Propone Leroi-Gourhan in Le gest et la parole: il proprio avvenire, per gli esseri umani ora costretti a convivere con macchine, consiste nello scegliere di restare – o tornare ad essere- sapiens.
Di radici culturali dell'essere umano, di origini della tecnica, e di uso umano della tecnica, parla in una conferenza nel 1934 Marcel Mauss, etnologo francese maestro di Leroi-Gourhan.
L'articolo tratto dalla lezione esce nel 1936.1 Proprio l'anno in cui Turing presenta nell'articolo On Computable numbers l'idea di una computing machine. Fino a ben dentro il Ventesimo Secolo computer non voleva dire altro che essere umano che fa di conto, contabile, computista. Turing, invece, immagina un computer-macchina. Macchina affidabile, macchina che non tradisce mai le aspettative: esegue indefettibilmente il proprio programma.
Quando Turing scrive l'articolo ha ventiquattro anni. Giovane solitario, disperato, vive un'infelice condizione esistenziale. Neonato, è privato della vicinanza dei genitori, che risiedono in India. Vive con fatica la propria omosessualità. Ha sedici anni quando il ragazzo che ama muore. Ama la matematica: non un linguaggio per interagire con altri esseri umani, ma un linguaggio per parlare con se stesso, per cercare la propria purezza.
Le carenze umane, vissute sulla propria pelle, nel proprio cuore, motivano la ricerca di un sostituto non umano. Turing vuole, perché ne ha bisogno, dimostrare che una certa macchina può mostrarsi più affidabile dell'essere umano, più degna di stima, e anche di affetto.
"We may hope that machines will eventually compete with men”, “possiamo sperare che le macchine saranno alla fine in grado di competere con gli uomini”, scrive a trentott'anni -quattro anni prima di togliersi la vita- in Computing Machinery and Intelligence. I due articoli si completano a vicenda. La macchina è la conscio o inconscia proiezione dei bisogni del proprio creatore.
Turing spera che al suo posto viva una macchina. Una macchina matematica, logico-formale, mentale, cartesiana, leibniziana. Priva di sembianze umane. Priva di identità sessuale, di genere indefinito.
La tecnica, così, finisce per essere la via lungo la quale allontanarsi dal proprio corpo.
Mauss propone una via opposta. “Intendo con questa parola il modo in cui gli esseri umani, società per società, in un modo tradizionale, sanno servirsi del loro corpo”.2 Vernadsky, McLuhan e Leroi-Gourhan ci parlano del progressivo allontanamento dello strumento dal corpo dell'essere umano. Mauss torna daccapo: la tecnica è innanzitutto uso del proprio corpo.
“Abbiamo fatto, e io stesso ho fatto per diversi anni, l'errore fondamentale di non considerare che ci sia la tecnica solo quando c'è lo strumento”. Possiamo dire che anche Vernadski resta vittima di questo errore. E lo stesso Leroi-Gourhan, attratto dall'evidente fenomeno, dalla fuga in avanti, dal costante e crescente trasferimento di capacità dall'essere umano allo strumento, finisce per guardare a quest'ultimo, quasi collocando ai margini della scena l'essere umano. Ma Leroi-Gourhan torna poi a interrogarsi sulle sorti dell'essere umano, quando appunto esso vive sulla nuova scena determinata da strumenti e macchine sempre più autonomi e separati da lui. E allora afferma: torniamo a ricordare le radici. Ci spinge quindi a rileggere le pagine di Mauss, suo maestro.
Mauss restituisce la tecnica all'essere umano. Parla di tecniche del corpo.
“Il corpo è il primo e il più naturale strumento dell'uomo. O più esattamente, senza parlare di strumenti, il primo e il più naturale oggetto tecnico, e allo stesso tempo mezzo tecnico, dell'uomo, è il suo corpo”.
Come usiamo le mani nel lavoro e nel gesticolare. Come camminiamo, come corriamo o marciamo. Come nuotiamo moduliamo la voce nel parlare o nel cantare. E anche: come pensiamo – perché l'approccio etnologico, antropologico di Mauss lascia fuori ogni ipotesi cartesiana, ogni separazione tra mente e corpo: la mente, la capacità intellettiva, fa parte dell'essere umano intero.
Ci si apre un nuovo orizzonte: è ben vero che assistiamo ad un progressivo allontanamento dello strumento dal corpo umano. Ma Mauss ci richiama all'origine di questa storia. Storia della vita, della natura, storia umana, e storia personale di ogni singolo essere umano. In origine, ed in ogni tempo in cui l'essere umano è vissuto, ed ancora oggi nei tempi digitali, separarsi dalla tecnica è separarsi da sé stessi.
La tecnica è in origine, ci dice Mauss, “un atto tradizionale efficace”.
Efficacia: verbo latino efficere, ex facere, 'far sì'. La tecnica è produzione di effetti. Tradizione: il latino tradere è trans dare. Dare -e la radice indeuropea do- stanno per 'passaggio di possesso'. Quindi: 'dare attraverso'. Consegnare, affidare, rimettere nelle mani, mettere a disposizione. Trasmettere. Tramandare le conoscenze di generazione in generazione.
“E' innanzitutto in questo che l'essere umano si distingue dagli animali: per la trasmissione delle sue tecniche, e molto probabilmente per la loro trasmissione orale”.
Subissati, annichiliti dalla presenza di strumenti e di macchine, abbiamo finito per dimenticare che la la tecnica nasce dall'intento umano di compiere atti efficaci. Qualsiasi strumento è frutto di questa intenzione.
Mauss ci invita a tornare alla fonte: al momento in cui l'essere umano -in ogni luogo del pianeta che è giunto ad abitare- apprende a compiere atti efficaci. Atti relativi ad ogni fase e ad ogni aspetto della vita.
In origine, l'essere umano non ha ancora in mano uno strumento. Prima di apprendere ad usare un qualsiasi strumento -un bastone, una pietra-, l'essere umano ha verificato la possibilità di usare il proprio corpo.
La tecnica cessa di essere una astrazione. E cessa di essere lontana, inevitabilmente affidata ad una macchina. Mauss ci invita a concepire una tecnica incarnata. Una tecnica continuamente rinascente nel, dal corpo umano.
In questa ottica, la rivoluzione digitale appare come causa di grave deprivazione: ogni conoscenza umana è appoggiata oggi su un supporto digitale, esterno al corpo umano; ogni atto umano sembra dover transitare oggi attraverso la mediazione di un codice digitale, di un programma. L'homo sapiens non può fare a meno di interrogarsi. Subire passivamente o reagire.
Varie sono tecniche dimenticate, perdute forse per sempre. Tecniche, meglio arti: non dimentichiamo che arte e tecnica sono sinonimi.
Una è ricordata dallo stesso Turing, proprio nell'articolo nel quale cerca di dimostrare come una macchina possa pensare: la percezione extrasensoriale. Telepatia, efficacia dei gesti degli sciamani.
Di natura contigua è un'arte ricordata da Mauss. “Alla base degli stati mistici si trovano tecniche del corpo che in tempi moderni sono state dimenticate, e che furono invece perfettamente studiate nella Cina e nell'India in epoche molto antiche”.
Queste antiche tradizioni del Taoismo e dello Yoga non a caso tornano alla luce nei tempi digitali, anche in forma occidentalizzate, in parte magari banalizzate. Le tecniche usate per cercare una mindfulness sono l'esempio più calzante.
Questo ritorno è particolarmente importante: è segno di un risveglio, segno dell'umana intuizione di come di fronte all'incombere di macchine sostitutive serva riscoprire aspetti semidimenticati di sé stesso. Più precisamente: serva riportare alla luce quelle umane caratteristiche che più difficilmente possono essere imitate e simulate tramite una macchina digitale.
Un'arte quasi perduta è certo l'arte della memoria: l'arte di ricordare usando le risorse offerte dal proprio corpo. Significativo è, nel verbo ricordare, il riferimento al cuore: luogo simbolico del corpo umano, sede della sensibilità, dei sentimenti. Sofisticate arti permettevano all'essere umano di conservare conoscenze in una quantità e con una qualità che oggi sembrano definitivamente perdute. L'arte è andata perduta probabilmente, come supponeva Platone, con il sopraggiungere della scrittura: una nuova tecnica che permetteva di affidare la conservazione della conoscenza a un supporto esterno.
C'è qui una lezione da imparare. L'essere umano si trova di fronte dell'Era Digitale a mezzi dotati di una memoria incommensurabilmente superiore alla memoria umana. La battaglia tra essere umano e macchina è ormai persa. Non potremo mai, in ogni caso, conservare conoscenze così come sa farlo la macchina-computer.
Di ciò consapevoli, abbiamo definitivamente rinunciato a fare esercizio della nostra memoria. Abbiamo accettato di ridurre le nostre capacità cognitive. Abbiamo accettato un futuro in cui umane capacità, non usate, si atrofizzeranno definitivamente. Il nostro stesso corpo è destinato ad una riduzione delle proprie funzioni: gli organi sui quali si appoggia la memoria perderanno il loro motivo di esistere.
Eppure il ricordo umano, lo specifico modo umano di conservare conoscenza, mantiene un proprio valore. E si può presumere che non potrà mai essere del tutto imitato e simulato dalla macchina.
Le tecniche del corpo sono una ricchezza alla quale non ci conviene rinunciare. Sono doti, anzi, che diventano più preziose in un mondo popolato da macchine.
Non si tratta certo ora di rinunciare a tutto ciò che l'uso di strumenti e macchine ci offre. Né si tratta di rimpiangere remoti tempi felici. Si tratta di non dimenticare. Così come il ricordare ci riporta al mondo delle emozioni e degli affetti, il verbo dimenticare ci ammonisce: dementicus è in latino un derivato di demens: de, privo di, mens, mente. Ogni essere umano, e poi gli esseri umani riuniti
Si tratta dunque di tornare a sentir viva la tradizione che ci lega agli esseri umani del passato. Si tratta di non guardare solo in avanti, di non vivere auspicando l'arrivo di una nuova macchina alla quale affidarsi. Si tratta di ricordare che ogni sostituzione macchinica di una facoltà umana, è una deprivazione di umanità.
Si tratta di mantener viva la fiducia in sé stessi, nell'essere umano che giorno dopo giorno può imparare a conoscenze di più sé stesso; che può apprendere ad usare in modo più efficace il proprio corpo.
Il grande paradosso che si manifesta nell'Era Digitale è questo: preferiamo le macchine a noi stessi. Invece di porre attenzione al conoscere noi stessi, costruiamo macchine per simulare e imitare ciò che il nostro corpo e la nostra mente sapevano, e in fondo sanno ancora, fare.
Qualsiasi strumento comporta un pericolo: ci porta a dimenticarci del nostro corpo. La comodità dello strumento, ed ormai la consuetudine ad averlo in mano, hanno fatto dimenticare all'essere umano tutto ciò che sa fare - anche senza strumenti.
Secondo vari guru e profeti del digitale siamo entrati in una storia irrimediabilmente nuova; gli stessi guru e profeti, e anche loro illustri precursori, come Teilhard du Chardin e lo stesso Vernadsky, il futuro dell'umanità consiste nel confluire, insieme a macchine divenute a loro modo 'intelligenti', in un indistinto nous -potremmo dire: ogni ente partecipe di una conoscenza disincarnata. Ma alla fin fine, anche accettando la supposizione di una convergenza tra essere umano e macchina, resta per l'essere umano la possibilità, o anzi: la responsabilità, di portare nel nuovo ente quanto più possibile della propria storia, del proprio modo di essere. La nuova scena digitale, e la presenza di macchine a loro modo viventi, ci spinge ad essere umani, con più coscienza e con più volontà.
Così possiamo sostenere, con Leroi-Gourhan, e con Mauss, che il futuro dell'umanità, anche e proprio nell'Era Digitale, consiste nel non recidere le proprie radici, nel rammentare in ogni istante le proprie origini, nel restare nella propria specie, nella propria storia.
Solo conservando nell'agire presente memoria delle origini, solo mantenendo vivi i legami con la tradizione l'essere umano può costruire il proprio futuro. Può costruire un futuro per sé stesso e per la propria specie. Siamo ancora, per nostra fortuna, e ci conviene continuare ad essere, quelle stesse persone. Memori del primo momento in cui l'essere umano assunse la posizione eretta e scoprì le potenzialità implicite nella propria mano e nella propria testa.
E' sempre possibile, come mostra Robinson Crusoe, ricominciare daccapo, ripartire dal proprio corpo, dalle proprie mani e dalla propria testa, dalle proprie capacità, inventando nuove tecniche adatte a mondi inizialmente sconosciuti.
Mauss ci riporta alla scena primaria: di fronte ad una esigenza dettata dall'ambiente, di fronte a un bisogno o un desiderio, l'essere umano cerca una soluzione efficace. Non è una scena da collocarsi in tempi ormai remoti. E' anzi, la scena che riviviamo in ogni istante – anche nei tempi digitali. La via che l'essere umano ha conosciuto, la via che gli ha permesso di ri-generarsi, è di affrontare il problema innanzitutto con il proprio corpo, partendo da sé stessi: da ciò che posso pensare, da ciò che ricordo e da ciò che mi hanno tramandato generazioni precedenti, da ciò che posso fare con le mie mani, da ciò che posso condividere con altri esseri umani. Ripartendo ogni volta da sé stesso l'essere umano si mantiene vivo nel presente e garantisce speranze di vita futura a sé stesso ed ai posteri.
In tempi di macchine potenti ed autonome, è auspicabile recuperare la sensazione del momento iniziale, quando, a mani nude, disponendo solo del proprio corpo, l'essere umano intuisce, scopre, inventa, crea, costruisce.
1Marcel Mauss, “Les Techniques du corps”, Journal de Psychologie, XXXII, ne, 3-4, 15 mars - 15 avril 1936. Communication présentée à la Société de Psychologie le 17 mai 1934.
2 Marcel Mauss, “Les Techniques du corps”, Journal de Psychologie, XXXII, ne, 3-4, 15 mars - 15 avril 1936. Communication présentée à la Société de Psychologie le 17 mai 1934.
Nessun commento:
Posta un commento