domenica 17 maggio 2009

L'informatica come filosofia. Una involontaria lezione di Richard Rorty

Non so quanto Rorty fosse interessato alla Computer Science. Ma mi piace immaginare che avrebbe accolto questo testo, questo abuso del suo pensiero, con un mezzo sorriso. Certo tutto quello che ha scritto, e che sappiamo di lui, ci ricorda che –a differenza da molti professionisti della filosofia– si è tenuto lontano dall'usare il suo acuminato argomentare per svalutare la Computer Science e, in generale, per occultare le proprie aree di ignoranza.
Il suo pensiero ci parla di un momento di passaggio, di allontanamento da un modello che si pretendeva indiscutibile. Il suo pensiero ci parla di come si costruisce conoscenza. Seguendo il filo del discorso di Rorty possiamo cogliere il senso profondo di due modi diversi di intendere l'informatica. Da un lato l'informatica fondata su modelli costruiti a propri, tesa a conservare in modo strutturato e controllato informazioni considerate certe. Dall'altro lato l'informatica che ci aiuta a porci domande nuove, e a trovare risposte nuove, anche lontane dalle attese e dai luoghi comuni.
Delle opere di Rorty, mi limito qui alla lettura Mirror of Nature (Richard Rorty, Philosophy and the Mirror of Nature, Princeton: Princeton University Press, 1979; trad. it. La filosofia e lo specchio della natura (Testo inglese a fronte), Bompiani).

Pars destruens
Rorty: Dobbiamo in particolare a Kant la nozione della filosofia come tribunale della ragione pura, che conferma o respinge le pretese della cultura restante.
L'informatica intesa come tribunale della ragione pura, che accetta o respinge la conoscenza degna di essere presa in considerazione.

Rorty: Un bimillenario modo di filosofare ci ha abituati all'idea di un 'sapere fondazionale' che giudica la validità di tutte le altre aree della cultura (dalla scienza alla religione, dalla matematica alla poesia) assegnando, ad ognuna di esse, un posto specifico: immagine che trova in Kant, e nella sua concezione della filosofia come metacritica delle scienze speciali, la manifestazione esemplare.
Da questo bimillenario modo di filosofare nasce il modo di intendere lo studio teorico del management e la moderna organizzazione delle conoscenze e delle attività. Un sistema totale, gerarchico centralizzato e dettagliato, un modello perfetto, che si pretende orientato all'ottimizzazione. Essendo il modello fondato su una (illusoria) pretesa di perfezione, l'azione finisce per ridursi al controllo: la prassi deve conformarsi al modello. L'informatica, così come prima la burocrazia ottocentesca, di cui è erede, è in quanto idea, il frutto del feticismo scientistico; ed è allo stesso tempo, in quanto sistema, la piattaforma sulla quale il modello si appoggia.

Rorty: Il platonismo tiene fisso lo sguardo sulle idee immutabili del 'buono' e del 'vero', fino a creare una rete di distinzioni categoriali che tutto spiega, tutto contiene.
Riteniamo ben fatte solo le basi dati che si fondano su un data model. Il data model impone organizzazione immutabile alle informazioni, alla luce di una idea immutabile del 'buono' e del 'vero'. Già si rifacevano a un data model i sistemi mnemotecnici, i teatri della memoria che, almeno a partire dalla Grecia classica, presiedevano all'uso del nostro cervello come base dati. Le stanze dei teatri della memoria, così come i 'campi' ed i 'record', le tabelle relazionate l'una con l'altra, impongono alla conoscenza una struttura di distinzioni categoriali discendenti da un modello previamente costruito. Al di fuori di questo modello, di questa struttura, platonicamente non esiste conoscenza.

Rorty: Nella filosofia platonico–kantiana, priorità della sostanza sul fenomeno, dell'universale sul particolare, della necessità sulla contingenza, della natura sulla storia.
Possiamo esprimerci analogamente a proposito dell'informatica. Priorità della sostanza: attenzione alla coerenza interna del modello, non importa se astratto, decontestualizzato. Orientamento alla generalizzazione: la lettura del fenomeno è subordinata alle regole che, in funzione della sua stabilità, presiedono al funzionamento della base dati. Ansia di ottimizzazione: il mondo è un orologio, la macchina che meglio lo rappresenta funziona con l'esattezza di un orologio. Il sistema più efficace è il sistema che funziona con maggiore economia di mezzi.
La procedura è fondata sulla necessità, mentre la contingenza si manifesta come irrilevante varianza, destinata ad essere riassorbita senza tenere conto delle sue tracce.
Rorty prende spunto dal Canone Occidentale di Harold Bloom per parlare di canone platonico–kantiano. Bloom, osservando quella specifica manifestazione della conoscenza che chiamiamo 'letteratura' si arroga il diritto di definire i luoghi e i confini, il buono ed il vero: Shakespeare al centro, e poi via via gli altri autori degni di essere letti e studiati e ricordati, in base a un criterio di inclusione e di esclusione. Un preteso attacco da parte di portatori di interessi particolari, al 'vero sapere' , ai 'veri valori' giustifica la costruzione di un modello chiuso.
Così anche il canone platonico–kantiano: una rete categoriale in grado di abbracciare il tutto, in grado di tutto ordinare e di tutto spiegare.
Possiamo allora parlare, guardando all'informatica applicata al business e al funzionamento organizzativo, di canone IBM–Microsoft–Sap. Anche qui, come nel Canone di Bloom, ordinamento, controllo, norma.
Una sola macchina, un solo hardware, un solo software, un solo standard, un solo modello.

Rorty: Esiste un'immagine che continua a tenere prigioniera la filosofia. È l'immagine –si pensi ancora a Kant– della mente come un grande specchio. Il funzionamento della mente-specchio può essere studiato attraverso metodi puri, non empirici.
Ecco l'immagine della mente come computer, e del computer come mente. Una immagine menzognera, che ci allontana dall'esperienza empirica del lavoro quotidiano con il computer. Se domina la metafora della mente specchio, domina anche l'immagine del sistema informativo fondato su data model, modelli puri. Sapere esattamente incasellato in contenitori predefiniti.

Rorty: Per la filosofia platonico–kantiana, la mente è 'specchio' che rappresenta la realtà.
Dunque la conoscenza è 'rappresentazione'. Gli sforzi di Cartesio e di Kant sono volti ad ottenere rappresentazioni più accurate attraverso l'esame, la riparazione e la pulitura dello specchio.

Rorty: La filosofia platonico–kantiana intende se stessa come disciplina che possiede una sua specifica e privilegiata via d'accesso ai fondamenti della conoscenza e ai meccanismi della mente. Per la filosofia platonico–kantiana conoscere significa rappresentare accuratamente quel che si trova fuori della mente. La 'vecchia' filosofia pretende di sapere il modo in cui la mente riesce a costruire tali rappresentazioni.
Per Rorty la metafora dello specchio è centrale: descrive la 'vecchia' filosofia. Per l'informatica la metafora dello specchio è centrale: descrive l'informatica che chiamo 'infantile'.
Per questa filosofia e questa informatica la persona osservante ed operante non conta. La sua soggettività è considerata ininfluente. Della persona, non contano carattere, cultura, collocazione storica e sociale. Conta la purezza del metodo di analisi e rappresentazione del 'vero'. Della mente della persona conta solo la capacità di essere specchio, rispecchiare il 'buono' ed il 'vero'.
Lo specchio può essere ripulito e reso più luminoso, brillante. Questa è l'unica via attraverso la quale ottenere 'rappresentazioni' –fotocopie del 'reale'– più adeguate.
La mente come specchio porta, per analogia cognitiva, al 'sistema informativo come specchio'. Il 'sistema informativo' è la mente artificiale che 'rappresenta' la realtà. Così le informazioni fornite dai 'sistemi informativi', specchio della realtà, finiscono per apparire l'unica affidabile fonte di conoscenza. Così l'approfondimento della conoscenza passa sempre e necessariamente attraverso l'affinamento degli strumenti, dei meccanismo di rappresentazione: specchio più pulito, più luminoso e brillante, hardware e software in grado di garantire una più accurata gestione del dato. Solo fotocopie più nitide.

Rorty: Nevrotica ansia cartesiana di certezze.
In informatica: nevrotica sussunzione all'idea di una necessaria certezza e all'univocità del dato.
L'informatica che pone al centro del proprio progetto il dato univoco e la struttura, cerca vanamente la lingua astrattamente perfetta. Servono invece sistemi in grado di interagire tra di loro, e con le persone.
Si cercano linguaggi eleganti e raffinati'. Si usano i linguaggi (informatici) che si conoscono –Cobol o C++ o Java o .net– nell'illusione che riescano a descrivere neutralmente ogni mondo.

Rorty: Il pensiero rappresentativo e 'fotocopiativo' porta con sé la figura dello 'spettatore' e l'atteggiamento dello 'spettatore'. Il filosofo e lo scienziato 'spettatore' osserva il mondo in base a modelli che sovrastano lo spettatore, e che lo spettatore non può e non vuole mettere in discussione. Lo spettatore è sempre innocente, mai individualmente responsabile delle immagini del mondo che pure produce, e presenta come 'vere'.
Così agisce in fondo il professionista dell'informatica: è spettatore innocente. E' attore irresponsabile. La qualità dell'informazione dipende dal modello dei dati. Il modello dei dati dipende dall'analisi, e cioè da ciò che ha detto e richiesto il cliente. L'output dipende dall'input. La macchina –che si limita ad eseguire il programma– non può sbagliare. La responsabilità del professionista dell'informatica si riassume nel fotografare la realtà con un programma e nel far funzionare la macchina come da programma.

Pars construens
Rorty, per presentarci l'approccio platonico–kantiano parla di 'canone'. Si riferisce esplicitamente al 'Canone Occidentale' di Harlod Bloom: così come Bloom pretende di definire i luoghi e i confini, il buono ed il vero, di quella specifica manifestazione della conoscenza che chiamiamo 'letteratura', così più in generale l'approccio platonico–kantiano subordina la lettura del mondo ad un 'sapere fondazione' e ad una rete (imposta previamente e dall'esterno) di distinzioni categoriali.
Ma l'analogia ha un limite evidente.
Per Bloom è una ipostasi; è una struttura di base immutabile e vera e giusta; è, platonicamente, sostanza, essenza che permane immutabile al di là degli accidenti. Rorty, invece, con il concetto di 'canone' gioca. Su di lui ha influito più Thomas Kuhn di Harold Bloom. E allora il 'canone' è in realtà un 'paradigma': un modello che in un dato momento storico gode di un alto grado di consenso, ma che è soggetto a sconferma empirica. E gli scienziati ed i filosofi più apprezzabili sono coloro che, lavorando come si deve all'interno di un paradigma, scoprono i segni di un diverso paradigma emergente).
Possiamo dunque opporre al canone platonico–kantiano -nella sua versione informatica il canone IBM–Microsoft–Sap- il canone (o meglio: emergente paradigma) Bush–Nelson–Engelbart–Berners-Lee–Cunningham.
Vannevar Bush: l'idea di una macchina che aiuta la persona a pensare, a interrogarsi sul mondo.
Ted Nelson: l'idea di un nuovo tipo di letteratura, che è conoscenza e che è piacere, fondata sul superamento della gabbia del libro, della sequenza ordinata: l'ipertesto, testo reticolare percorribile in diversi modi, potenzialmente infinito, nasce qui.
Douglas Engelbart: interazione tra uomo e macchina. Interfacce grafiche, mouse. Ipertesti.
Berners-Lee: il Word Wide Web come grande Rete Semantica aperta a diverse connessioni, multimediale, ipertestuale, interattiva.
Ward Cunningham: piattaforme di lavoro collaborativo, in particolare di scrittura collaborativa. Azzeramento del confine tra specialista e utente.
Si arriva per questa via ad intendere la conoscenza come common, risorsa collettiva di tutti e di nessuno. Non ci sono confini (se non confini fittizi) tra il sapere (e il sistema informativo) di ogni persona e di ogni azienda. Di fronte a questi mondi, finanza e denaro non sono più metri adeguati: 'the for-pay economy is not the only way to create value'.

Rorty non manca di cogliere in Martin Heidegger la presunzione greco-germanica, quella hybris che ha percorso la filosofia da Platone a Kant a Hegel. Né sottovaluta le simpatie naziste del filosofo tedesco. Eppure apprezza Heidegger. Apprezza l'Heidegger pragmatista di Sein und Zeit (L'essere e il tempo), l'ultimo Heidegger. Lo accomuna al 'secondo Wittgensein', il Wittgeinstein delle Philosophische Untersuchungen (Ricerche filosofiche). Una 'svolta linguistica' porta entrambi al cruciale passaggio “dalla coscienza al linguaggio”. Nella prospettiva che era già di Humboldt, per Heidegger e Wittgenstein il linguaggio è Welterschliessung: 'apertura di mondo', 'world disclosure'.
La conoscenza non esiste se non attraverso la percezione soggettiva. La conoscenza non esiste se non tramite un linguaggio in grado di descriverla e di esprimerla. Quindi, centralità della Sprachphilosophie. Centralità dei 'giochi linguistici', degli 'atti linguistici'.
Quello che conta non è la lingua in sé. La lingua perfetta non esiste, e comunque non serve.
Heidegger e Wittgenstein ci mostrano come linguaggio emerge dall'interazione tra persone, e tra persone e mondi. Un linguaggio non vale l'altro. Non tutti i linguaggi sono buoni a descrivere tutti i mondi.
Invece di privilegiare linguaggi eleganti e raffinati, ci si dovrebbe dunque preoccupare dell'adeguatezza del linguaggio 'al mondo in cui io sono'.
E' il salto di qualità che ci propone l'XML, Extensible Markup Language, 'a general-purpose specification for creating custom markup languages': strumento ermeneutico (techne hermeneutiké, 'arte di interpretare') e gnoseologico, con il suo apparentemente semplice approccio, fondato sull'apporre etichette, permette agli attori di descrivere il mondo esplicitando i nomi delle cose che popolano quel mondo. Evitando l'uso di simboli astratti, si può narrare il mondo, parlare dell'essere-nel-mondo. Tendere alla comprensione ontologica.


Rorty: Sbarazzarsi del bimillenario modo di filosofare che ci ha abituati all'idea di un 'sapere fondazionale': un sapere che giudica la validità di tutte le altre aree della cultura (dalla scienza alla religione, dalla matematica alla poesia) assegnando, ad ognuna di esse, un posto specifico.
Promuovere, in cambio, una cultura libera dalle ossessioni concettuali della metafisica greca, e dalle ossessioni del feticismo scientistico che ne segue le tracce.
Se vediamo un solo modello, è solo a causa della nostra miopia. Se crediamo che il nostro modello sia il migliore, stiamo adottando un meccanismo di difesa. Se pensiamo che esista un unico mondo, è perché viaggiando altrove temiamo di scoprire qualcosa in grado di minare le nostre sicurezze. Se ci sforziamo di ridurre la ridondanza, se cerchiamo una apparente sicurezza in modelli semplificati, è perché non vogliamo ammettere che viviamo comunque sull'orlo del caos.
L'uomo (tramite un qualsiasi linguaggio) costruisce (edifica) conoscenza, e si mantiene in relazione con la conoscenza, e accede alla conoscenza, e rinnova continuamente la conoscenza.
In questo, l'informatica ci è amica, ci accompagna. Navigando nel World Wide Web, scrivendo con un word processor, raccogliendo e interpolando informazioni, costruendo testi multimediali mescolando parole immagini e suoni, ogni uomo partecipa alla costruzione di una cultura sempre più lontana dalle ossessioni della metafisica greca e del moderno feticismo scientistico.

Rorty: Noi non possiamo descrivere la natura usando un linguaggio che crediamo essere il suo.
La presunzione, o la fallace convinzione di chi si occupa di informatica pota a pensare che il linguaggio –sia il Cobol o o C++ o Java o .net o quello che sia– possa rappresentare, rispecchiare il mondo.
Ma il linguaggio con il quale descriviamo 'la natura' -qualsiasi linguaggio- non è il linguaggio della natura. E' un linguaggio creato dall'uomo, uno dei linguaggi possibili. Relativamente efficace, nato all'interno di una cultura, capace di leggere solo alcuni aspetti del mondo.

Rorty: I fatti non sono pensabili a prescindere dalla struttura proposizionale del linguaggio.
Il linguaggio determina la visione del mondo. La scelta del linguaggio –anche del linguaggio informatico– non è né irrilevante né innocente. Non è irrilevante perché solo attraverso il linguaggio i fatti sono pensabili. Non è innocente perché la scelta del linguaggio porta con sé la scelta della struttura: e quindi porta scritta in sé sia la modalità di rappresentare il mondo, sia la modalità di interagire con il mondo.
Si usano i linguaggi (informatici) che si conoscono –Cobol o C++ o Java o .net o quello che sia–nell'illusione che riescano a descrivere neutralmente ogni mondo.
Ma il linguaggio, portando in sé una propria sintassi e una propria semantica, –Cobol o C++ o Java o .net o quello che sia– si trasforma così in un Cavallo di Troia: impone al mondo una visione del mondo già fatta.

Rorty: Conoscere la realtà non significa 'fotocopiarla', ma 'venire a capo delle sue sfide'.
Prendere per buoni sistemi informativi esistenti, edificati in tempi precedenti, è vano e fallace. In ogni istante possiamo fotografare la realtà, ed ogni fotografia sarà diversa.
Possiamo invece usare gli operatori booleani per interagire con la realtà. Interrogarsi sulla natura e sugli stati del mondo significa partecipare a costruire: l'organizzazione è frutto di co-creazione.

Rorty: Ciò che chiamiamo 'mondo' non è la totalità dei dati di fatto. Esso è l' insieme delle limitazioni cognitivamente significative che sono imposte ai nostri sforzi di imparare dalle –e di avere il controllo sulle– reazioni della natura a partire da previsioni attendibili.
Ciò che chiamiamo 'sistema informativo' è lungi dall'accogliere la totalità dei dati. Il sistema informativo non è una rappresentazione, uno specchio del mondo. E' solo l'insieme di informazioni raccolte a partire da limitate e limitanti domande che ci siamo posti a proposito degli stati del mondo.

Rorty: Le risposte che ci dà la natura sono sempre indirette, in quanto restano legate alla struttura delle nostre domande.
L'informatica che pone al centro della propria attenzione la 'struttura dei dati' si illude di rappresentare la natura, replicandone la struttura. Ma la 'struttura' che filtra il nostro rapporto con la 'natura', con il mondo osservato –e quindi: la struttura dei dati– non è la struttura della 'natura' –per noi inattingibile, invisibile– ma 'la struttura delle nostre domande'. Sia che le domande siano state formulate una volta per tutte, previamente, attraverso 'query strutturate'. Sia che le domande siano ri-formulate di volta in volta, attraverso strumenti di Knowledge Discovery, Data Mining, Information Retrieval. Ovvio che, dove la tecnologia lo permette –e oggi la tecnologia lo permette pressoché in ogni caso– meglio riformulare di volta in volta le domande. Le domande anche in apparenza simili, formulate in momenti diversi, di fronte a stati del mondo diversi, sono diverse.

Rorty: Per queste sue caratteristiche di sapere narrativo, la filosofia appare protesa a edificare, cioè a formare gli uomini, più che a 'conoscere' oggettivamente il mondo. In questa nuova veste, di tipo etico-formativo, la filosofia non si pone più come espressione privilegiata del sapere, ma come una delle tante voci all'interno della 'conversazione' complessiva dell'umanità. Conversazione che si nutre del dialogo, ossia di una 'democrazia dialettica' che vive del confronto costante dei diversi punti di vista, senza pretese di sopraffazione reciproca.
E' questa la confusa, incerta, ma ricca 'democrazia' fondata sulla conversazione che vediamo emergere nella pluralità di voci della Grande Rete, fatta di diverse e interconnesse 'reti sociali', nei blog.
Conversazioni alle quali concorrono 'filosofi' e pretesi ignoranti. La conoscenza non nasce dall'ordine e dal controllo, ma dalla contaminazione, dal dialogo. Se un gioco non si basa su una partita unica –come accade con i sistemi fondati sull'univocità del dato– ma viene ripetuto nel tempo, allora verranno a crearsi dei meccanismi di credibilità e di reputazione in grado di condurre le parti a comportamenti di tipo cooperativo.
Al posto del garante, o platonico guardiano della 'qualità dell'informazione', garante o platonico guardiano del 'grado di verità della conoscenza', emerge –in virtù degli strumenti informatici oggi disponibili– la figura del narratore: la persona che osserva il mondo, e può essere ognuno di noi, e contribuisce al sapere collettivo osservando il mondo a partire dalla propria cultura e dalla propria storia e dal proprio carattere.

Rorty: Questo soggetto, portatore di credenze, emozioni e speranze non assomiglia al filosofo tradizionale ma piuttosto al narratore, al romanziere.
A ben guardare, l'informatica intesa secondo il paradigma Bush–Nelson–Engelbart–Berners-Lee–Cunningham non offre altro che strumenti per narrare.

Rorty: Gradualmente sostituire il concetto di verità come corrispondenza alla realtà con l'idea che verità è la convinzione che si forma durante scontri liberi e aperti.
Chi si occupa di informatica crede (spera, si illude) di essere di essere il garante e il depositario della 'vera' informazione, l'informazione che descrive il mondo come è. Ma esistono all'interno dell'organizzazione –di ogni impresa– diverse visioni del mondo, diverse letture della realtà. Ogni stakeholder è portatore di una propria visione. All'informatica intesa come strumentazione che difende l'immagine (unica) della realtà, pretesa immagine 'vera', si contrappone l'informatica che offre strumenti per scoprire e per collaborare. Portare alla luce conoscenze tacite e latenti, favorire il lavoro collaborativo teso a costruire una sempre mutevole 'verità' ragionevolmente condivisa.

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