A
Vienna, nel 1919, nei giorni dell’inizio della fine -la prima
Guerra Mondiale è appena terminata, il millenario Impero si è
sbriciolato- Sigmung Freud, riprendendo in mano un più vasto saggio
che aveva da ani nel cassetto, scrive a proposito dell’Unheimliche. (Sigmund Freud, “Das Unheimliche”, Imago, Band V, Wien, 1919; trad. it. Leonardo e altri scritti, Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, I, Boringhieri, Torino, 1969, pp. 267-307).
Riflette
attorno a “quella sorta di spaventoso che risale a ciò che ci è
noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”.
Poco
ci importa che i traduttori italiani abbiano ormai canonizzato una
traduzione: perturbante. Questa espressione rende ben poco del
tedesco. Unheimlich, nota Freud, è evidentemente l’antitesi
di Heimlich, da heim, ‘casa’, e di Heimisch,
‘patrio’, ‘nativo’, e quindi: ‘familiare’, ‘abituale’.
E’ ovvio quindi dedurre che “se qualcosa suscita spavento è
proprio perché non è noto e familiare”. E dunque ecco
l’inquietante, sinistro, lugubre, sospetto, spaventoso, tenebroso,
straniero, estraneo, fonte di disagio, di cattivo augurio,
unconfortable, gloomy, ghastly.
Freud
nota che ciò che per uno è Heimlich per l’altro è
Unheimlich. Così come, possiamo ricordare, seguendo la
lezione di Marcel Mauss, il gift è allo stesso tempo dono e
veleno: ognuno teme ciò che non gli è familiare, cioè che risulta
ignoto e straniero. Ma non basta questo ad avvicinare il mistero
dell’Unheimlich. Per coglierlo, ci dice Freud, dobbiamo
seguire Schelling. “Unheimlich, dice Schelling, è tutto ciò
che avrebbe dovuto restare segreto, nascosto, ed invece è
affiorato”.
Ecco
dunque che nel Dizionario Tedesco di Jakob e Wilhelm Grimm alla voce Heimlich troviamo, accanto al senso di ‘familiare’,
‘domestico’, ‘natale’: “Heimlich in quanto alla
conoscenza”: in questo senso, ci dicono i fratelli Grimm, Heimlich
traduce il latino mysticus, divinus, occultus,
figuratus. (Jakob e Wilhelm Grimm, Deutsches Wortërbuch, Hirzel, Leipzig, 1877). Sicché, commentano i fratelli Grimm, “Heimlich
assume il significato proprio di Unheimlich, come mostra
una frase del drammaturgo Friedrich Maximilian Klinger: “a volte mi
sento un uomo che vaga nella notte e crede negli spettri; per lui
ogni angolo è sinistro (Heimlich) e dà i brividi”.
Anche
a casa nostra, anche nella nostra città, nella nostra patria, nel
mondo caldo e familiare dove dovremmo essere protetti da ogni
pericolo esterno viviamo nel sospetto e nel timore, viviamo nel
timore.
Freud,
si sa, vuole parlarci dell’inconscio, ma nel farlo ci sta parlando
di conoscenza.
L’
Heimlich-Unheimlich “in quanto conoscenza”: una conoscenza
che ci è familiare, che ci rassicura e ci offre conferme. E che e al
contempo ci è estranea, provoca spavento, contiene qualcosa di
inquietante e sinistro che preferiremmo tenere lontano da noi.
Freud
-parlandoci da una Vienna che a lui stesso inizia a diventare
straniera, e che giorno dopo giorno svela il suo lato tenebroso e
sinistro- ci avvicina così a uno dei nodi della cultura del
Ventesimo Secolo. Mentre Freud ci invita ad accettare le nostre
tenebre, ed il nostro stesso essere stranieri a noi stessi,
scienziati e filosofi tentano di definire linguaggi capaci di rendere
esplicita ogni oscurità, linguaggi capaci di descrivere ogni cosa.
Progetto
mitteleuropeo che sarà centrale nelle Macy Conferences, progetto che
vedrà i suoi esiti nel Computing e nell’informatica: tentativo
di sostituire all’informe conoscenza una informazione
ben controllata e codificata; assoggettata a un canone e ad una
autorità, cosicché si possa essere esentati dal dover guardare in
terreni ignoti, dal dover prendere in considerazione ciò che appare
pericoloso e scandaloso.
Non
solo: in Das Unheimliche Freud ci anticipa anche uno dei
passaggi chiave del dibattito che animerà negli Stati Uniti le Macy Conferences, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e i primi anni Cinquanta: il
confine tra uomo e macchina. Dove l’uomo rischia di soccombere alla
sua inesausta ricerca di scoprire ciò che è segreto -l’ambizione
di Faust così come ci è narrata da Goethe- nasce il bisogno di
disporre di macchine. Se l’uomo non può sopportare il brivido
della paura che coglie chi cerca l’ignoto, il segreto, il troppo
difficile, potranno forse andare oltre macchine.
Macchine che superino l’imperfezione
umana, macchine antropomorfe. Non a caso Freud ci parla di “figure
di cera”, “bambole ingegnose”, “automi”. E del dubbio che
“un essere apparentemente animato sia vivo davvero”, e che
viceversa “un oggetto privo di vita non sia per caso animato”.
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