mercoledì 17 gennaio 2024

Dato. Attorno al significato della parola


Viviamo osservando cose, creando cose, scambiando cose, utilizzando cose. Eppure, delle cose abbiamo una percezione imprecisa. La cosa è, in fondo, inconoscibile. Possiamo intendere la filosofia come il tentativo di dire ‘cosa è la cosa’. Kant ci dice che -essendo la cosa inafferrabile attraverso l’esperienza ‘fisica’, nella vita quotidiana- dobbiamo spostarci di piano. Ciò che può essere conosciuto è solo descrizione della della cosa. 
Qui interviene l’informatica, che è prosecuzione della filosofia con altri mezzi. Se la cosa è inconoscibile, può essere però conosciuto il dato che la rappresenta. Come vuole Kant, il dato descrive la cosa attraverso linguaggi formalizzati. Allo sfuggirci della cosa, si risponde con la pretesa ‘certezza del dato’. 
Dobbiamo quindi spostare l’attenzione sul dato
Dato, non a caso, deriva da data
Il latino littera data sta per ‘lettera consegnata al messaggero’. La data, dunque, è l’attimo successivo a quello in cui ‘sto dando’; è l’attimo in cui posso dire: ‘ho dato’. In questo attimo posso affermare che la descrizione della cosa contenuta nella lettera -potremmo anche dire: nel codice- esiste, e che dunque essa è un dato
Lo spagnolo sposta l’attenzione. Invece di littera data, carta fecha, ‘carta fatta’, ‘lettera scritta’: la data è infatti in spagnolo la fecha. Si tratta di uno spostamento significativo dal punto di vista del lavoro: il momento chiave non è quello in cui scambio o consegno, bensì il momento in cui faccio. Ma anche nella situazione proposta dallo spagnolo, a ben guardare, restiamo sul piano della convenzione. Nessuno può dire con precisione quando ho finito di fare la cosa. 
Sia guardando al fare, sia guardando al dare, se io descrivessi la cosa un attimo prima o un attimo dopo, la descrizione sarebbe diversa. E dunque, la formalizzazione dell’informatica non ci salva. La cosa resta inconoscibile; la sua descrizione è sempre convenzionale. 
Non resta che chiederci su quali basi si fonda il dato, e cioè l convenzionale descrizione della cosa. Proprio di questo interrogativo ci parla, in fondo, la parola cosa. Il latino ci ricorda che cosa deriva da causa. La descrizione della cosa è quindi ‘decisa da un tribunale’. Il tedesco Ding e l’inglese thing ci propongono invece l’idea che la descrizione della cosa sia ‘decisa da un’assemblea’. Possiamo preferire l’autorità del giudice o l’autorità dell’assemblea. Ma in ogni caso il dato -la descrizione della cosa, alla cui certezza così tanto ci piace afferraci- non è che una sempre discutibile opinione.

(Voce tratta da Francesco Varanini, Le nuove parole del manager. 113 voci per capire l'impresa, Guerini e Associati, 2011).

Parlo del concetto di dato (e di cosa) in vari altri articoli pubblicati su questo blog. Tra gli altri: L'ambigua natura del dato; Dal concetti di 'dato' all'editoria del futuro (articolo riguardante un seminario tenuto all'Università di Pisa; Persona, cosa, sasso.

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