domenica 17 maggio 2009

C'è un gran disordine sulla mia scrivania

Posso anche rinunciare per un istante a guardare alle sterminate fonti che il Web mi propone, alla incommensurabile Rete, e guardare solo a me stesso – posso per un istante limitarmi a pensare alla mia rete neurale e alla mia personalissima memoria.
Qualche anno fa, riflettendo sul tema della conoscenza, mi sono trovato ad osservare il gran disordine sulla mia scrivania.
Biglietti del treno, custodie di occhiali, due diverse edizioni del Gattopardo, un libro di management in inglese, dato in lettura da un editore (“The Book will give you an understanding of what has made…”), le bozze del mio libro finalmente in stampa, il libro di Ursula Le Guin da cui ora copio una frase: “Sapere locale non significa sapere parziale, gli spiegarono. Esistono vari modi di conoscere. Ognuno ha i suoi pregi, difetti, soddisfazioni. La conoscenza storica e la conoscenza scientifica rappresentano un modo di conoscere. Come la conoscenza locale, richiedono apprendimento”, bicchieri vuoti e il vassoio del cibo di un forzato che lavora di domenica pomeriggio, un depliant dedicato alle iniziative culturali primaverili della Regione Toscana, una lettera di incarico per attività professionali da svolgersi nell’ambito del progetto 05FSE251039.01, un elefantino portafortuna regalato non so più da chi, tre mie fototessera, un certo numero di biglietti da visita che forse ho copiato sull’agenda elettronica o forse no, una scatolina di Daygum, chewing gum in confetti integratore alimentari di calcio e fluoro, la cassetta audio di una intervista fatta più di un anno fa.
Tra la tastiera e lo schermo in un vassoio di legno penne e matite che non uso più so neanche più se funzionano, un cestino di viminicon dentro una ghiaia della mia spiaggia preferita, un portachiavi, un sigillo di ottone per sigillare con ceralacca, porta le iniziali di mio nonno, due timbri a nastro scorrevole, anch’essi credo di mio nonno: uno per scrivere la data, l’altro con una scelta di scritte del tipo: urgente, pagato, fatt. comm. aperta, un barattolo di latta da quale spuntano due lenti di ingrandimento, altre penne, un tagliacarte, due paia di forbici, una lampada con la palpebra blu, attorno al quale è attorcigliato un cavo usb, lì accanto il modem adsl, e dischetti e cd e fogli di carta stratificati, memoria di giorni o mesi o anni passati, ma in qualche maniera ancora presenti, segno di interessi e curiosità che convivono nella mia mente, e solo ora mi accorgo dell’assenza di un oggetto al quale ero particolarmente affezionato, che da trent’anni mi ha accompagnato, se sempre su ogni mia scrivania.
Disordine e spazio malamente utilizzato. Ma se qualcuno spostasse qualcosa non troverei più nulla. Se qualcuno mettesse in ordine, magari raccogliendo per genere gli oggetti, i fogli sparsi insieme ai fogli sparsi, i biglietti da visita uno sopra l’altro, vivrei l’intervento come una ferita inferta ai miei processi mentali, come un turbare il mio lavoro creativo.
Il disordine sulla mia scrivania, mi dicevo, è un disordine fertile. Potrei precisare ora: è una metafora del groviglio, del gnommero, della matassa che ho in mente.
Ma ora -come dicevo, è passato qualche anno- la mia scrivania è più sgombra. Non perché sono diventato più ordinato, né perché ho cambiato modo di pensare. La mia scrivania è più sgombra perché via via lavoro meno con libri e e fogli e quaderni, uso sempre menu utensili fisici, penne e matite e gomme e graffette. Via via trovo più vantaggio e piacere nel lavorare con supporti virtuali, con utensili digitali.
Scrivo tramite un word processor ormai da venticinque anni. Ma il processo che ha portato a sostituire in modo sempre più completo la scrivania fisica con gli utensili pensati da Engelbart -tastiera, mouse, puntatori, schermo grafico, icone- è stato lento. Lentezza legata alla difficoltà di cambiare abitudini, ma sopratutto legata al reale vantaggio: ora, appunto, tramite il motore di ricerca (Google desk, o sul Macintosh Spotlight) posso muovermi nel disordine apparente dei miei testi cercando, ritrovando, cancellando e copiando, tagliando e cucendo. Posso aggiungere nuovo testo come sto facendo in questo istante.
Tramite la tastiera, il mouse, lo schermo, le cuffie, ho accesso ad ogni cassetto fisico o mentale, ad ogni recesso del mio mondo privato -anche a quelle segrete stanze che avevo chiuso o dimenticato, anche a quei percorsi di cui avevo perso memoria-. Ho a disposizione, in questo istante, non solo tutte le mie parole ordinatamente scritte e rifinite, i testi dei miei libri e dei miei articoli, ma tutti i brogliacci, gli appunti, i fogli di carta appallottolati nel cestino. E ancor più: sono potenzialmente presenti i luoghi di pensiero che la mia mente ha visitato, le connessioni, i percorsi di senso le che la mia mente ha prodotto – e anche tutti i percorsi di senso che a mia mente, in questo istante o nel futuro, potrebbe produrre.
Certo, sul desktop non posso vedere il piatto del cibo che ho appena mangiato (anche se, noto di passaggio, proprio dal piatto piatto, latino discus, trae origine l’espressione inglese desk, "table to write on"), ma trovo icone, metafore, che descrivono gli oggetti, penne e forbici e fogli di carta, che prima giacevano a mia disposizione sul tavolo di legno. Ma sopratutto, il desktop è un’interfaccia, o uno schermo (pensiamo all’origine della parola schermo: qualcosa che occulta e protegge) dietro al quale sta la complessità dei miei processi mentali di questi venticinque anni.
Così, il disordine apparente della scrivania virtuale è lo stesso disordine apparente delle mia scrivania fisica. Ma sono di fronte ad una differenza sostanziale, ad un guadagno che non ha prezzo. Nel disordine del tavolo e nell'accumulo di scartoffie resta nascosta un ricchezza in gran parte persa per sempre, una ricchezza che solo un lampo mentale, la felice connessione che talvolta scatta potrebbero rendere attuale, fruibile. Ma la mia memoria, da sola, non ricorda abbastanza, la mia mente non sa tentare che alcune connessioni. Mentre tutto ciò che è conservato nella memoria virtuale, per la mia mente, potenziata dall'accoppiamento strutturale con questa macchina, è vivo, presente qui ed ora. Sempre accessibile, emerge nell'istante, è appunto, conoscenza: torno alle parole di Maturana che mi sstanno guidando: la conoscenza è condotta adeguata, questa macchina mi aiuta a rendere più adeguata la mia condotta.

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