Un accademico, ordinario di Computer Science recentemente uscito di ruolo per età, si presenta ora su Linkedin come 'etico informatico'. Ha scritto sull'Avvenire un articolo commemorativo nel settantesimo anniversario della morte di Alan Turing 7 giugno 1954. Qui l'articolo.
Riporto qui il commento all'articolo che ho proposto su Linkedin.
Se seguiamo Turing quando dice: "presumibilmente il comportamento intelligente consiste in un allontanamento dal comportamento completamente disciplinato del calcolo"", dobbiamo dedurne che nessuna macchina fondata sulla computazione può essere 'intelligente', perché la computazione è esattamente un procedimento completamente disciplinato dal calcolo. Anzi, Turing ci impone una ulteriore riduzione, un ulteriore allontanamento dall''intelligenza' definita come sopra, dato che la computabilità è per definizione più strettamente disciplinata della calcolabilità.
Turing lo sapeva! Infatti tutto il suo ragionare, nell'articolo "Computer Machinery ed Intelligence", 1950, tutto il suo cercare la macchina che pensa, la macchina intelligente, non è che una mera speranza, umanamente comprensibile, ma priva di fondamenti logici, matematici, o in senso lato scientifici. 'I hope', scrive verso la fine dell'articolo, come tu stesso ricordi: "possiamo sperare che sicuramente nel futuro le macchine competeranno con gli uomini in tutti i settori puramente intellettuali".
La domanda dunque è: perché Turing coltivava questa fideistica speranza? La domanda è anche: perché sono molti oggi coloro che coltivano, seguendo Turing, questa fideistica speranza?
Mi sembra resti aperto anche un ulteriore interrogativo: anche tu coltivi questa fideistica speranza? Perché scrivi: "I recenti progressi dei sistemi di intelligenza artificiale generativa stanno facendo cadere l’ipotesi che siano solo dei 'pappagalli stocastici', basati sul caso. Almeno dal punto di vista fenomenologico alcuni esperimenti hanno invece dimostrato in questi sistemi l’esistenza di scintille di intelligenza".
Tu credi davvero che gli argomenti esposti da Emily Bender in "On the Dangers of Stochastic Parrots" siano infondati, e che invece vada dato credito a quanto scrive Sébastien Bubeck in "Sparks of Artificial General Intelligence: Early experiments with GPT-4"?
Nel complesso, leggendo il tuo articolo, mi sembra che tu condivida la "solenne dichiarazione di fiducia e ottimismo" che attribuisci a Turing.
Perciò mi pare resti una certa contraddizione tra il tuo testo il titolo dell'articolo: 'Così Alan Turing ci mise in guardia dagli inganni delle macchine'. Turing non mette in guardia dagli inganni delle macchine, spera che le macchine pensino!. Forse i redattori dell'Avvenire non hanno capito? O forse, consapevolmente o inconsciamente, si tratta di una presa di distanza da quello che scrivi?
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