Anch’io sono su Facebook, e mi dirà qualcuno che legge se per coerenza dovrei togliermi di lì.
Ma i motivi per criticare questa piattaforma sono tali e tanti che non si può star zitti. Fa impressione la miope accondiscendenza con la quale accettiamo la sostituzione del World Wide Web con questo simulacro. Fa impressione la piaggeria con la quale ci accodiamo gli uni agli altri, aprendo pagine personali ed aziendali in questo luogo chiuso, negatore già in origine della liberà digitale. Fa impressione la passività con la quale, pur di essere presenti lì, accettiamo vincoli umilianti – fino a cedere i diritti di ciò che è nostro a chi governa quel sottomondo.
Fa impressione notare come non si colga la differenza tra la galassia Google e questa ridicola gabbia. E' giusto vedere in Google una minaccia, per come Google è in grado di sapere di noi, e tracciare i nostri comportamenti. Ma almeno, tutto ciò che Google propone, ogni luogo ed ogni strumento, si fonda sui protocolli Internet, e sulle raccomandazioni che governano il World Wide Web. Ogni dato può essere connesso ad ogni altro dato, dentro e fuori dal perimetro di ciò che Google ci offre. Google, al di là di tutto, sta nel World Wide Web, che è un luogo pubblico e in fondo democratico, fondato su regole in buona misura trasparenti e condivise.
Google accetta l’idea dei Commons, anzi la sostiene. Ognuno può contribuire alla creazione di risorse condivise, le mie conoscenze sono anche le tue, la mia rete è anche la tua. Puristi criticano giustamente Google per l’imperfezione con la quale rispetta i fondamenti del Web Semantico, “a common framework that allows data to be shared and reused across application, enterprise, and community boundaries”. Ma se Google rispetta le regole della condivisione in modo parziale, Facebook se ne frega del tutto. Facebook pretende di sostituirsi al World Wide Web. Ci impone un suo codice, e impone le regole in base alle quali ognuno deve sottostare. Impone ad ognuno il proprio framework, consapevolmente impedisce che i dati siano “shared and reused across application, enterprise, and community boundaries”.
Dispiace, dicevo, osservare la piaggeria, la disponibilità alla sudditanza, l'atteggiamento remissivo di operatori di imprese, attori di vario tipo, società di consulenza, anche di origine universitaria, che spingono ad utilizzare Facebook, proponendolo anche in ambiti aziendali.
Guarda caso sono gli stessi che spingono con tutte le loro forze sul pedale dell’iPad. Chiaro il disegno. Con l’iPad si pretende di sostituire il World Wide Web in un mondo chiuso tramite le limitazioni del browser, e quindi tramite la trasformazione di liberi accessi via Web in applicazione controllate. Con Facebook, parallelamente, secondo braccio della stessa strategia a tenaglia, si pretende di sostituire il World Wide Web con una sua versione stupida e povera. Dove il ‘cittadino digitale’ è di nuovo ridotto ad utente.
Per applicazioni importanti e difficili, così, ognuno dovrà ricorre ai soliti esperti che ci dicono cosa fare, come fare, e ci fanno pagare per darci, a fronte di un nostro bisogno, un qualche aggeggio costruito in modo tale da assoggettarci al controllo. Per chi si occupa da professionista di informatica, il solito dispetto nei confronti degli strumenti che fanno venir meno la loro necessaria mediazione; il solito tentativo di rendere banale ciò che le persone possono fare da sole; il solito tentativo di ripristinare il loro controllo ed il loro necessario intervento.
E così tutti noi, eccoci a giochicchiare con Facebook, sprecando così il tempo che potremmo dedicare a navigare nel vasto mare del Web; rinunciando anche a quel po’ di costruttiva fatica necessaria per mettere in piedi un proprio blog. Eccoci qui a subire l’aspettativa di coloro a cui fa comodo che ce ne stiamo buoni buoni dentro Facebook. Fa comodo che si stia lì a cazzeggiare, a mettere lì la fotina accompagnata da qualche tag, a dire cosa mi passa per la mente ora, a dire due parole sull'ultimo libro letto o il film visto.
Non ci fa onore, sopratutto, limitarci a dire mi piace o non mi piace. Non siamo nati per essere follower. La Rete ci libera dall'essere gregari. Ma Facebook ci ricaccia in uno spazio chiuso, predeterminato, uniformato, livellato in basso.
Il mettere le nostre piccolo cose lì dove e come Facebook ci concede di metterle, è costruire conoscenza? In parte sì. Non disprezziamo nulla. Prendiamo quello che c'è di buono anche in Facebook, d'accordo. Facebook, si dice, ha contribuito alle recenti rivoluzioni democratiche in Nord Africa.
Meglio Facebook che nulla. Eppure Facebook resta la caricatura di ciò che un 'social network' potrebbe essere. La responsabilità, come sempre, è nostra. Di noi che anche di fronte a strumenti che ci permettono di 'stare al centro', preferiamo per pigrizia il ruolo di seguaci.
Il successo universale non è motivo sufficiente per dar valore a una cosa. I libri che vendono di più non sono sempre i migliori. Le piattaforme Web più diffuse non sono per questo le più utili, le più libere, le più etiche.
Confrontate Facebook con Ushahidi. Da un lato un mondo-giocattolo, dove tutti siamo ridotti alla misera apparente libertà che può avere il povero Truman Burbank chiuso nel suo universo di cartapesta, ognuno di noi ridotto a vivere in un Truman Show. Dall’altro il vero mondo abitato da uomini liberi, che si auto-organizzano per offrirsi reciprocamente, tramite reti sociali, i servizi che gli Stati e le organizzazioni pubbliche e private non sanno, o non voglio offrire.
Non a caso, a guidare i due progetti, da un lato ragazzi viziati, arroganti, cresciuti nei falsi miti dell’Occidente, tesi a nient’altro che a guadagnare senza limite vile denaro. Dall’altro kenioti e ugandesi, uomini e donne che hanno studiato a costo di enormi sacrifici, che hanno toccato con mano la povertà ed i veri bisogni.
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Sono sostanzialmente d'accordo con tutto quello che scrive. Però, facebook funziona. Il suo successo è dovuto a diversi motivi, prima di tutto la semplicità di utilizzo ma non soltanto; strumenti di interazione che già erano nati all'interno delle blog communities o altrove, ad es. su anobii.com, in grado di associare utenti con interessi comuni, hanno trovato una integrazione perfetta. Le persone, anche su internet, "vanno" dove trovano altre persone e dove sono loro stesse più facilmente visibili; la bellezza dell'esplorazione e della condivisione libere, e l'approfondimento di un blog serio, non sono alla portata di tutti; facebook ha successo perché per certi versi fornisce agli utenti quello che cercano. Certo, non vorrei che tutto il web venisse inglobato da facebook. Anzi, vado a cercare informazioni su Ushahidi, visto che non ne avevo mai sentito parlare!
RispondiEliminaConsiglio di leggere a puntate quel che sta accadendo a me a causa di facebook.
RispondiEliminaConsulta:
http://divorcedbook.blogspot.com
Sono d'accordo con lei su FB su tutta la linea e da qualche tempo ormai ho la tentazione di scollegarmi, anche se ancora non l'ho fatto perché, confesso, non è così facile staccarsi da una realtà divenuta quotidiana, anche se, come giustamente fa notare, limitata, controllata, ingabbiata, al punto che fa rabbia.
RispondiEliminaDevo spezzare una lancia però a favore del social network in questione riguardo ad una cosa accaduta in questi giorni.
Come si è saputo dai giornali c'è stata una pesante alluvione all'Isola d'Elba, in particolare nel mio paese, Marina di Campo. Prima ancora che l'Ansa battesse la notizia o qualsiasi altro quotidiano (in rete) ne parlasse, io, che comunque ero qui a Pisa, sapevo già tutto. Alle 9/10 del mattino, già qualcuno aveva postato le foto su fb con il proprio cellulare (la corrente, la rete e i telefoni fissi non funzionavano), durante la mattinata ho potuto avvertire i miei parenti di misure di emergenza prese dal comune in tempo reale, dove loro non avevano modo di comunicare con l'esterno se non con il cellulare, appunto. Si è, nei giorni successivi, creata una rete di comunicazione tra le persone colpite, le istituzioni e i centri di primo soccorso soprattutto grazie ai messaggi che rimbalzano su facebook e su un altro blog di elbani. Ad esempio, in tempo reale io so che al centro di coordinamento dei volontari mancano, per dire, le tute da lavoro, giro il messaggio sulla mia bacheca di fb e informo un numero crescente di persone di questa necessità, che alcuni provvederanno a soddisfare. In questo caso la potenza del mezzo, derivata innanzitutto, dalla potenza della rete, di internet, e data dal numero di persone che frequentano questo contenitore (perché altro non è), è stata fenomenale, più veloce e di qualsiasi altro mezzo di comunicazione nel diffondere importanti informazioni. Ovviamente sarebbe potuto succedere su qualsiasi altro social network più "etico", da google+ in poi, ma in questo caso la forza di FB è stata nella presenza effettiva delle persone, ed è stato, per una volta usato in un modo che apprezzo. Purtroppo è così, facebook funziona perché in Europa/Italia, è arrivato prima, perché facebook ce l'hanno tutti, perché un messaggio su facebook lo leggono tutti, una sorta di standard de facto, scelto tra l'altro, tra le opzioni peggiori. Google+ (cito uno per fare un esempio, ma potrei dire Diaspora o altri) è sicuramente più apprezzabile dal punto di vista della correttezza, ma nessuno lo ha usato in questo frangente perché effettivamente il messaggio non sarebbe arrivato.
Tutte molto interessanti le vostre osservazioni, ma resta un nodo cruciale di FB che nessuno prende mai in considerazione: in osservanza alle normative attuali di FB è vietato aggiungere ai propri contatti soggetti che non si conoscano di persona ed ogni volta che un contatto viene aggiunto alla propria lista di "amici" si avvalla e conferma di averne conoscenza diretta. In questo modo, in realtà viene meno il concetto di "social network" con il quale siamo abituati a considerare questa piattaforma che quindi esprime in questo modo la propria avversione alla libera circolazione di informazioni, immagini, pensieri e quant'altro noi siamo attualmente predisposti a pensare: gli unici soggetti con cui possiamo avere scambi ed interazioni, quindi rimangono i familiari, i colleghi e gli "amici" intesi come conoscenze reali.
RispondiEliminaSerenella Sassi (mi firmo perchè ho partecipato in qualità di utente anonimo)