Mi ricapita sotto gli occhi per caso questo testo scritto nel 2007. Mi pare pertinente ai temi che tratto in questo blog.
Un equivoco inquina le riflessioni sulla proprietà intellettuale.
Chiamiamo 'diritto d'autore' la stratificazione di due diversi diritti: diritto d'autore in senso stretto e diritto di copia. (La dizione italiana sottolinea un aspetto, la dizione inglese –copyright- sottolinea l’altro, cosicché l’equivoco risulta ingigantito).
Il diritto d’autore è un diritto morale. La persona ha il diritto di fare, della propria opera, ciò che vuole. Può diffonderla gratuitamente, può venderla sul mercato. Ritengo questo diritto inalienabile. Ma per difenderlo, in fondo, non c'è bisogno né di norme, né di editori.
Cervantes, di fronte ad un autore che approfitta del successo del Don Quijote e ne pubblica una seconda parte, si rimbocca le maniche e scrive -all’inizio di malavoglia- la sua seconda parte. Dimostrando di essere più bravo difende al contempo la sua opera e la sua immagine.
Accanto a Cervantes, i Grateful Dead. Il gruppo rock californiano, già negli anni degli hippy, permetteva che durante i concerti venissero registrati bootleg. La circolazione di incisioni 'private' accresce la notorietà, e quindi la partecipazione ai concerti futuri. E forse non danneggia nemmeno la vendita dei dischi portati sul mercato dalla casa discografica (che comunque resta libera di proporre al gruppo il contratto che ritiene più equo).
Trovo affermato qui un principio: l'autore sa che la valorizzazione dell'opera non passa solo e necessariamente attraverso l'editore.
Il diritto di copia è tutt'altra cosa. L'editore, avendo sopportato i costi della riproduzione e della diffusione, chiede regole che garantiscano il ritorno dell’investimento. La protezione legale, dunque, riguarda la difesa del diritto di un editore -colui che ha sottoscritto un accordo con l'autore- rispetto ad altri editori. L'autore è innocente, e non c'entra per nulla.
Negli ultimi decenni, però, le cose sono cambiate radicalmente. Riprodurre non è più così costoso, la mediazione di tecnici specialisti non è più indispensabile, l'autore può raggiungere i lettori in molti modi diversi. Ma sopratutto, oggi l'editore non può garantire il controllo: non è in grado di impedire che vengano fatte fotocopie, o che il testo sia diffuso via Web.
In questo scenario, che vede l'autore disporre di un vasto ventaglio di possibilità, il futuro mi pare stia in un patto diverso. Non più cessione di diritti, ma partnership tra il creatore dell’opera e editore, dove l'autore mette in gioco l'opera e l'editore la conoscenza di un canale, di un mercato, e il suo marchio, che aggiunge valore.
Altre riflesssioni su questi temi, che mi vengono ora, in mente si trovano su Bloom, qui, qui e qui.
martedì 14 dicembre 2010
Il diritto d'autore ed il diritto di copia
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Questo post non è attuale. L'industria editoriale sta inventandosi il modo di rinforzare il copyright. L'iPad, i tablet e Adobe Air sono nati per questo. Soprattutto, però, questo post non considera un punto fondamentale: ogni produttore deve essere lasciato libero di mettere a disposizione i propri contenuti sotto ogni forma di diritto d'autore. Non si capisce lo scandalo se, ad esempio, un giornale vieta la riproduzione gratuita di propri contenuti, cosa che ha messo in crisi l'industria. Queste argomentazioni, sinceramente, oltre ad essere vecchie, sono vuote in quanto mancano di un ancoraggio alla realtà che è questo: scrivere è un mestiere difficile che va fatto a tempo pieno. Se nessuno paga, se le risorse non provengono da nessuna parte, il gioco si rompe ed addio industria editoriale. E' contro questo scoglio che si sta infrangendo buona parte della 'novelle vague' che ha imperversato in Rete dall'inizio del decennio fino a qualche mesetto fa.
RispondiEliminaHi thankks for posting this
RispondiElimina