lunedì 14 novembre 2011

'Codice', 'documento' e altre parole

Tra i diversi frutti del lavoro di cui lascio traccia in questo blog, voci come le due che potete leggere di seguito. Le due voci, come numerose altre di argomento informatico -computer, dato, memoria, digitale, ecc.- fanno parte di Nuove parole del manager, 113 voci per capire l'azienda, Guerini e Associati, in libreria da metà novembre 2011.

Codice
Il codice passa nel tempo dal designare il 'libro manoscritto' ad essere il 'corpo organico di leggi'. Ma in origine sta l'immagine di un supporto fisico: una 'corteccia' sulla quale -tramite un adatto strumento appuntito, e poi strumenti via via più evoluti: pennelli, penne- possono essere vergati segni. E' interessante notare come il libro appaia un affinamento della generale idea di codice. Caudex è il ceppo dell'albero. Liber è la 'pellicola che sta sotto la scorza dell'albero'.
La sintetica idea del supporto nasconde il fatto che il codice risponde a tre diverse funzioni.
E' la base materiale che -liberando da questo compito la memoria umana- garantisce la conservazione della conoscenza: artefatto dove la materia prima è trasformata in rotolo, in tavoletta di cera, in insieme di fogli rilegati.
E' un sistema strutturato di segni -alfabeto, grammatica, sintassi- che svincola la forma dal contenuto, permettendo di narrare qualsiasi storia, mentendola costante e rendendola accessibile -attraverso il doppio processo di codifica: scrittura , e di decodifica: lettura-.
E' una singola storia, narrazione, porzione omogenea di conoscenza: ogni codice è un testo, una rete di segni che rappresenta un singola storia, diversa da ogni altra.
Le tre diverse funzioni, sovrapposte nel mondo libresco, ci appaiono chiare solo nel dominio dell'informatica, perché qui sono nettamente separate. Accade così che in questo nuovo dominio il codice, la codifica e la decodifica assumano un nuovo senso.
Abbiamo innanzitutto i diversi supporti utilizzati come memoria fisica: il chip, piastrina di silicio adeguatamente trattata; il disco magnetico; il disco laser. Su questo supporto qualsiasi narrazione è conservata sotto forma di dati digitali. Codificare è scrivere sulla memoria. Decodificare è leggere dalla memoria.
Abbiamo poi ciò che oggi, nel dominio dell'informatica, è più propriamente detto codice: i sistemi strutturati di segni, che chiamiamo linguaggi di programmazione; e tutto ciò che attraverso questi linguaggi è scritto.
Abbiamo, infine, i singoli programmi, ovvero le storie narrate attraverso i linguaggi di programmazione.
Ciò che distingue in special modo il codice 'libresco' dal codice ‘digitale’, è la stratificazione. Non c'è un solo strato di segni appoggiato -in modo più o meno indelebile- su un supporto -il foglio-. C'è invece una serie di strati di codice. Strati più bassi, destinati ad essere 'letti' -decodificati, interpretati- dalla macchina -l'hardware del computer-. Strati intermedi di codice che colloquiano tra di loro. Strati superiori destinatati ad interagire con l'uomo.

Documento
Il tedesco Schriftstück ci impone in modo chiaro e duro il senso del ‘documento’. Associa infatti lo Schrift, la ‘scrittura’ -intesa come segno certo e indelebile- allo stück, ‘pezzo’, oggetto materiale. E’ l’idea del codice, del libro, del testo, ‘pezzi’ di conoscenza chiusa e indiscutibile.
Il pezzo -frutto del fare a pezzi- discende dalla radice indeuropea steud, ‘battere’, ‘colpire’. Da cui anche il latino studere. E quindi: studio, studiare, studente. Studere: applicazione severa e faticosa
Viene in mente il giovane Vittorio Alfieri che si trova nella “dura necessità” di “retrocedere, e per così dire, rimbambire” per studiare daccapo la grammatica. Vengono in mente i “sette anni di studio matto e disperatissimo” del giovane Giacomo Leopardi.
Il discente studia la dottrina sotto la guida di un docente, e comunque basandosi su documenti scritti. L’apprendimento richiede docilità e disciplina. Studiare è leggere con diligenza, con attenzione minuziosa, documenti. Dottore, dottrina, discepolo, docile, disciplina: espressioni che rimandano ai verbi latini discere ‘imparare e docere ‘insegnare’ (che corrisponde al greco didasko), tutti risalenti alla radice indeuropea dek: ‘apprendere’, ‘ricevere mentale’.
Il documentum, oggetto dell’azione consistente nel docere, è ‘insegnamento’, ‘ammaestramento’ ma anche ‘prova’, ‘testimonianza’, ‘ammonimento’
Ammonimento era in latino monimentum, o monumentum, dal verbo monere: ‘ricordare’, e quindi ‘far ricordare’. Qui la radice indeuropea è men, da cui memento, monito, commento, menzione
menzogna. E musa, museo, musica, mente.
Alla luce di questa vasta e importantissima area di senso, i limiti del documento, pur utile e anzi necessario, ci appaiono evidenti. Attraverso i pur necessari ed utili documenti la conoscenza chi appare spezzettata, frantumata, limitata dai confini dei singoli ‘pezzi’. Della possibile conoscenza, è accessibile solo ciò che è contenuto in un oggetto distinguibile da ogni altro. Il documento è dotato di una sua fisicità.
Di fronte alla conoscenza che ci è oggi proposta dal World Wide Web - esistente a prescindere dal supporto cartaceo, materiale che al momento abbiamo in mano, sfuggente, priva di evidenti confini, sempre in fieri, sempre riconfigurabile al di là di ordini e gerarchie,-, di fronte alla conoscenza così intesa, il documento ci appare certo rassicurante, ma anche obsoleto, non più centrale.
Mentre docere ci parla di come afferrarsi alla conoscenza che c’è già, monere ci parla del processo di generazione di conoscenza, sempre vivo nella mente.

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