venerdì 25 marzo 2016

E’ tutta colpa di Google?

Un’opinione diffusa, sempre più presente sui mass media, giornali e televisione, ma anche sui social network, un’opinione di cui sono portatori intellettuali, politici, e anche informatici di professione, guarda con preoccupazione all’abuso posizione dominante da parte di imprese operanti sulla scena delle cosiddette ‘nuove tecnologie’. Una sempre crescente, massa di conoscenze, frutto dell’intelligenza umana, è oggetto di appropriazione indebita. Un caso per tutti: Google.
Google è responsabile di sempre più pericolosi attacchi alla sfera privata dei cittadini, Google è responsabile dell’appropriazione indebita, del furto di conoscenze prodotte da ognuno. Bastano pochi esempi.Google spia i nostri gusti e le nostre intenzioni osservando le nostre interrogazioni al motore di ricerca. Google viola la nostra sfera privata usando, non sappiamo bene come, la possibilità di sapere tutto sul nostro uso della posta elettronica. Google, tramite il servizio di Analytics messo a nostra disposizione, è in grado di sapere quali siti, e quali pagine su ogni sito, preferiamo visitare. Google, alimenta e via via migliora il proprio sistema di traduzione usando la capacità degli esseri umani di tradurre da una lingua all’altra: usa la mia capacità di tradurre senza darmi nulla in cambio. Ribadisco che si tratta solo di esempi.
E’ superfluo soffermarsi troppo nel ricordare che ciò che vale per Google vale in uguale o maggiore misura per ogni piattaforma offerta al nostro uso: Facebook, Twitter, Instagram. Anch’io sono inquietato da questa situazione.
Anch’io vedo in questa appropriazione -che passa sopra la testa di cittadini e stati sovrani- un’enorme problema politico, sociale, culturale. Ma non sono d’accordo nel considerare tutto questo una novità. Se vediamo in Google un pericolo nuovo, è solo per carenza di prospettiva storica. E’ solo perché siamo abbagliati dalla nuova veste di un fenomeno che non è per nulla nuovo, un fenomeno che viene da lontano, e che, dall’inizio del Ventesimo Secolo, ha caratterizzato l’intera storia dell’Informatica, fin dalla sua nascita. Abbagliati dalla pretesa novità, credo, finiamo per non vedere il pericolo dove veramente è, e quindi per non adottare contromisure efficaci.
Per questo in Macchine per pensare ripercorro la storia dell’Informatica. E’ fuorviante legare la storia dell’Informatica a Turing e a von Neumann, alla costruzione di ‘macchine matematiche’ destinate a sostituire il povero pensiero umano con il più efficiente e preciso ‘pensiero calcolante’. C’è un altro filone compresente: la progettazione e la costruzione di macchine destinate al controllo sociale. Macchine destinate a portare a compimento il sogno di ogni burocrazia, ma anche di ogni stato totalitario: sapere tutto il possibile della vita e dei comportamenti dei cittadini.
Racconto così in Macchine per pensare dell’avvento delle prime ‘macchine per il controllo sociale’ veramente efficienti: le macchine Hollerith, macchine elettromeccaniche che conservano le informazioni su schede perforate, nate negli Stati Uniti per automatizzare l’elaborazione dei dati raccolte con i censimenti. Macchine che trovano l’esemplare, estremo utilizzo nella Germania nazista negli Anni Trenta e Quaranta.
Si usavano allora queste macchine, in modo consapevole e trasparente, per sapere tutto di ogni persona, nel privato e al lavoro. Come racconto in sintesi qui. Non si osava forse pensare di potersi anche appropriare, tramite un’espansione della capacità del controllo di queste macchine, anche dei frutti del pensiero umano. Ma il progetto era già, nei primi trenta anni del secolo scorso, ben chiaro. Nulla dunque di nuovo.
Karl Marx l’aveva capito con un secolo d’anticipo. Solo oggi possiamo ben capire ciò che paventava parlando di General Intellect, knowledge sociale generale, prodotto del pensiero e del lavoro umano, defraudato ai produttori e reso disponibile, tramite macchine, a chi -stati, imprese, poteri occulti- potrà così usare a proprio piacimento ciò come nasce come risorsa personale e sociale.
Ora, il fatto è che, a partire dagli Anni Sessanta del Ventesimo Secolo, si assiste a una rottura storica. Quelle macchine che erano in esclusiva disponibilità di Stati, imprese, poteri occulti, quelle macchine che servivano al controllo sociale, entrano nella disponibilità di ogni cittadino. Il Personal Computer e in World Wide Web, pur con tutti loro difetti, sono questo: strumenti di liberazione, strumenti per difendere e garantire la propria libertà personale, la propria possibilità di creare conoscenze e di goderne i frutti.
Google nasce con il Web. Nasce con il progetto libertario dell’esplorazione di nuove frontiere per la conoscenza. Conoscenza di ognuno e conoscenza come bene comune, liberata dal controllo centrale il cui simbolo è proprio il Mainframe, in computer centrale che tutto conserva, diretto erede delle macchine Hollerith. Il fatto che poi alcuni tra i tecnici che hanno creato il Personal Computer e il Web, in casa Google e in altre case, si siano trasformati in speculatori finanziari, e pur di trarne profitto, siano passati a distruggere la propria creatura, non può negare la storia. L’atteggiamento via via sempre più esplicitamente assunto da Google e da Facebook, la loro minacciosa posizione dominante di onnipresenti attori globali sciolti da vincoli dettati dagli Stati sovrani, il loro attacco alla sfera personale dei cittadini del pianeta, dunque, ben lungi dall’essere una novità, è un rigurgito del passato. Insomma: la posizione dominante di Google non è che il ritorno, al di là della rottura culturale politica che l’avvento del Personal Computer e il World Wide Web hanno comportato, a quel controllo sulla vita e sul lavoro umano che è caratteristica originaria dell’Informatica.
Non serve dunque demonizzare Google, né serve vedere nuovi pericoli conseguenti a misteriose tecnologie. Serve mantener viva, in quanto cittadini, la propria attiva presenza sulla scena politica. La democrazia è frutto di responsabilità diffusa. La democrazia, oggi, è anche frutto dell’uso consapevole delle tecnologie oggi disponibili. Che restano, nonostante Google, strumenti democratici tramite i quali combattere le pretese totalitarie e l’incombere eccessivo del controllo sociale.
Va bene quindi parlare dell’antica minaccia alle libertà individuali, oggi incarnata da Google. Ma, intanto, occupiamoci di usare con più consapevolezza e con più pienezza, come strumenti di liberazione, gli spazi di libertà personale, di interazione sociale e di creazione collettiva di conoscenza che prima non ci saremmo neanche sognati di possedere. E che oggi, anche per merito di di Google, abbiamo a disposizione.

(Ho già scritto a proposito di Google, qui su Dieci chili di perle, qui e qui).

2 commenti:

  1. E' molto opportuno mettere tutti in guardia da (almeno...) uno dei "nucleotidi" del DNA Informatico: il controllo sociale. Il senso critico, già scarso in ambiti più tradizionali, qui è totalmente deficiatario per una ignoranza "filosofica" - nonché "etologica" - di Google, e della Rete in generale, come nostro "Altro-Non-Umano".
    Partner o Controllore/Dominatore, non dipende totalmente da noi, ma (secondo me...) al 70% sì!
    Allora, l'educazione a un più avanzato e tecnologico Senso Critico passa da tale "nuova visione" di Google e della Rete, per il quale il tuo libro ("Macchine PER Pensare" - aggiungerei: "ancora più umanamente".. :-) ) è un validissimo contributo!

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