazione 'l'uomo al centro' -Benanti non è certo il solo- definissero il concetto. 

Vogliono dire che il bene dell'essere umano consiste nell'essere oggetto dell'attenzione di un benefattore, umano o macchinico? Benanti o Yann LeCun o Elon Musk -e forse già oggi, o domani, una qualche 'intelligenza artificiale'- sono in grado di dire dove sta il bene dell'essere umano posto al centro della loro benevola attenzione?

La vuota espressione 'uomo al centro' permette di eludere la autentica presenza di ognuno. Non un ente astratto, ma io, tu, noi. Abitatori di una casa comune, ognuno portatore di un proprio contributo ed un proprio sguardo. 

Solo così si supera la comoda distinzione tra esperti -tra i quali Benanti si colloca- ed altri esseri umani,  ridotti ad utenti. 

e sia al servizio di un autentico sviluppo

Quale sviluppo? Sviluppo di chi, in quale direzione, a quale fine? L'aggettivo autentico non spiega. Restare nel vago significa accettare lo sviluppo che c'è. Senza discriminare tra una linea di sviluppo e un'altra. Senza accettare che possa esistere la necessità -alla luce dell'umana saggezza- di interrompere o bloccare una via di sviluppo. 

Quasi a dire: si accetta ogni sviluppo. Noi 'esperti', poi sapremo mettergli guard rail algoretici.

Il concetto di algoretica, insomma, resta impreciso, capzioso e pericoloso. La soluzione, in realtà, sarebbe semplice. Togliere il riferimento agli algoritmi, e parlare di etica tout court. O forse ancora meglio, parlare di responsabilità personale, dalla quale discenderanno azioni coerenti. 

Responsabilità personale del progettista o sviluppatore. Responsabilità personale del legislatore. Responsabilità personale del cittadino che sceglie se usare o non usare lo strumenti, sceglie come usarlo, sceglie di criticarlo o di bandirne lo sviluppo e l'uso.