Umberto Eco, McLuhan, De Kerckhove, Castells. Tutti rinomati per il loro sguardo contemporaneo, per la loro capacità di cogliere discontinuità nel panorama dei media, per la loro disponibilità a considerare con attenzione le 'nuove tecnologie'.
Ma anche quando ci descrivono l'andare oltre la chiusura del testo, oltre i limiti della stampa, quando ci parlano di soggetti che sono al tempo stesso autori e lettori, quando ci parlano di intelligenze collettive e di lavoro collaborativo, quando osservano il Web, la Rete, restano legati alle idee di comunicazione e di informazione. Cioè a due concetti che non vedono la conoscenza emergente dalla fonte, dalla mente, ma vedono invece un messaggio viaggiante attraverso mass media. Chiave di lettura del mondo 'idealistica': la conoscenza, così intesa, è ciò che l'osservatore autorevole, ciò che l'interprete legittimato -a partire da regole che si pretendono 'oggettive'- battezza come non-rumore, non-ridondanza.
In questa ottica, la conoscenza esiste se, e solo se il bruto segnale che viaggia lungo il canale -l'informazione secondo Shannon- è ritenuto significativo dall'interprete, dal Gatekeeper.
E la comunicazione non si discosta da ciò che intendeva il latino ecclesiastico, a partire da Sant'Agostino: altari communicare, 'rendere comune', 'far conoscere', il 'far sapere', riferito a 'idee', 'sentimenti' e anche e sopratutto alla 'propria scienza'. Dunque la mia scienza dipende dalla mediazione del sacerdote, dell'altare e della Chiesa. Qui lavora già, pienamente, il Gatekeeper.
Insomma, Eco, McLuhan, De Kerckhove, Castells, tardi epigoni laici di una concezione sacerdotale della conoscenza, impongono il primato del mezzo. Poiché è sul mezzo che può essere esercitato il controllo, questi scienziati, così, finiscono per vendere una merce scientifica che ha mercato proprio perché permette il controllo e legittima il controllo.
Coerentemente con questo orientamento loro opere -non a caso scritte in un fastidioso linguaggio che impone soggezione- contengono insegnamenti: latino insĭgnare, 'imprimere segni nella mente'. Tendono a imporci un modo di leggere il mondo che abbiamo sotto gli occhi. Più è nuovo questo mondo, più il Web e i computer intesi come macchine per pensare offrono spazi e strumenti per costruire conoscenza fuori dal controllo dei Gatekeeper, più i Gatekeeper dovranno imporci una 'scienza' che neghi questa libertà.
Ben diversamente Ong -che pure una lettura scolastica vorrebbe appartenente alla stessa scuola di McLuhan- guarda all'origine della parola: la parola orale è sempre 'emergente', prende senso durante l'evento, nella situazione. Ben diversamente Illich guarda sempre oltre oltre, a monte e a valle della mediazione esercitata dai grandi sitemi organizzativi. Ben diversi Maturana e Varela ci invitano ad accogliere lo sguardo sul suo intorno del ser vivo, l'essere vivente che esperisce, fa esperienza. Per l'essere vivente teso a costruire la conoscenza adeguata alla propria storia, ai propri scopi e alla situazione, il Gatekeepeer è un disturbo, non un aiutante.
Potremmo dire che mentre Eco, McLuhan, De Kerckhove, Castells, e tanti altri come loro, insegnano, Ong e Illich e Maturana e Varela narrano e portano alla luce narrazioni. Parlano di cosa succede nel mentre si costruisce conoscenza. E' conoscenza ciò che si acquisisce di fronte al fenomeno ('mostrarsi', 'apparire'), nell'esperimento (latino experiri: 'provare', 'sperimentare'), durante l'evento (latino eventus da evenire, 'accadere', 'riuscire').
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