giovedì 31 marzo 2016

Watson

Watson: adesso è sulla bocca di tutti, ma tutti i ragionamenti sui giornali e in tv sono superficialissimi.
'Supercomputer' non vuol dire nulla: si parla di hardware, di software? di basi dati? di algoritmi? Eppure leggete i titoli dei giornali, e anche gli interi articoli: sperticata apologia della meravigliosa macchina.



In estrema sintesi:
Simulazione del comportamento umano presentato come risposta adeguata ad esigenze umane e anche a scientifica ricerca della verità: ma 'simulare' è ben diverso da 'essere' e da 'esistere', cioè dall'agire umano.
Capacità della macchina di capire linguaggio naturale umano e di interagire con l'uomo senza mediazione di interfacce come tastiere mouse e scrivanie come metafore sullo schermo: non è che un più sofisticato inganno. Perché comunque stiamo avendo a che fare con una macchina.
Ricerca di risposte dentro dati prodotti dall'uomo: quale che sia la 'base dati' su cui si lavora resta aperto il problema centrale: tramite quale 'logica' si leggono e interpretano i dati. Quali sono gli algoritmi usati. A partire da quali scelte ideologiche e politiche sono stati scritti questi algoritmi.
I giornalisti non si sforzano di capire. E usano passivamente i comunicati stampa IBM. Il governo italiano, per motivi evidenti di politica di breve termine, ostenta l'accordo con l'IBM prendendo per buono ciò che l'IBM dice. Gli esperti di computing e di Intelligenza Artificiale hanno tutti i motivi per essere conniventi: l'affermazione di Watson è la loro affermazione. Il loro atteggiamento è del tipo: 'non disturbate il manovratore'.
La propaganda costruita attorno a Watson sfrutta l'insicurezza umana di fronte alla complessità, di fronte a scelte difficili. Sfrutta l'umana disponibilità ad accettare con sollievo soluzioni magiche.
Vogliamo discutere su come invece su come, anche con l'ausilio di macchine, possiamo assumerci responsabilmente l'onere, ma anche il piacere, di affrontare problemi, e di risolverli.

Nel capitolo 'L'essere umano e i due modi di essere Turco' del mio libro Macchine per pensare parlo proprio di Watson e delle sue implicazioni non solo filosofiche, ma anche politiche e sociali.
Trascrivo qui sotto un breve brano:

Al termine del Ventesimo Secolo l’IBM lancia il computer Deep Blue. La macchina sconfigge, in una partita a scacchi, il campione Garry Kasparov. Di fronte a questo successo, subito si elevano i peana: ‘E solo una questione di tempo e le macchine diventeranno imbattibili’. Si cela dietro questa celebrazione della cosiddetta Intelligenza Artificiale un messaggio non da poco: si vuole convincere con questa propaganda i cittadini a credere che sia meglio affidarsi ad una macchina meravigliosa, che pensa, e risolve i problemi complessi, meglio di quanto sappiano fare gli esseri umani.
Non paghi, gli strateghi e i tecnici dell’IBM, nei primi anni del nuovo millennio, rilanciano, costruendo una nuova macchina ancora chiamata, per colpire la fantasie delle masse, Supercompuer: Watson, in onore di Thomas John Watson Sr., Chairman per quarantadue anni della Corporation.
Si tenta di argomentare che il progetto ha come scopo facilitare l’interazione tra uomo e macchina. Si vuole sostenere che sia utile all’uomo una macchina con la quale si possa interagire senza dover ricorrere ai complicati linguaggi che la normale macchina è in grado di capire. Ma per l’uomo, come non è mai un problema comunicare con un cane o con un gatto, non è mai un problema colloquiare con una macchina. L’aspettativa, che spesso l’uomo, insicuro, nasconde a se stesso, è disporre di una macchina in grado di sostenerlo nel proprio libero pensiero.
Stavolta, con Watson, poiché alle masse si devono offrire spettacoli adatti, si trascura il troppo sofisticato gioco degli scacchi, e si scende sul piano della più comune volgarizzazione della conoscenza: la capacità di rispondere alle domande di un quiz televisivo. Ecco la grande sfida, che naturalmente la Macchina vince: esibirsi sui teleschermi, durante una puntata di Jeopardy!, ovvero Rischiatutto. Naturalmente, anche in questo caso si tratta di una sfida comoda, fondata in realtà su ciò che è facile per la macchina, ed è al contempo un inevitabile punto debole umano: la mera capacità di memoria, il tenere in archivio masse di dati. Si sceglie dunque, per colpire l’immaginario popolare, un gioco adatto più a una macchina che a un uomo, un gioco dove intuizione ed abduzione giocano un ruolo marginale.

Questa è l’intelligenza, il modo di intendere il pensiero, che si pone alla fine come modello all’uomo-massa. Per indurlo a smettere di pensare.

Sullo stesso tema, potete leggere questo mio articolo, apparso sul Sole 24 ore, supplemento Nova, il 10 aprile 2016.

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