domenica 15 gennaio 2012

Macchine perturbanti, o automi


A Vienna, nel 1919, nei giorni dell’inizio della fine -la prima Guerra Mondiale è appena terminata, il millenario Impero si è sbriciolato- Sigmung Freud, riprendendo in mano un più vasto saggio che aveva da ani nel cassetto, scrive a proposito dell’Unheimliche. (Sigmund Freud, “Das Unheimliche”, Imago, Band V, Wien, 1919; trad. it. Leonardo e altri scritti, Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, I, Boringhieri, Torino, 1969, pp. 267-307).
Riflette attorno a “quella sorta di spaventoso che risale a ciò che ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”.
Poco ci importa che i traduttori italiani abbiano ormai canonizzato una traduzione: perturbante. Questa espressione rende ben poco del tedesco. Unheimlich, nota Freud, è evidentemente l’antitesi di Heimlich, da heim, ‘casa’, e di Heimisch, ‘patrio’, ‘nativo’, e quindi: ‘familiare’, ‘abituale’. E’ ovvio quindi dedurre che “se qualcosa suscita spavento è proprio perché non è noto e familiare”. E dunque ecco l’inquietante, sinistro, lugubre, sospetto, spaventoso, tenebroso, straniero, estraneo, fonte di disagio, di cattivo augurio, unconfortable, gloomy, ghastly.
Freud nota che ciò che per uno è Heimlich per l’altro è Unheimlich. Così come, possiamo ricordare, seguendo la lezione di Marcel Mauss, il gift è allo stesso tempo dono e veleno: ognuno teme ciò che non gli è familiare, cioè che risulta ignoto e straniero. Ma non basta questo ad avvicinare il mistero dell’Unheimlich. Per coglierlo, ci dice Freud, dobbiamo seguire Schelling. “Unheimlich, dice Schelling, è tutto ciò che avrebbe dovuto restare segreto, nascosto, ed invece è affiorato”.
Ecco dunque che nel Dizionario Tedesco di Jakob e Wilhelm Grimm alla voce Heimlich troviamo, accanto al senso di ‘familiare’, ‘domestico’, ‘natale’: “Heimlich in quanto alla conoscenza”: in questo senso, ci dicono i fratelli Grimm, Heimlich traduce il latino mysticus, divinus, occultus, figuratus. (Jakob e Wilhelm Grimm, Deutsches Wortërbuch, Hirzel, Leipzig, 1877). Sicché, commentano i fratelli Grimm, “Heimlich assume il significato proprio di Unheimlich, come mostra una frase del drammaturgo Friedrich Maximilian Klinger: “a volte mi sento un uomo che vaga nella notte e crede negli spettri; per lui ogni angolo è sinistro (Heimlich) e dà i brividi”.
Anche a casa nostra, anche nella nostra città, nella nostra patria, nel mondo caldo e familiare dove dovremmo essere protetti da ogni pericolo esterno viviamo nel sospetto e nel timore, viviamo nel timore.
Freud, si sa, vuole parlarci dell’inconscio, ma nel farlo ci sta parlando di conoscenza.
L’ Heimlich-Unheimlich “in quanto conoscenza”: una conoscenza che ci è familiare, che ci rassicura e ci offre conferme. E che e al contempo ci è estranea, provoca spavento, contiene qualcosa di inquietante e sinistro che preferiremmo tenere lontano da noi.
Freud -parlandoci da una Vienna che a lui stesso inizia a diventare straniera, e che giorno dopo giorno svela il suo lato tenebroso e sinistro- ci avvicina così a uno dei nodi della cultura del Ventesimo Secolo. Mentre Freud ci invita ad accettare le nostre tenebre, ed il nostro stesso essere stranieri a noi stessi, scienziati e filosofi tentano di definire linguaggi capaci di rendere esplicita ogni oscurità, linguaggi capaci di descrivere ogni cosa.
Progetto mitteleuropeo che sarà centrale nelle Macy Conferences, progetto che vedrà i suoi esiti nel Computing e nell’informatica: tentativo di sostituire all’informe conoscenza una informazione ben controllata e codificata; assoggettata a un canone e ad una autorità, cosicché si possa essere esentati dal dover guardare in terreni ignoti, dal dover prendere in considerazione ciò che appare pericoloso e scandaloso.
Non solo: in Das Unheimliche Freud ci anticipa anche uno dei passaggi chiave del dibattito che animerà negli Stati Uniti le Macy Conferences, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e i primi anni Cinquanta: il confine tra uomo e macchina. Dove l’uomo rischia di soccombere alla sua inesausta ricerca di scoprire ciò che è segreto -l’ambizione di Faust così come ci è narrata da Goethe- nasce il bisogno di disporre di macchine. Se l’uomo non può sopportare il brivido della paura che coglie chi cerca l’ignoto, il segreto, il troppo difficile, potranno forse andare oltre macchine.
Macchine che superino l’imperfezione umana, macchine antropomorfe. Non a caso Freud ci parla di “figure di cera”, “bambole ingegnose”, “automi”. E del dubbio che “un essere apparentemente animato sia vivo davvero”, e che viceversa “un oggetto privo di vita non sia per caso animato”.

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