sabato 18 luglio 2020

La Legge di Moore: mito fondativo o comoda scusa

Il testo che segue è un breve brano tratto dal mio libro Le Cinque Leggi Bronzee dell'Era Digitale E perché conviene trasgredirle, Guerini e Associati, in libreria dal 10 settembre 2020.

Il cavallo di battaglia di tutti coloro che non vogliono guardare ai difetti della macchina che c'è, e che ogni giorno ci è data da utilizzare, e preferiscono invece saltare in fosso, e immaginarsi già in un mondo dove umani e macchine pari sono, ed anzi il computer è modello per l'umano, è la cosiddetta Legge di Moore.
Gordon Moore, tecnico specializzato in fisica applicata, direttore di un centro di ricerca, scrive nell'aprile 1965 che il numero di transistor contenuti in un circuito integrato appoggiato su una piastrina di silicio raddoppia ogni 18 mesi. "Cramming more components onto integrated circuits", recita il titolo dell'articolo che appare sulla rivista Electronics.1 Il verbo to cram discende dalla stessa radice indoeuropea da cui anche il latino grex, gregge. Non si possono radunare più di tante pecore in un recinto. Ma ora il progressivo sviluppo nel campo delle nanotecnologie garantisce una crescente miniaturizzazione dei componenti. I limiti apparenti della fisica possono essere continuamente spostati.
Mosso da questa visione, nel '68 Moore è uno dei cofondatori di Intel, Integrated Electronics, che presto si affermerà come leader nel mercato della unità di elaborazione centrale, i supporti fisici, l'hardware sul quale si appoggia la potenza di calcolo dei Personal Computer. Nel 1975, in vista del decennio successivo, Moore rivede la sua previsione, affermando che la potenza si raddoppierà ogni due anni. Potenza crescente a costi decrescenti. Su questa promessa di abbondanza si fondano le pretese certezze dell'Era Digitale.

La miniaturizzazione dei transistor che compongono i circuiti integrati in silicio si avvicina forse ad un limite invalicabile. Ma resterebbe comunque aperta a quel punto la via del Cloud, e della moltiplicazione delle macchine che lavorano in parallelo.
Si aggiunge una nuova via, che promette un salto in avanti nella potenza di calcolo disponibile: i computer quantistici. Basta qui dire che su questa frontiera si muovono, lontano dai riflettori della cultura digitale raccontata ai cittadini, non solo IBM, Google, Microsoft, Intel, ma anche -in un gioco geopolitico gravido di conseguenze- la NASA (National Aeronautics and Space Administration), negli Stati Uniti, così come centri di ricerca cinesi e russi.
Così, in un modo o in un altro, nel presente e nel futuro, si considera il fatto che disporremo di una sempre maggiore potenza, di una sempre maggiore velocità di calcolo come una sorta di Legge della nuova Natura Digitale.

Se prendiamo per buono questo trend, dovremmo anche ammettere che siamo di fronte alla più
Già nel 2000 Jaron Lanier, programmatore finissimo, ma anche musicista, osservava questo fideistico affidamento alla provvidenziale Legge di Moore. Scriveva: “i computer diventano sempre più veloci, ma non per questo ci mostriamo capaci di scrivere software migliore”. “Il software dei nostri computer continua a deludere”. Questa, diceva Lanier, è la Great Shame of computer science, Grande Vergogna dell'Informatica.2
Vent'anni dopo, avendo nell'orecchio le parole di Computer Scientist, imprenditori e guru e filosofi del digitale, il giudizio merita di essere ripreso. Se c'è una cosa sulla quale si trovano d'accordo questi apologisti del nuovo mondo, è il collocare i propri ragionamenti in un rassicurante contesto: viviamo su un tappeto mobile -la situazione determinata dalla Legge di Moore- che per nostra fortuna ci trascina in avanti. L'abbondanza di risorse, di potenza di calcolo, sempre crescente, giustifica i nostri errori presenti, e garantisce comunque un mirabolante futuro. Qualsiasi presentazione al popolo delle meraviglie dell'Era Digitale inizia con una slide: la curva che rappresenta la Legge di Moore sale verso il cielo.
“Che ci importa di una comprensione razionale quando invece si può contare su un feticcio?”, scrive Lanier commentando questo atteggiamento. “Il feticizzare la legge di Moore seduce i ricercatori all'autocompiacimento”. “Se si ha dalla propria parte una forza esponenziale, sicuramente si sarà all'altezza di qualsiasi sfida”.

Lanier richiama alla realtà, all'immediata concretezza e e alla responsabilità: facile nascondere magagne e difetti del codice che scriviamo quando si dispone di potenza di calcolo sempre maggiore. Finisce per importar poco la scelta del linguaggio, e la cura stessa con la quale il codice viene scritto.
Scrivendo nel 2000, Lanier non disconosceva i progressi visibili nella scrittura del codice: ricordava come esempi di significativi risultati raggiunti i software di riconoscimento vocale e di traduzione da una lingua naturale all'altra. Oggi, vent'anni dopo, possiamo notare che i risultati raggiunti in questi campi sono dovuti alla capacità di calcolo fornita dai supporti fisici, all'hardware via via più potente, molto più che alla qualità del codice.
Anzi, si deve notare un fenomeno inverso: buona parte della nuova potenza di calcolo via via disponibile è assorbita dal software, senza che ssi notino miglioramenti nelle prestazioni del software.
Le parole di Lanier sono chiare ed incisive: “c'è una legge inversa di Moore osservabile nel software: man mano che i processori diventano più veloci e la memoria diventa più economica, il software utilizza comunque tutte le risorse disponibili, diventando più lento e più gonfio”.

Basta ricordare l'esperienza di ogni cittadino. Ogni nuovo computer -o smartphone- che compriamo dispone di memoria e di potenza di calcolo notevolmente superiore alla macchina che possedevamo prima. Ma non notiamo nessun miglioramento nelle prestazioni.
Ogni cittadino ha ben presente il fastidioso modo di funzionare dei programmi di uso quotidiano, per esempio, Microsoft Word. Ogni nuova versione occupa più spazio in memoria. Ogni nuova versione di un programma fa rimpiangere la precedente: la nuova è più macchinosa, più lenta; costringe a cambiare abitudini, contiene nuove funzione inutili, mentre sono state eliminate possibilità d'azione che l'utente trovava utilissime. “La distanza tra i computer ideali che immaginiamo nei nostri esperimenti di pensiero e i veri computer che sappiamo offrire al mondo non potrebbe essere più amara”, nota Lanier.

1Gordon E. Moore [Director, Research and Development Laboratories, Fairchild Semiconductor division of Fairchild Camera and Instrument Corp.], "Cramming more components onto integrated circuits", Electronics, Volume 38, Number 8, April 19, 1965. https://newsroom.intel.com/wp-content/uploads/sites/11/2018/05/moores-law-electronics.pdf
2Jaron Lanier, “One Half a Manifesto”, con commenti di George Dyson, Freeman Dyson. Cliff Barney, Bruce Sterling, Rod Brooks, Henry Warwick, Kevin Kelly, Margaret Wertheim, John Baez, Lee Smolin, Stewart Brand, Rod Brooks, Lee Smolin, Daniel C. Dennett, Philip W. Anderson, Ray Kurtzweil, Edge, 10 novembre, 2000, https://www.edge.org/conversation/jaron_lanier-one-half-a-manifesto.