giovedì 14 gennaio 2021

Per una Critica della Politica Digitale

Il mio libro Le Cinque Leggi Bronzee dell'Era Digitale. E perché conviene trasgredirle (Guerini e Associati, 2020) può essere inteso come una Critica della politica digitale. Per mettere a fuoco l'argomento, basta guardare a eventi che si svolgono nei giorni in cui scrivo questo post. 
A Washington assalto al Campidoglio. Amazon decide con atto unilaterale di non offrire più spazio al social network Parlor, reo di aver ospitato i messaggi e pubblicato i video dei facinorosi che hanno assaltato il Campidoglio. 
Amazon, però, in quanto società privata, difende le proprie informazioni. Nello svelarle e nel renderle pubbliche, più dell’FBI, si rivelano efficaci gli hackers. 
L'affermazione della giustizia e la difesa dei diritti è in mano a Amazon. 
Che spazio resta per lo Stato nell'Era Digitale? Dove sta la Cosa Pubblica, l’Istituzione nella quale ci riconosciamo tutti come cittadini, dotati di uguali diritti e doveri? Quale valore hanno le leggi stabilite dalla fonte autentica, i cittadini stessi, tramite i Parlamenti? Quale spazio resta per la pubblica erogazione di giustizia? 
Questi argomenti, che sono tema di sei incontri online organizzati presso la Casa della Cultura di Milano, primo incontro 21 gennaio 2020 ore 18, possono essere articolati per punti come segue. 

0. Per una critica della politica digitale 
Guru del nuovo tempo insistono nel presentare ai cittadini la novità digitale mettendo in luce il bello e il buono di una nuova era di abbondanza. Sul versante opposto, critici spesso privi di reali conoscenze delle tecnologie muovono critiche ingenue o preconcette. Il cittadino da un lato è portato a fidarsi ciecamente, dall’altro a diffidare per principio. Le narrazioni di un tipo e dell’altro si oppongono. Ma ogni voce, di un tipo o dell’altro, sembra infine ricordare a noi cittadini la nostra ignoranza, e quindi la nostra incapacità di capire. L’innovazione appare come fatale manifestazione di Leggi di Natura, incontrastabile. Si pone così la necessità di una nuova riflessione sul libero arbitrio, sulla libertà, sui diritti civili e politici. Serve dunque ricollocare la novità nella storia, e smascherare il linguaggio tecnico, per tornare ad una lettura politica. Serve dire di come oggi -e sempre più, a quanto sembra, negli anni a venire- strumenti, macchine e piattaforme digitali appaiono dispositivi orientati al controllo sociale, macchine per governare a scapito dei diritti civili. Solo alla luce di una lucida critica si potranno individuare e rendere attivi, sul terreno digitale, nuovi spazi di democrazia e di partecipazione. E solo così si potranno individuare vie che evitino il tradursi della ricerca scientifica e tecnologia in fonte di disuguaglianza sociale. L’avvento di macchine sempre più potenti ed autonome, infatti, può essere accettato e vissuto con fiducia. Purché la presenza della macchina sia intesa come stimolo che spinga ad apprezzare, per differenza, la nostra umanità; ed a scoprire modi nuovi di essere cittadini attivi, saggi e responsabili. 

1. Linguaggi umani e codici digitali come mezzi di partecipazione e di governo 
Ad ogni cittadino è offerto un insegnamento elementare, che è la base sulla quale si erige la democrazia: l’alfabetizzazione. Saper scrivere e saper leggere, è il modo per partecipare alla scrittura delle leggi che reggono lo Stato democratico. E’ il modo per conoscere le leggi che siamo chiamati a rispettare. E’ il modo per partecipare alla vita sociale e politica. 
Ma oggi tutto ciò che conta è scritto in un codice digitale, in una ‘lingua’ che solo tecnici specialisti conoscono, e che è invece inaccessibile ai cittadini. Si tratta, oltretutto, di una lingua progettata per essere letta da macchine, e non da esseri umani. Questa lingua pensata rivolgersi a macchine è infine imposta come nuova, più evoluta lingua, agli stessi esseri umani. 
Così al cittadino è negata anche la possibilità di controllare ciò che è scritto nel codice. E risulta impossibile distinguere se a parlare all’essere umano è un essere umano o una macchina. Di fronte a tutto questo serve una nuova alfabetizzazione.

2. La Legge di Moore: speranza di abbondanza o darwinismo volgare 
La tecnica consiste nel progressivo trasferimento di capacità dagli esseri umani a macchine. Con l’avvento delle tecnologie digitali la rapidità del trasferimento si incrementa a dismisura. Ma la tecnologia digitale comporta qualcosa di più: la macchina digitale appare sempre più autonoma dall’essere umano, e finisce per contrapporsi all’essere umano. 
La fonte dell’autonomia della macchina sta nella sua capacità di calcolo. Il trionfo della novità digitale trova la sua manifestazione nella cosiddetta Legge di Moore: la crescita esponenziale della potenza di calcolo dei computer. 
I limiti stessi delle capacità di progettazione dei tecnici sarebbero resi sempre meno rilevanti dall’incremento della capacità di calcolo. Fino al punto in cui, secondo alcuni, la macchine prenderebbe il posto dell’essere umano in quanto specie a suo modo vivente. 
La storia, dunque, sarebbe, in epoca digitale, determinata, trascinata in avanti dalla potenza di calcolo delle macchine. Il progresso senza crisi ed il trionfo dell’abbondanza sarebbero così garantiti. Si tratta, però, di un darwinismo volgare. La storia della vita non si svolge come crescita esponenziale; si svolge per errori, catastrofi, crisi. 
C’è motivo di pensare che l’affidamento alla Legge di Moore costituisca una fuga dalla responsabilità filosofica e politica – ed una rinunciataria concessione di autorità ai tecnici digitali. La ragione può spingere gli umani ad affidarsi alla macchina. Ma la saggezza e consapevolezza portano a non affidarsi ciecamente alla tecnica. 

3. L’innovazione tecnico-scientifica e la trasformazione delle élites 
L’Era Digitale è la stagione in cui si concretizzano i progetti dell’Illuminismo. La Rivoluzione Scientifica e Tecnica alimenta la Rivoluzione Industriale. Il tecnico entra a far parte dell’élite. 
Nei tempi digitali si assiste ad un ulteriore passaggio: ogni campo della scienza e della tecnica, così come ogni azione politica richiede l’uso di macchine digitali. Qualsiasi altra componente dell’élite, quindi, dipende dai computer scientist e dai tecnici digitali: solo essi progettano le macchine e conoscono veramente le macchine tramite le quali l’élite esercita il proprio potere. 
Assistiamo dunque a una duplice evoluzione. Scienza e tecnica appaiono sempre più come progettazione di nuova vita e di nuovi mondi. Scienziati e tecnici si allontanano dal loro essere cittadini. 
La libertà di ricerca che ogni scienziato ed ogni ricercatore merita rischia così di separarsi dalla responsabilità del cittadino, e dalla sua partecipazione alla cura della cosa pubblica. 

4. La forma Stato nell’Era Digitale: democrazie o democrature 
Nell’era digitale scienziati e tecnici si fanno tecnocrati. La tradizionale figura del suddito, inevitabilmente subordinato al sovrano, si manifesta nell’Era Digitale nella figura dell’utente di programmi, di servizi, di piattaforme. 
L’utente gode solo dei diritti che il tecnico programmatore gli concede. Gli utenti costituiscono una massa, un popolo. 
Ogni componente del popolo è descritto secondo indicatori definiti dai tecnici, ma è sostanzialmente privo di individualità e di autonomia. Così la democrazia formale, svuotata di sostanza, si trasforma in democratura. Esempio finale: la tecnocrazia cinese. 

5. Fondamenti della cittadinanza digitale 
La storia dell’informatica vede ciclicamente l’emergere di progetti che attribuiscono al cittadino autonomia nelle scelte e nella produzione di conoscenza. Basta citare il World Wide Web e Blockchain. 
Ma presto l’innovazione tecnica tesa alla partecipazione sociale si rovescia nel suo contrario: le élite si appropriano dei progetti, ripristinandovi l’orientamento alla sudditanza ed al controllo. 
Si vanifica così la promessa delle democrazie rappresentative fondate du una costituzione votata dai cittadini. L’utente di servizi prefabbricati è la nuova incarnazione del suddito. I fondamenti di una cittadinanza digitale restano da progettare. 

6. Politiche per il lavoro umano 
Si può intendere il lavoro come massima manifestazione dell'essere umano. Lavoro nel senso di azione consapevole e responsabile. 
Di fronte a macchine -Intelligenze Artificiali, algoritmi, robot, fabbriche automatiche- capaci di sostituire il toto il lavoro degli esseri umani, non basta più parlare di ‘politiche del lavoro’: si deve parlare di politiche per il lavoro umano. Il lavoro non è per l’essere umano solo cessione di tempo o conoscenze in cambio di una remunerazione. Il lavoro è esperienza vitale. Dunque anche quando il lavoro sia svolto da macchine autonome indipendenti dagli esseri umani, ed anche quando ad ognuno sia garantito un salario sociale, in quanto esseri umani dovremo interrogarci ancora in merito al lavoro. Il tempo liberato dovrà essere colmato di impegni che evitino all’essere umano la passività del mero consumatore, l’inanità. Ciò che chiamiamo hobby o attività svolta per diletto, è in realtà lavoro. Sembra dunque opportuno cercare nuovi ‘patti per il lavoro umano’. Nei patti dovranno essere necessariamente coinvolti i tecnici progettisti delle macchine. Perché deve in ogni caso essere chiara la responsabilità di esseri umani che progettano la sostituzione di esseri umani con macchine.

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