domenica 17 maggio 2009

Scrivendo con un macchina che aiuta a pensare

Sto scrivendo, interagendo con una macchina che mi aiuta a pensare, la scrittura non è che una manifestazione del pensiero che emerge dal mio accoppiamento strutturale con questa macchina, che chiamiamo volgarmente, impropriamente, personal computer. Posso tramite la stessa macchina leggere. (La macchina mi fornisce anche una colonna sonora, ora, in questi istanti: canto gregoriano, Ave Maria (Antiphona); L'Arte della fuga BW1080, Contrapunctus n. 4, Bach e e Glenn Gould; Alternative 3, Brian Eno; Battiato, E ti vengo a cercare; Dans un bois solitaire, Mozartlieder). Potrei ricorrere ai libri della mia biblioteca, e alcuni sono sul tavolo, ma più mi immergo nel lavoro più restano chiusi, trovo più semplice, efficace e naturale ricorrere a versioni digitali dello stesso testo, di ognuno dei testi che possiedo sotto forma di oggetto fisico, libro, è che ho sul mio tavolo o nel mio studio, esiste -mi rendo conto- una versione digitale accessibile (spesso gratuitamente), tramite Google Book, Amazon, o Scribd, o altre fonti. Non in italiano, se non in rari casi, ma in inglese, in spagnolo, o in tedesco, in francese. E la Rete mi rende evidenti ed accessibili connessioni tra testi che la mia mente da solo non avrebbe saputo cogliere. E la Rete mi mette a disposizione una infinità di altri testi, tanto da farmi apparire la mia biblioteca una capocchia di spillo in un in un a sconfinata massa di conoscenze.
In fondo la mia biblioteca fisica è fallace e mi lega al passato: rappresentata la rete di conoscenze nella quale mi sono mosso fino ad ora. La mia biblioteca rappresenta la mia conoscenza come struttura fissa e limitata, assoggettata ai limiti del libro. Il libro mi condiziona, imponendomi il suo stock di conoscenze chiuse, imponendomi un suo percorso sequenziale, il suo ordine indiscutibile. Mentre io ho bisogno di ritrovare solo una parola, una frase, un nome, ho bisogno di attraversare il testo in quel luogo preciso; e vivo nella speranza di cogliere, tramite quel luogo, nuove connessioni, oltre i confini della mia biblioteca.
Ascolto partecipe i racconti commossi di chi ha voluto visitare quei templi del sapere, è lì si è sentito partecipe, ha colto l'aura, l'enormità della conoscenza accumulata, lì aleggiante, oltre i confini del tempo. Capisco meno gli amici che dicono di aver bisogno, per studiare e scrivere, di recarsi a lavorare in biblioteche prestigiose.
In ogni caso, mi chiedo, perché andare a Berlino, o a Londra quando posso avere a disposizione qui il catalogo della British Library e della Library of Congress di Washington, e di ogni biblioteca. E posso avere accesso tramite la macchina con cui lavoro e penso ad ogni libro. Considero il disincanto una malattia, non rinuncio ad affacciarmi sugli infiniti nuovi mondi della conoscenza con lo sguardo appassionato di chi sosta con silenzioso stupore nelle antiche sale delle grandi biblioteche. Ma alle fonti della conoscenza voglio accedere – e niente mi garantisce un accesso felice e profondo e illimitato come la mia macchina connessa in Rete.
Borges ci parla della Biblioteca di Babele, l'unica biblioteca in fondo degna di questo nome, perché universale: infinita, illimitata e ricorsiva: a questa Biblioteca, posso accedere solo tramite la Rete. E solo tramite il motore di ricerca posso penetrare attraverso i libri e oltre i confini fisici dei libri - senza subire la forma del libro, ma anzi sbrogliando la matassa che ho in mente.
Tramite la Rete, poi, posso andare oltre il libro: chi l'ha detto che la conoscenza buona ed utile ed arricchente è solo la conoscenza offerta dai libri. Semplicemente, c'è stato un tempo nel quale la conoscenza era accessibile solo tramite i libri. Ma c'è stato un tempo in cui l'uomo ha creato conoscenza usando esclusivamente la propria mente. C'è stato un tempo in cui l'uomo ha creato conoscenza usando supporti diversi dal libro, rotoli di pergamena, per esempio. Sono tempi di cui ci parla la storia, ma anche, a ben guardare, tempi compresenti alla gloriosa stagione del libro. Senza cultura e narrazione orale, la stessa
Il libro continuerà ad avere forse un senso negli anni e nei secoli e nei millenni a venire. Ma già oggi non possiamo contentarci del libro. Già oggi non c'è motivo di confondere il testo con il libro.
Così come già a cavallo tra 1800 e 1900 si poteva notare che una ricca conoscenza stava in fogli di carta di cattiva qualità, malamente rilegati -libri e riviste pulp, dime- appare sempre più evidente che oggi la conoscenza più ricca, oggi, sta fuori dai libri.
La bookishness, la rispettabile millenaria consuetudine di cui parla George Stenier -l'abitudine a considerare il libro come tramite elettivo, e peggio: esclusivo nell'accesso alla conoscenza- è un lusso che forse non ci possiamo più concedere. Perché dietro la snobistica predilezione per il libro si nasconde una nuova ignoranza. Siamo ignoranti se guardiamo solo ai libri.

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