martedì 2 giugno 2009

Il SAP, o il software come filosofia

Qualche anno all'Avana, per strane vicende, mi trovai a tenere una lezione alla facoltà di Economia. Credevo di dovermi recare nella vecchia austera sede dell'Università. Scoprii con sorpresa che invece le aule erano ubicate in un luogo di traffici e di passeggio, dietro l'angolo della Rampa, a due passi dall'Hotel Habana Libre, proprio di fronte alla Heladería Coppelia. Un luogo mitico per chi come me ha conosciuto l'Avana attraverso le pagine delle Tre tristi tigri di Cabrera Infante.
Un vecchio edificio dai muri scrostati. Si entra nell'atrio anonimo e angusto. Sulle pareti, mi pare di ricordare, murales un po' stinti, segnati dal tempo. Le aule sono al quinto o al sesto piano. Mi aspettano cinquanta o sessanta persone, conosco solo qualche professore.
Dovrei parlare di e-Business, ma il discorso, sull'onda di domande, si allarga all'informatica. Con fatica cerco di indirizzare il discorso verso contenuti che mi sembrano adeguati: Linux, open source, wiki. Ma non c'è verso. Non interessa l'informatica come potrebbe essere, interessa ciò che non si può avere, ciò di cui è vietato sapere - e che appare quindi come invidiatissimo segno di modernità occidentale. Interessa sapere tutto, tutto quello che sono in grado di raccontare, di Sap. Non riscuote nessuna attenzione nemmeno il mio tentativo di inquadrare Sap come prodotto leader di una classe, i software ERP.
Interessa Sap come simbolo, feticcio, ma anche come idea di software perfetto, onnisciente, in grado di gestire ogni aspetto dell'impresa.
L'immagine che colgo dietro alle domade dei miei amici cubani è esagerata dalla distanza e dalla carenza, ma è del tutto condivisibile. Del resto altrove avevo già scritto che Sap -e come Sap, nelle intenzioni, ogni ERP- è un software hegeliano. E' dato un modello di organizzazione perfetta, si tratta di adattare la prassi meschina dell'uomo alla perfezione dell'Idea. Non a caso Sap è il frutto del pensiero di cinque tecnici dell'IBM, ma tedeschi. Non a caso l'IBM non seppe comprendere il pensiero dei cinque tecnici, che furono costretti a mettersi in proprio.
Il vero senso dell'ERP non si spiega con le reingegnerizzazioni degli anni novanta. Si spiega, prima, con la crisi della totalità, con la consapevolezza che i Grandi Sistemi Ottimizzati non reggevano alla spinta della disgregazione, del meticciamento. Mentre crollava il dominio del pensiero unico IBM, e si affermavano modelli fondati sull'accettazione della complessità, della ridondanza e del caos -dalle reti client server a Internet- Sap, e in genere l'ERP rappresentano l'ultima frontiera di chi crede nel controllo, nell'ordine, nell'ottimizzazione.
Dunque, più che un nuovo modello organizzativo 'emergente', un vecchio modello duro a morire. Un modello nostalgico.
E' vero che se se migliaia di aziende straniere e un quarto di quelle italiane hanno adottato un sistema gestionale ERP, un buon motivo ci dovrà pur essere. Ma tenderei a cercare questo motivo guardando i dati statistici con attenzione: gli ERP per loro natura appaiono coerenti alla grande impresa, alla necessità di 'tenere insieme' i pezzi di un'azienda sparsa in countries diverse e lacerata dalle aspettative di autonomia delle Unità di Business. Guardando oggi alla storia, col senno di poi, e riferendoci in particolare al nostro paese, dovremmo chiederci quante delle imprese che avrebbero tratto giovamento da un ERP l'hanno adottato. E quante invece, subendo una astratta Ragione, ma senza una concreta ragione legata al reale business e al visibile mercato, hanno adotttato un ERP per pura e deleteria spinta imitativa.
Perciò mi appare arduo sostenere, in senso generale, che l’ERP mantiene le promesse e le aziende migliorano la produttività, risparmiano, e sono al passo con i concorrenti. E, ancora, mi appare fallace affermare che si possa adottare un ERP senza dover troppo cambiare le strategie deliberate. Perché se è vero che l'ERP è efficace nella misura in cui impone vincoli, mi pare evidente che i vincoli posti da un buon ERP sono, propriamente, vincoli strategici. L'ERP non a caso si è affermato pienamente negli anni novanta, quando le società di consulenza che prima vendevano modelli strategici si sono trovate con niente da dire, e hanno assunto come proprie le strategie implicite negli ERP. Un modello di impresa normalizzata, mediamente adeguata al mercato globale, ma depontenziata negli aspetti distintivi e nella flessibilità.
Ogni software, in fondo, è strategia codificata: pensiero pensato a priori, e proposto (anzi: imposto) agli utenti come routine ineludibile. Di questo principio generale l'ERP è il caso esemplare, l'esempio più evidente. Ogni ERP è figlio legittimo dell'idea dei cinque tecnici tedeschi che pensarono Sap: esiste nel cielo del management il modello perfetto, a noi non compete altro che inverarlo.
Mi risulta quindi difficile pensare all'ERP come strumento che libera la Direzione del Personale, da routine gestionali. Lungi dal liberare la Direzione del Personale, l'ERP -come ben sa chiunque abbia avuto a che fare con il modulo Risorse Umane di Sap- impone vincoli a chi si occupa di persone.
I vincoli possono essere virtuosi, certo. Ma lo sono come sostituto di una strategia. L'ERP è d'aiuto a chi non è in grado di inventare la propria strategia. E' indispensabile a chi non sa farne a meno.

1 commento:


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