Immaginiamo un viaggiatore
di ritorno dopo dopo una lunga assenza. Lontano dalle nostre terre
tra l’ultimo scorcio del secolo scorso e l’inizio di questo,
osserverà ritornando, certamente sorpreso, la macchina multiuso di
cui può disporre ora ogni essere umano. Macchina che permettono di
scambiare messaggi istantanei, e di conversare, anche condividendo le
reciproche immagini, senza che influisca la distanza; e che offrono
al contempo gli strumenti per fare di calcolo; e per scrivere liberi
dai vincoli imposti dal foglio di carta; e di pubblicare, fuori dal
controllo di editori e censori; e di accedere a innumerevoli fonti:
archivi, documenti, libri, qualsiasi biblioteca del globo; macchine
con le quali, ancora di si possono scattare fotografie, registrare
filmati; registrare voci e comporre musica, disegnare; e conservare e
organizzare e condividere questi oggetti multimediali, così come si
possono conservare e organizzare e condividere i testi scritti;
mischiando anche parole scritte e voci e suoni e immagini fisse e in
movimento; fin al punto che il modo di intendere lo scrivere e il
leggere, il disegnare e il fotografare e il comporre musica -intesi
come singole arti- perdono di senso. E l’uomo appare, tramite
queste macchine, più capace e intelligente.
Simile stupore dovevano
trovare gli spagnoli che in terra d’America, attorno al 1530,
giunti a contatto con la gran cultura dell’Impero Inca, ebbero modo
di osservare come lì si ‘scriveva’, e si ‘leggeva’, e si
organizzavano e si conservavano le conoscenze.
Para suplir la falta de
letras, tenían estos bárbaros una curiosidad. (…) Las cosas más
notables, que consisten en número y cuerpo, notábanlas, y agora las
notan, en unos cordeles, a que llaman quipo, que es lo mismo que
decir racional o contador. (...) Es cosa de admiración ver las
menudencias que conservan en questos cordelejos, de los cuales hay
maestros como entre nosotros del escribir.
Y así cada uno a sus
descendientes iba comunicando sus anales por esta orden dicha, para
conservar sus historias y hazañas y antigüedades y los números de
las gentes, pueblos y provincias, días, meses y años, batallas,
muertes, destrucciones, fortalezas y cinches.
Pedro Sarmiento de Gamboa, Segunda parte de la historia general
llamada indica, Cuzco, 1572 (scritto
tra il 1570 e il 1572).
Per supplire alla
mancanza di lettere, avevano questi barbari una curiosità. (…) Le
cose più notevoli, che consistono in numero e corpo, le annotavano,
e ora le annotano, in delle cordicelle, che chiamano quipo, che è lo
stesso che dire razionale o contabile. (…) E’ cosa che desta
meraviglia vedere le minuzie che conservano in questi cordami, dei
quali ci sono maestri come tra noi dello scrivere.
E così ognuno ai suoi
discendenti comunicava i suoi annali per mezzo di questo detto
ordine, per conservare le loro storie e le gesta e le antichità e il
numero delle genti, dei popoli e delle province, dei giorni, e dei
mesi e degli anni, e le battaglie, le morti, le distruzioni, le
fortezze e i capitani.
Pedro
Sarmiento de Gamboa, Historia índica, sta in Garcilaso de la Vega,
Obras Completas, Apéndice con Historia indica de Pedro
Sarmiento de Gamboa, Atlas, Madrid, 1965. Tomo IV, pp. 211-212
(Biblioteca de Autores Españoles, 135).
Nel
cogliere il senso profondo di ciò che chiamiamo ‘leggere’ e
‘scrivere’, ci è di grande aiuto l’osservazione di altri modi
di costruire conoscenza, modi assolutamente differenti.
Tramite i quipos
questi indios conservano la conoscenza “vera y ordenadamente”,
“veramente e ordinatamente”, diceva Sarmiento de Gamboa. Martín de Murúa, altro Cronista delle Indie,
precisa: “tutto messo con molto ordine e ben disposto”. C’è
dunque un criterio, c’è una logica precisa. C’è un modo -per
noi incomprensibile, ma efficace- per conservare e per recuperare.
Per mantenere nel tempo e per avere a disposizione in questo istante.
I cronisti osservano, testimoniano. Mostra la sorpresa di fronte alla differenza. Anche se
forse non la sa percepire nelle sue dimensioni. Non poteva sapere che
i quipos erano in uso almeno da 2.500 anni prima di Cristo. L’invenzione della scrittura con caratteri cuneiformi, incisi con
uno stilo su un supporto di argilla, è di poco precedente.
Accettare che alfabeti,
scrittura, libri non siano che una delle forme attraverso le quali
può essere conservata la conoscenza è mettere in discussione i
fondamenti della nostra cultura.
Ciò che noi facciamo con carta e penna, gli indios di cultura quechua fanno attraverso i quipos. Ma gli indios fanno attraverso i quipos anche -ed è questo secondo passaggio che appare più importante- ciò che facciamo, nel dominio dell’informatica, scrivendo su un supporto di memoria – un disco, un supporto allo stato solido.
Di fronte a questa constatazione, siamo obbligati ad allargare lo sguardo. La nostra consuetudine con un certo modo di scrivere ci fa velo. In realtà, conosciamo altre codifiche.
I quipus ci portano su un
terreno inusitato, ben oltre la visione del mondo che può essere
espressa attraverso la metafora del libro.
Ci spingono a riflettere
su come il codice che presiede al funzionamento del computer, al di
là dell’apparenza, non sia poi così diverso dal codice che
presiede alla scrittura con carta e penna.
Ci spingono anche a
chiederci se forse, condizionati dalla tradizione, dalla
consuetudine, non leggiamo in termini riduttivi la novità implicita
nel computer e nel suo codice.
Tramite questi ‘cordami’
sono conservate, con minuziosa precisione “sus
historias y hazañas y antigüedades y los números de las gentes,
pueblos y provincias, días, meses y años, batallas, muertes,
destrucciones, fortalezas y cinches”; “le storie e le
gesta e le antichità e il numero delle genti, dei popoli e delle
province, dei giorni, e dei mesi e degli anni, e le battaglie, le
morti, le distruzioni, le fortezze e i capitani”.
Ciò che più desta meraviglia è che attraverso i quipos fossero conservati non solo dati 'discreti', numerici', ma anche narrazioni.
Tutto lo scibile può
essere conosciuto, tutta la conoscenza può essere conservata, ogni
storia può essere narrata attraverso corde e nodi.
I quipos ci spingono a ricordare
come noi, bisognosi di fondamenti, riconduciamo la novità a ciò che
è spiegabile avendo in mente il libro. Impediamo così forse al computing di sprigionare la novità di cui è portatore. C'è di più: http://diecichilidiperle.blogspot.it/2012/11/analogia-tra-quipus-e-informatica.html.
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