L'informatica è umanistica
di Francesco Varanini
Informatica Umanistica o Digital Humanities? Da molte parti sento dire che l'espressione 'informatica umanistica' è orrenda, e che non esiste motivo per non adottare l'espressione inglese, che oltretutto porta con sé un richiamo esplicito alla comune, e per molti definitiva, affermazione del 'digitale' come parola chiave indispensabile per definire la cultura nella quale ci si vuole considerare definitivamente immersi.
Dietro la facile parola 'digitale' continuano però ad aleggiare, lo si voglia o no, altre due espressioni, ben più portatrici di senso: computazione e informatica. Il 'digitale', in effetti, non è che la lettura pop della computazione e dell'informatica.
Ben venga quindi una dizione -informatica umanistica- che mantiene vivo il senso di una storia e che è espressa in lingua italiana. Non è questo il luogo per guardare alle differenze sottili tra 'informatica' e 'computer science'. Basta qui ricordare che i Dipartimenti delle nostre Università si chiamano Dipartimenti di Informatica.
Mi pare anche che in italiano risalti meglio l'ossimoro, l'accostamento di concetti in apparenza tra loro contrari, la giustapposizione di due in apparenza opposti avvicinamenti alla conoscenza. Da un lato l'Informatica, la Computer Science, nuova disciplina. Dall'altro l'Umanistica: l'arte, la letteratura, le scienze umane.
Appare dunque evidente l'ampiezza di senso che alberga nella definizione - e quindi nel campo di studi che la definizione descrive. Come possono stare insieme informatica e umanistica? Come si contraddicono a vicenda, oppure come si imbricano, come contaminano e interlacciano le due aree disciplinari? Cercherò di rispondere mostrando perché 'informatica' e 'umanistica' debbano stare insieme. Non possano che stare insieme.
E' inevitabile iniziare dicendo che l'Informatica Umanistica -o Digital Humanities- designa comunemente un ambito banale. L'informatica umanistica, si dice, si dedica a predisporre strumenti informatici per cultori delle discipline umanistiche: hardware e software ad uso editoriale, di biblioteche e musei; supporti informatici per ricerche storiche, linguistiche, o filologiche. Oppure si pone l'accento sulla divulgazione della conoscenza attraverso media informatici. O ancora si guarda alla codifica digitale di testi prima appoggiati su supporti cartacei; e in genere alla codifica digitale di parole, suoni, immagini.
Se invece prendiamo buono quel luogo, quel confine sfumato che sta tra l'Informatica e l'Umanistica, possiamo avventurarci a proporre un primo tentativo di definizione: l'informatica umanistica è il regno della transdiciplinarità.
Ma la transdisciplinarità è un'arte difficile da praticare.
Basta un esempio. Un concetto fondante dell'informatica è l'organizzazione dei dati sotto forma di albero gerarchico. E' buona cosa cercare di illustrare questa organizzazione logica attraverso analogie attinte dal vasto campo umanistico. Le scelte però finiscono per cozzare con i limiti, forse inevitabili, del quadro di conoscenze dello studioso.
Siccome in una edizione italiana del romanzo di Gabriel García Márquez Cien años de soledad l'editore ha aggiunto al testo, ad inizio libro, un albero genealogico della famiglia Buendía, si prende questo albero genealogico come riferimento tramite il quale mostrare le virtù generali e quindi le applicazioni tecniche dell'hierarchical tree.
Non si può certo pretendere che un docente di informatica sia particolarmente ferrato in temi storico-letterari, critico-letterari o filologici. Ma si dà il fatto che l'albero genealogico della famiglia protagonista del romanzo sia una aggiunta estemporanea del redattore italiano di una singola edizione. L'albero genealogico non compare in nessuna edizione in lingua originale, e tanto meno nella prima edizione dell'opera. Si dà anche il fatto che l'esposizione dell'albero genealogico contraddice le intenzioni dell'autore e la proposta che l'autore rivolge al lettore. García Márquez, al contrario, propone lettore di perdersi in una narrazione dove la sequenza storica, temporale, lineare degli eventi è assente; invita il lettore a rinunciare all'ordine rappresentato dalla gerarchia dei puri passaggi generazionali, e ad immergersi invece nella complessità: tornano gli stessi nomi di battesimo, la figura del nonno si ritrova negli atteggiamenti del nipote, gli antenati sono presenti qui ed ora... Se il romanzo ci offre metafore -e ce le offre- certo non ci parla di gerarchia, ci parla semmai di rete, o della massa di Big Data, aperti alle più differenti connessioni, compresi in un LLM.
Così, la buona intenzione si trasforma in un cattivo servizio.
Altri romanzi avrebbero certo fornito un miglior esempio di hierarchical system. Ma va anche detto che, al di là della letteratura, e dell'inesistente albero di García Márquez, le analogie pertinenti non sono poi così difficili da trovare.
Si sarebbe potuto ricorrere alle rappresentazioni grafiche delle strutture elementari delle parentele offerte dall'antropologia culturale. Ma sopratutto si può ricordare l'esempio principe di rappresentazione sistematica di conoscenze fondata sulla struttura ad albero: il Systema Naturae per Regna Tria Naturae, secundum classes, ordines, genera, species, cum characteribus, differentiis, synonymis, locis di Linneo. Nelle tavole di Linneo troviamo, già pienamente implementate, il hierarchical tree articolato in classi e sottoclassi, il file system, il modello dei dati.
Seguendo Linneo, si può oltretutto ricostruire il percorso che porta a Goethe. Goethe provava un enorme ammirazione per il quadro generale generale e sistematico, universale, proposto da Linneo.
Ma poi, anche sotto l'influenza straniante della lettura di Spinoza, un giorno, nell'orto botanico di Padova, osservando dal vivo un albero, Goethe ha una illuminazione: si rende conto della necessaria esistenza di una differente rappresentazione. La rappresentazione di Linneo è una Gestalt, una struttura ordinata dove ogni cosa sta in un posto formalmente descritto. Esiste un'altra possibile, anzi: necessaria rappresentazione: la Bildung: la forma formante, la forma che sta prendendo forma in questo istante, la forma emergente.
Se è possibile cercare il senso della computer science attraverso per la via della Gestalt, altrettanto può dirsi della via della Bildung.
Ricordando gli aspetti riduttivi e inconsistenti del richiamo approssimativo ad autore e ad una opera letteraria, non si vuole certo gettare la croce addosso a qualcuno. Si vuole solo far presente che molto difficilmente l'auspicato approccio transdisciplinare può essere oggetto di un singolo insegnamento, e molto difficilmente può essere praticato da un singolo docente.
La domanda che si pone è dunque questa: come cercare la transdisciplinarità. Come metterla in campo, come insegnarla.
Verosimilmente, la transdisciplinarità può emergere dal tenere aperto il ventaglio degli argomenti, al di là dei confini disciplinari. E cioè, in università, la transdiciplinarità è il frutto dell'ampiezza degli sguardi disciplinari accolti nei piani di studi.
Scrivo questo avendo in mente la personale esperienza. Ho partecipato più di vent'anni, presso l'Università di Pisa, al decollo del primo -e credo ancora unico- corso di laurea triennale in Informatica Umanistica. Si trattava di un corso Interfacoltà. Era bellissimo vedere lavorare insieme docenti cultori di discipline diversissime, e quindi anche incapaci di intendere l'uno il saper dell'altro. Tutti contribuivano ad una sintesi, o meglio in una apertura, in una disponibilità alla complessità, che si formava e andava crescendo nella mente degli studenti.
Spero che questi stringati accenni siano sufficienti per mostrare come l'informatica umanistica possa offrire un servizio di grande importanza: collocare i concetti, i costrutti che sono il pane quotidiano dei cultori dell'informatica e della computer science nel quadro storico e culturale nel quale i concetti e costrutti stessi sono stati generati e si sono evoluti.
Collocare il pensiero informatico e computazione nel vasto, aperto contesto della storia delle idee significa offrire la via per avvicinarsi alla più profonda e sfumata conoscenza della propria disciplina, al più consapevole dominio dei ferri del mestiere.
E' forse necessaria una precisazione: non si tratta di cercare, lungo una via già molto percorsa, ma foriera di vari fraintendimenti, un incontro tra due culture, la cultura 'umanistica' e cultura 'scientifica' (di cui la computer science fa parte), intese come campi nativamente distinti. Si tratta invece di considerare la scienza stessa (e quindi la computer science) un'arte umana, una specifica via verso la conoscenza, come lo sono la letteratura o la musica.
Accade oggi che i corsi di laurea di Digital Humanities siano incardinati nel quadro di Dipartimenti di taglio umanistico. E che siano concepiti come preparazione a coprire ruoli dove la competenza informatica necessaria è limitata ad elementi basilari e semplificati. Andando per esempi: dall'esperto di biblioteconomia all'esperto di Search Engine Optimization.
Il modo di intendere l'Informatica Umanistica che sto esponendo trova invece collocazione all'interno dei Dipartimenti di Informatica. Perché un certo senso l'Informatica Umanistica che qui propongo può anzi essere intesa la miglior formazione per qualunque professione nel campo della computer science: sia si tratti di impieghi di ambito aziendale, sia di carriere nel campo dell'accademia e della ricerca.
Infatti serve una solida preparazione in meritò ai fondamenti matematica, alla calcolabilità e alla computazione, algoritmi, programmazione... Ma è anche evidente la rapida evoluzione delle tecnologie: ciò che conta è essere preparati a coglierne gli aspetti essenziali e ad apprendere rapidamente. A questo fine, una preparazione umanistica è sicuramente un fattore efficace, un importantissimo acceleratore.
Si può infine ricordare che l'informatica umanistica fornisce un antidoto al comune modo di intendere la figura del computer scientist. Si dice che il computer scientist è impegnato ad interagire con due 'agenti': l'utente e la macchina. L'informatica umanistica riporta con i piedi per terra: il protagonista di questa storia è uno solo: l'essere umano. Nessun essere umano si merita di essere ritenuto passivo 'utente'. L'essere umano che costruisce macchine destinate ad essere usate da altri esseri umani merita una formazione che gli ricorda la sua appartenenza all'umanità. L'essere umano che costruisce strumenti per accompagnare gli esseri umani nella loro ricerca di conoscenza, merita una formazione aperta alla complessità dei processi di costruzione di conoscenza.
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