È urgente occuparcene. Una educazione civica digitale. O forse meglio: un’educazione esistenziale per l’era digitale. O potremmo dire anche: una educazione ad essere umani nell’Era Digitale.
La saggezza umana, quel pensiero che ci accompagna dalle origini, e che ogni cultura porta nel proprio cuore, quel monito ci dice: cerca te stesso, cerca il Sé. Cerca di essere il più pienamente possibile consapevole del tuo essere, del tuo agire nel mondo. Responsabile di fronte a te stesso, alla comunità umana, all'ambiente ecologico e sociale cui appartieni. Ma nell'Era Digitale si spalanca una via di fuga: affidati alla macchina. Un algoritmo ti dirà cosa fare, una Intelligenza Artificiale ti guiderà, ti assisterà, ti proteggerà. In questo nuovo scenario la ricerca del Sé non è più motivata.
Se questo punto di vista vi pare troppo filosofico, o astratto, guardiamo la questione dal punto di vista politico. Da un lato sta un'élite del potere. A questa élite appartengono, accanto alla classe politica in senso stretto ed a chi è dedito ad operazioni di finanza speculativa, i tecnici digitali - coloro che disegnano strumenti e piattaforme, scrivono algoritmi, progettano varie forme di Intelligenza Artificiale. Dall'altro stanno i cittadini, esposti al rischio di diventare sempre più succubi, sudditi soggetti a leggi veicolate via software, ridotti a utenti.
Si parla della necessità di diffondere, nel nostro paese e nel mondo, la cultura STEM. E' una fondata esigenza. E' una fondata esigenza. Diffondere la cultura STEM significa portare tra i ricercatori, scienziati e tecnici, sempre in maggior misura esponenti di gruppi sociali diversi, più donne, persone di culture e origini etniche diverse. Più che cultura STEM dovremmo dire: culture STEM. Le discipline scientifiche e tecniche, sempre più specializzate, verticale, perdono di vista l'insieme, la complessità. Non si può più parlare a rigore di computer science o di informatica: le specializzazioni sono tante e tali che gli addetti ai lavori poco o nulla sanno al di fuori della propria specializzazione: si conosce un solo strato di codice, si pratica chiusi all'interno del proprio campo di ricerca. Espressioni-ombrello come 'Intelligenza Artificiale' sono pericolose per questo: gli 'esperti' che ne parlano conoscono una ridotta parte del campo. Nella formazione STEM la vista d'insieme, e quel pensiero che può orientare al dubbio e alla cautela sono assenti.
La formazione STEM dunque non basta. Più cresce la cultura STEM più appare evidente l'esigenza di un bilanciamento.
Educazione civica digitale
Dobbiamo dunque ragionare attorno a cosa serve insegnare nelle scuole di ogni ordine e grado, consapevoli che lì si formano i futuri cittadini, ed anche i futuri tecnici e scienziati: educazione civica digitale. Potremmo forse dire meglio: educazione civica per il tempo digitale. Un tempo in cui si scivola passo dopo passo verso l'equiparare macchine ed esseri umani - finendo così per considerare che l'apprendimento umano e l'apprendimento della macchina non siano che due varianti di uno stesso modello.
Come mostro nel libro Le Cinque Leggi Bronzee dell'Era Digitale, si finisce per proporre agli esseri umani, tramite piattaforme e app, le modalità di apprendimento che si sono rivelate buone per le macchine. Ignorando il senso stesso del latino ad-prehendere: avvicinarsi alla preda, acciuffare, andare a caccia. Di fronte all'acquisita capacità delle macchine di apprendere, dovremo quindi rivalutare gli umanissimi modi di insegnare e di ricevere insegnamento. Per coltivare la nostra umanità.
Si immagina l'insegnamento erogato, nei modi e con gli approfondimenti di caso in caso adeguati, ad ogni livello della formazione scolastica pre-universitaria.
Ecco dunque una proposta; la possibile traccia degli argomenti chiave.
Storia della tecnica
La storia della vita in senso lato, della vita sulla terra, la storia conosciuta da noi essere umano, non inizia nell'Anno Duemila. Può sembrare paradossale ricordarlo. Ma ogni avvicinamento alla cultura digitale, alle opportunità che porta con sé, ma anche alle minacce ed ai rischi che comporta, inizia con il nuovo secolo. Magari qualcuno risale qualche anno più indietro, a quando Negroponte pubblica Being Digital. Magari qualcun altro risale agli articoli fondativi di Alan Turing, 1936 e 1950. Ma manca in ogni caso la prospettiva, la profondità, l'attenzione ai tempi lunghi della storia.
Servirà dunque una Storia della tecnica. Dove la tecnica appare come attività umana legata alle epoche e alle culture. E dove il senso della techne greca è illustrato tenendo ben presente la traduzione latina ars. Che ci fa intendere la tecnica come arte, ma ci ricorda anche che la tecnica è sempre connessa agli arti, al corpo umano. Mente e corpo concorrono a creare strumenti. Servirà anche ben spiegare la differenza tra tecnica e tecnologia. Dove tecnologia , parola coniata alla metà del 1800, tesa a significare un uso della tecnica al sevizio di progetti industriali, orientati ad uno scopo di profitto. Non tutta la tecnica si riduce a tecnologia. La tecnologia non è la versione più evoluta della tecnica.
Buone storie di strumenti digitali pensati da esseri umani per essere più umani
Si è arrivati oggi a dare per scontata la necessità di trovare un interfacciamento, una convivenza, o magari una simbiosi tra esseri umani e macchine. Dove le macchine sono sempre più autonome rispetto agli esseri umani.
Ma dobbiamo affrontare di petto la questione. Stiamo parlando di formazione degli esseri umani. Scopo di questa formazione non dovrà essere l'abituare a convivere con la macchina. E' giusto che sia scopo della formazione la preparazione ad essere sempre più pienamente umani. Non certo perché si consideri l'essere umano superiore ad altri esseri viventi, ma solo perché noi stessi, io che scrivo e voi che leggete, siamo esseri umani che formano sé stessi.
Dunque sarà virtuoso andare a cercare, nella storia dell'informatica e della computer science, narrazioni esemplari di come si possa intendere una macchina pensata per accompagnare l'essere umano nell'essere più pienamente sé stesso.
Tre personaggi, tre storie di vita, sembrano esemplari.
Vannevar Bush nel 1945 anticipa e rovescia la domanda che si pone Alan Turing nel 1950. Turing, nell'articolo Computer Machinery and Intelligence, si chiede: Can machines think?, possono le macchine pensare? Ed anzi precisa: spero che presto le macchine possano pensare, meglio degli esseri umani ed al posto degli esseri umani. Bush ignora la domanda e la rovescia in una affermazione, già esplicitata nel titolo: As We May Think. Come possiamo pensare noi esseri umani se supportati da strumenti che ci supportano nel ragionare, nel ricordare, nel connettere tra di loro fonti.
Doug Engelbart, nel settembre del '45 legge l'articolo di Bush sulla rivista Life. Il Giappone si è ormai arreso, Doug, studente in ingegneria, è radiotelegrafista nelle isole Filippine. Doug promette a sé stesso, e in fondo a tutti noi esseri umani: costruirò la macchina immaginata da Bush. Verso la fine del 1968 presenta ad una platea stupita di informatici e computer scientist e informatici quello che è a tutti gli effetti il prototipo del personal computer.
Ted Nelson, poco più che ventenne, in quegli stessi Anni Sessanta immagina e sviluppa i primi prototipi di quel sistema che oggi conosciamo come World Wide Web. E' mosso dalla propria cultura umanistica, letteraria. Immagina una letteratura non chiusa in pagine e libri, ma aperta: una rete che connette ogni testo ad ogni altro, ogni parola ad ogni altra. Ed è mosso anche da una lessico medico e psichiatrico definisce ADD: Attention Deficit Disorder. Nelson si rifiuta di considerare il proprio modo di essere difettoso, malato, e così immagina una macchina che lo accompagni nell'essere sé stesso, trasformando l'apparente difetto in virtù. Da singolari equilibri di mente e di corpo, da eccentrici modi di pensare e di costruire conoscenza considerati dalla ‘scienza normale’ pericolose sindromi, nasce dunque quel computing che espande l’area della personale coscienza. Tutti noi oggi siamo arricchiti dalla possibilità di pensare muovendoci in una sterminata rete di connessioni, liberati dalla gabbia di un unico ordine, di una sequenza, di una gerarchia.
Le tre funzioni del codice
Ad ogni cittadino è offerto un insegnamento elementare. Saper scrivere e saper leggere, è il modo per partecipare alla scrittura delle leggi che reggono la partecipazione del cittadino alla cosa pubblica. E’ il modo per conoscere le leggi che siamo chiamati a rispettare. E’ il modo per partecipare alla vita sociale e politica.
Ma oggi tutto ciò che conta è scritto in un codice digitale, in una ‘lingua’ che solo tecnici specialisti conoscono, e che è invece inaccessibile ai cittadini. Si tratta, oltretutto, di una lingua progettata per essere letta da macchine, e non da esseri umani.
Così al cittadino è negata anche la possibilità di controllare ciò che è scritto nel codice. E risulta impossibile distinguere se a parlare all’essere umano è un essere umano o una macchina.
Appare di scarsa o nulla utilità un insegnamento di base di uno dei tanti linguaggi di programmazione. Il primo passo per rendere percepibile la pericolosa situazione sta invece nello studio del concetto di codice. A partire dalla sua triplice funzione. Il codice è innanzitutto un supporto - sia si tratti di una tavoletta di cera, di un foglio di carta, o una piastrina di silicio. Il codice è un sistema di segni, un linguaggio di scrittura. Il codice è un testo scritto tramite un linguaggio sul supporto.
Così, alla luce di una riflessione del triplice mostrarsi del codice, potrà essere proposta la riflessione su sul codice digitale: una lingua pensata rivolgersi a macchine è infine imposta come nuova, più evoluta lingua, agli stessi esseri umani.
La discontinuità digitale
Di fronte all'insistente propaganda dell'innovazione, del progresso, della crescita esponenziale, dell'hype, serve -come bilanciamento e chiave di lettura- una attenzione alla storia. Serve saper vedere la storia di lungo periodo, per smitizzare apparenti novità, e serve anche consuetudine con la storia centrata sugli eventi, per cogliere le vere discontinuità.
In particolare, appare necessario soffermarsi su una discontinuità. E' una novità del Ventesimo Secolo il progetto di sostituire in toto l'essere umano con una macchina. Macchine progettate per pensare al posto degli esseri umani. Macchine progettate per prendere il posto degli esseri umani in ogni lavoro.
Un programma di educazione civica digitale rivolto agli esseri umani non potrà ignorare questa novità. Siamo infatti di fronte ad un bivio. O preparare gli esseri umani a convivere, a interfacciarsi, a entrare in simbiosi con macchine, algoritmi, Intelligenze Artificiali. O preparare gli esseri umani ad essere più pienamente sé stessi, consapevoli della propria storia, e allo stesso tempo delle proprie potenzialità. Timidezze o ambiguità nella scelta tra le due opzioni rendono vana l'educazione. In questo programma si opta per la seconda via.
Tre vie per essere cittadini oggi
Di fronte alle novità e agli interrogativi che le nuove tecnologie impongono a noi esseri umani, possiamo individuare atteggiamenti necessari. L'educazione civica digitale dovrà preparare ad assumere questa posizione.
Non rinviare nel tempo
Ci dobbiamo preparare ad evitare la più comoda, ma anche la più grave ed irresponsabile, delle vie di fuga.
Non si può ignorare la presenza di ricerche riguardanti temi critici, come -per fare solo due esempi- la sostituzione di ogni lavoro umano o le armi autonome dotate di Intelligenza Artificiale.
E' facile dire: sì, esistono potenziali rischi e problemi, ma non sono così imminenti. E' facile dire: ce ne occuperemo a tempo debito. O peggio dire: se ne occuperanno i nostri nipoti.
Meschina appare l'opinione di chi si consola rinviando nel tempo la questione, considerando che gli effetti più perversi si manifesteranno solo in tempi futuri. Ingenuo e disinformato chi minimizza.
Evitare la sottrazione incrociata
Scienziati e tecnici si sottraggono dal farsi carico dei possibili usi di ciò sperimentano e sviluppo dicendo: a noi compete ricercare e innovare, delle conseguenze dei nuovi ritrovati si deve occupare la politica. Il cittadino si sottrae dicendo a sé stesso: non posso capire, non sono all'altezza. C'è sempre qualcun altro che deve occuparsene; con il risultato che non se ne occupa nessuno.
La responsabilità sociale e l'azione politica nascono sempre dal non rifiutare di assumersi responsabilità personali. Dovremo quindi evitare una seconda via di fuga, consistente nell'attribuire la responsabilità ad un soggetto diverso da noi stessi, quale che sia il nostro ruolo.
Non nascondere il male dietro il bene
Di fronte ad ogni novità tecnologica si potrà sempre facilmente dire: questo ritrovato serve a salvare vite umane. Così è, per fare solo due esempi, per le automobili a guida autonoma come per la connessione tra cervello umano e computer tramite nanofili di silicio.
Dovremo apprendere, tramite l'educazione civica digitale, ad evitare anche questa via di fuga. Chi sostiene che il ritrovato tecnologico è utile a salvare vite umane, sta nascondendo a sé stesso e agli altri che quello stesso ritrovato comporta anche, e spesso in maggior misura, il rischio di danni gravissimi non solo agli esseri umani, ma in senso lato a ciò che chiamiamo 'vita' e 'natura'.
L'educazione civica digitale dovrà quindi fare appello non tanto alla ragione o all'intelligenza, ma a quella umana attitudine che chiamiamo saggezza.
Questo articolo è stato pubblicato su Agenda Digitale il 22 aprile 2021 con il titolo Educazione civica digitale: cosa insegnare e perché è necessaria. Qui l'articolo.