Al
di là del motivo immediato per il quale l'informazione è stata
pensata, elaborata, gestita; al di là del buon fine della
transazione che la riguarda, ovvero della sua sua 'certezza',
l'informazione potrà risultare utile in futuro, quando meno ce lo
aspetteremo, là dove meno ce lo aspetteremo.
Perciò
-visto anche il costo tendenzialmente decrescente della memoria di
massa- possiamo e dobbiamo conservare tutto. Indiscriminatamente, e
senza porci problema di ridondanza.
La
ridondanza non pone problemi: o la macchina riconosce le informazioni
replicate come identiche, e le tratta come tali. O coglie lievi
differenze, e queste differenze costituiscono di per sé informazione
utile.
L'alibi
consistente nel timore della ridondanza -alibi che finisce per giustificare il controllo, l'inaridimento,
l'attaccamento alla struttura- mostra tutta la sua debolezza se si
pensa che l'informazione, intesa come insieme di dati costruito in
risposta a un bisogno di conoscenza di un preciso istante, di oggi o
di ieri, è in sé irrilevante. Attraverso le informazioni
strutturate potremo rispondere pienamente solo alle domande che ci
siamo posti ieri, e in base alle quali abbiamo creato la struttura,
definito il modello, connesso tra di loro i dati.
Il
bisogno futuro sarà prevedibilmente diverso. Dunque non ci interessa
in realtà l'informazione, ma i dati che sono serviti a costruirla.
Qualunque cosa si conservi, stiamo conservando dati, la struttura
attuale è sempre irrilevante
La
ricchezza del patrimonio conoscitivo -non solo lascito per i posteri,
diciamo per archeologi o storici di un lontano domani, ma base per
costruire informazioni utilizzabili in un immediato futuro, per
business, per gioco, o per un qualsiasi motivo- non sta dunque nelle
informazioni in sé, non sta nelle strutture, non sta nella totalità,
nell'ordine o nel controllo. Sta nei meri dati. Nei dati quali che
siano: non si sa a priori quali dati serviranno: ogni e qualsiasi
dato potrà risultare, connesso con altri dati di altre fonti,
significativo.
I
dati, però, chiusi in strutture, in modelli, forme, rischiano di
risultarci invisibili e inutilizzabili. La loro fruibilità in quanto
atomi di conoscenza
Avendo
a disposizione dati strutturati in funzione della risposta a una
domanda formulata nel passato, e volendo rendere invece i dati
passibili di utilizzi futuri, oggi imprevedibili, dovremo quindi
svolgere un lavoro di 'decostruzione': o privando da subito i dati dei
legami con la struttura d'origine, immediatamente a valle del loro
utilizzo all'interno della attuale procedura, o rinviando il lavoro di
'decostruzione' al momento futuro in cui l'informazione si rivelerà
utile.
In
ogni casi si tratta di accoppiare al dato metadati relativi alla sua
origine, alla sua storia. In modo da renderlo utilizzabile a
prescindere dalla struttura. Se, in origine, il dato 'parlava' perché
era inserito in una struttura, in futuro dovrà parlare da solo.
La
'decostruzione', dunque, consiste nel trasferire la conoscenza
relativa alla genesi e alla storia del dato dalla struttura
complessiva ad un tag che accompagna il singolo dato. Non si tratta
di cercare una completezza descrittiva. Altrimenti ricadiamo vittime
del preconcetto che vuole l'informazione utile solo se ordinata e
completamente descritta. Non credo si debba pensare perciò ad
organizzare i metadati in una struttura, in una ordinata gerarchia.
Si tratta, semplicemente, di conservare le informazioni disponibili
sull'origine e sulla storia del singolo dato. In modo da rendere più
efficace la sua interpretazione.
Questo
è, in fondo, il senso dei tag Xml. E questa è, in fondo, la pratica
che facciamo quotidianamente usando il motore di ricerca.
La
struttura sarà ogni volta diversa: apparirà, di volta in volta, una narrazione-lettura-del-mondo
differente -è questo il nuovo modo di leggere-. L’informazione grezza è
data, ma non parla, parla solo per via di connessioni, strutture emergenti.
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